Cordelia lo capiva. — Va bene. Ma supponiamo di lasciare l’esercito di Barrayar fuori da questa storia. Potrei andare io. Con un uomo o due, non di più, e in assoluta segretezza. Un tentativo del tutto privato.
Lui abbatté le mani sul tavolo. — No! — esclamò. — Sant’Iddio, Cordelia!
— Dubiti della mia competenza? — lo sfidò lei. Io sì. Ma non era quello il momento di metterlo in dubbio. — Quando mi chiami «cara capitana» stai soltanto vezzeggiando un animaletto domestico, o ti rivolgi ai gradi che mi sono guadagnata in servizio?
— Cordelia, io ti ho visto agire in modo eccezionale…
Mi hai anche visto sbattere la faccia in terra, no?
— … ma tu non sei sacrificabile. Dannazione! Questo sì che mi darebbe gli incubi, qui dentro. Aspettare, senza sapere…
— È quello che hai sempre domandato a me. Aspettare. Non sapere. E io l’ho fatto.
— Tu sei più forte di me. Hai una forza che io non capisco.
— Lusinghiero. E poco convincente.
I pensieri di Aral stavano cercando di aggirarla. Poteva leggerlo nello sguardo acuto dei suoi occhi. — No. Non devi andare allo sbaraglio. Te lo proibisco, Cordelia. È escluso. Toglitelo dalla testa. Non posso rischiare di perdervi entrambi.
— Lo stai facendo. Con queste parole.
Lui strinse i denti, abbassò lo sguardo sul tavolo. Messaggio ricevuto e registrato. Koudelka seduto al suo fianco spostava gli occhi dall’uno all’altra, costernato. Cordelia poteva quasi sentire la pressione della mano di Drou, stretta sullo schienale della sua sedia.
Vorkosigan sembrava far fatica a respirare, come fosse schiacciato fra due macigni. Cordelia non aveva alcun desiderio di vederlo così alle strette, così impotente. Capì che stava per ordinarle di dargli la sua parola che non sarebbe uscita dalla Base, che non avrebbe corso nessun rischio.
Aprì le mani, poggiandole sul tavolo. — Nessuno chiederebbe a me di diventare Reggente, ma io avrei dato un’altra risposta.
La tensione abbandonò Vorkosigan, con un sospiro. — Diciamo che non ho avuto abbastanza immaginazione.
Un difetto comune fra voi barrayarani, amore mio.
Mentre tornava al loro appartamento Cordelia trovò il Conte Piotr, in corridoio, giusto davanti alla porta. Era diverso dal vecchio stanco e malmesso che l’aveva lasciata su una pista di montagna. Vestiva un elegante abito da pomeriggio, del taglio preferito dagli anziani Vor o dai membri del governo in pensione: blusa e pantaloni bruni a righe grigie, stivaletti bianchi e neri. Con lui c’era Bothari, di nuovo nella livrea marrone e argento di Casa Vorkosigan. Il sergente teneva piegato su un braccio un pesante soprabito, da cui Cordelia dedusse che la missione diplomatica aveva portato il Conte in qualche distretto settentrionale. I Vorkosigan sembravano dunque in grado di spostarsi ovunque, fuori dalle zone pattugliate dalle truppe di Vordarian.
— Ah, Cordelia. — Piotr le rivolse un cauto cenno di saluto; non era il momento di riaprire le ostilità. Questo le stava bene. Era troppo nervosa, e preferiva non affrontare altri battibecchi in quelle condizioni di spirito.
— Buongiorno, signore. Ha fatto buon viaggio? Spero che ci porti buone notizie.
— Infatti, è così. Dov’è Aral?
— Negli uffici della Sicurezza, credo, a consultarsi con Illyan sulle ultime notizie da Vorbarr Sultana.
— Ah. Cos’è successo?
— È arrivato qui il capitano Vaagen. L’hanno brutalmente percosso, ma è riuscito a fuggire dalla capitale. Sembra che Vordarian abbia finalmente capito che aveva un altro ostaggio. I suoi uomini hanno trovato il simulatore uterino di Miles, all’OMI, e l’hanno portato alla Residenza Imperiale. Mi aspetto che lo usi per fare pressione su di noi, ma senza dubbio voleva che per il momento l’emozione della notizia ci fosse data dal rapporto di Vaagen.
Piotr scosse il capo con una risata secca, aspra. — Non credo che si ritenga in possesso di chissà quale mezzo di pressione.
Cordelia aveva stretto i denti. Li riaprì per chiedere: — Cosa vuol dire, signore? — Lo sapeva benissimo, ma voleva vederlo scoprire i suoi sentimenti. Sputali fuori, dannato vecchio. Fino in fondo.
Lui piegò un angolo della bocca, fra una smorfia e un sorriso. — Voglio dire che Vordarian ha reso involontariamente un servizio a Casa Vorkosigan. Sì, credo che ancora non se ne sia reso conto.
Non parleresti così se qui ci fosse Aral, vecchio… per caso non sarai coinvolto in questa faccenda? Diavolo, questo non poteva chiederglielo. Glielo chiese: — Lei non sa chi avesse motivo di informare Vordarian che in quel laboratorio c’era mio figlio?
Il suo tono era stato chiaro. Piotr non finse di ignorare l’insinuazione. — Io non parlo con i traditori! — sbottò.
— È un conservatore, del suo stesso partito. In molte cose la pensate nello stesso modo. Lei ha sempre rimproverato Aral d’essere troppo progressista.
— Tu osi accusarmi di…! — La sua indignazione si trasformò in rabbia. — Come ti permetti!
Cordelia non era meno furiosa. Lo fronteggiò a pugni stretti. — Io so che lei ha tentato di commettere un omicidio. Perché non anche un tradimento? Posso solo sperare che sia un incompetente nel secondo come lo è stato nel primo!
La voce del Conte vibrava d’ira. — Questo è troppo!
— No, vecchio. Non è neppure abbastanza!
Droushnakovi sembrava completamente terrorizzata. La faccia di Bothari era grigia come il granito. Piotr alzò una mano, come se fosse tentato di strangolarla. Bothari guardò quella mano e strinse le palpebre, con un lampo negli occhi.
— Anche se sbattere quel mutante fuori dalla sua incubatrice è il più grande favore che Vordarian potrebbe farmi, non per questo gli direi una sola parola — ringhiò Piotr. — Sarà molto più divertente vedergli giocare quella carta come se fosse un asso, e lasciare che si chieda poi dove ha sbagliato. Aral sa… immagino che per lui sia un sollievo sapere che Vordarian gli toglie questo peso dalle spalle. O lo hai convinto a fare un’altra spettacolare idiozia?
— Aral non farà niente.
— Bravo ragazzo. Mi chiedevo se saresti riuscita a farne un uomo senza spina dorsale. Ma è un barrayarano, in fondo all’anima.
— Così pare — disse rigidamente lei. Stava tremando. Non meno di Piotr, comunque.
— Questa è una cosa di scarsa importanza — disse il Conte, più a se stesso che a lei, cercando di ritrovare l’autocontrollo. — Ho questioni più importanti da discutere col Lord Reggente. Buonasera, milady. — Le rivolse un ironico mezzo inchino, poi la aggirò, accennando a Bothari di seguirlo.
— Buonasera a lei, signore! — replicò gelidamente Cordelia, ed entrò nell’appartamento senza guardarsi indietro.
Andò avanti e indietro per venti minuti prima di sentirsi in grado di parlare senza digrignare i denti anche con Drou, che s’era seduta in un angolo come per farsi più piccola.
— Lei non pensa sul serio che il Conte Piotr sia un traditore, vero milady? — azzardò infine la ragazza, quando le parve finalmente di vederla più calma.
Cordelia scosse il capo. — No… no. Volevo soltanto sfogarmi. Questo dannato pianeta mi sta facendo diventare matta. Non ne posso più. — Stancamente si gettò a sedere sul divano e appoggiò la nuca alla spalliera. Dopo un poco mormorò: — Aral ha ragione. Non ho il diritto di rischiare. No, questo non è esatto: non ho il diritto di fallire. E non mi fido più molto di me stessa. Non so cosa sia successo alla mia grinta. Perduta anche quella, in terra straniera. — Non riesco a ricordare. Non ricordo come sia successo. La stessa cosa che a Bothari, forse. Due personalità diverse, ma che avevano ceduto entrambe a un’overdose di Barrayar.
— Milady… — Droushnakovi teneva la testa bassa, tormentandosi l’orlo della gonna. — Io sono stata nella Sicurezza Imperiale per tre anni.