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Vaagen sbuffò, tossì e rinunciò a fare commenti.

— Non hanno incaricato qualcuno di prendersene cura? — domandò Cordelia. Nessuno sembrava esserselo ancora chiesto. — Un dottore, un tecnico, o almeno un inserviente?

Illyan corrugò le sopracciglia. — Non lo so, milady. Posso cercare di scoprirlo, ma ogni contatto in più significa un rischio per i nostri agenti sul posto. Non possono usare la radio. Quella che ci manda notizie dall’appartamento imperiale è una cameriera, e ogni volta deve scendere in un garage dove un altro agente ha sistemato un contatto via cavo con l’esterno.

— Mmh.

— Il trattamento per la calcificazione ossea è interrotto, comunque — brontolò Vaagen, tormentando il lenzuolo con una mano. — L’inferno possa ingoiare quei bastardi.

— Anche se ha perso tutti i suoi dati, non può… continuare il lavoro? — domandò Cordelia. — Cioè, se riuscissimo a recuperare il simulatore uterino. Può riprendere da dove ha interrotto?

— La situazione fisica del bambino sarà cambiata, per allora. E non tenevo a mente tutto il programma. Non la parte che svolgeva Henry, almeno.

Cordelia fece un profondo respiro. — Se ricordo bene, questi simulatori costruiti su Escobar hanno un ciclo automatico di due settimane durante le quali in teoria possono fare a meno di ogni manutenzione. Quando avete cambiato per l’ultima volta le batterie e i filtri, e caricato le sostanze nutritive?

— Le batterie durano un anno, e i filtri potrebbero funzionare due, forse tre mesi, — disse Vaagen. — Ma il vero fattore limitativo sono le sostanze chimiche. Al suo ritmo metabolico, una volta che siano finite, il feto potrebbe morire di denutrizione in un paio di giorni. Inoltre questo causerebbe un sovraccarico nei filtri, che si ostruirebbero subito anche se il feto resistesse di più. In pratica, il simulatore è autosufficiente per diciotto, venti giorni al massimo.

Cordelia evitò lo sguardo di Aral e restò rivolta verso Vaagen, che le restituiva lo sguardo con un occhio solo, sofferente ma con la solita franchezza. — Quando è stata l’ultima volta che lei e Henry avete rifornito il simulatore? — domandò ancora.

— Quattordici giorni fa.

— Questo lascia meno di sei giorni — mormorò lei, abbattuta.

— All’incirca… suppongo. Che giorno è oggi? — Vaagen si guardò attorno, con un’aria smarrita così insolita in lui che Cordelia si sentì stringere il cuore.

— Questo limite è valido soltanto se nessuno si prenderà cura del simulatore — puntualizzò Aral. — Il medico della Residenza Imperiale, quello che venne a casa nostra, non potrebbe fare qualcosa, se fosse informato con la dovuta cautela?

— Signore — disse Illyan, — il medico della Principessa è stato ucciso durante il primo giorno di scontri, in un’ala della Residenza Imperiale. Ho due diverse testimonianze che lo confermano.

— Potrebbero lasciar morire Miles per pura ignoranza, allora, anche se non volessero ucciderlo — mormorò Cordelia, sgomenta. Perfino uno dei loro leali agenti segreti, se costoro erano convinti che fosse una bomba, avrebbe potuto entrare là dentro e minacciare l’esistenza di suo figlio.

Vaagen aveva chiuso gli occhi, sfinito. Aral poggiò una mano su una spalla di Cordelia e le accennò verso la porta. — La ringrazio, capitano Vaagen. Lei ha fatto tutto il possibile, andando anche oltre il suo dovere.

— All’inferno il dovere — borbottò Vaagen. — Quei bastardi… quei maledetti ignoranti capaci solo di distruggere…

Uscirono, lasciando Vaagen alle prese con la sua indignazione, che neppure la stanchezza sembrava capace di placare. Vorkosigan rimandò Illyan ai suoi molteplici doveri.

— E ora? — gli domandò Cordelia.

Le labbra di lui erano strette in una linea sottile. Nei suoi occhi assenti scorrevano ipotesi e calcoli; i suoi stessi calcoli, si disse Cordelia, complicati da un migliaio di fattori che lei poteva appena immaginare. Infine Aral disse, pensosamente: — Non è cambiato nulla. In effetti, la situazione è la stessa di prima.

— È cambiata, qualunque sia la differenza fra essere nascosto ed essere prigioniero nello stesso luogo. Piuttosto mi chiedo perché Vordarian ha aspettato tanto. Se finora non sapeva dell’esistenza di Miles, chi gliene ha parlato? Possibile che Kareen abbia deciso di collaborare con lui fino a questo punto?

Droushnakovi assunse un’aria infelice a quell’ipotesi.

— Forse Vordarian sta giocando con noi — disse Aral. — Forse sapeva già tutto, e teneva di riserva il simulatore per quando gli fosse servita una nuova leva.

— Teneva di riserva nostro figlio - lo corresse lei. Cercò i suoi occhi, gridando dentro di sé guardami, Aral! - Dobbiamo parlarne. — In fondo al corridoio lo indusse a entrare in una saletta d’attesa, l’anticamera dello spogliatoio dei chirurghi, e accese la luce. Lui andò a sedersi docilmente al tavolo, con Koudelka accanto a sé, e la guardò. Cordelia prese posto di fronte a lui. Sedevamo sempre fianco a fianco, finora… Drou era in piedi alle sue spalle.

Aral la osservò intensamente. — Ebbene? Ti ascolto.

— Voglio sapere cosa stai pensando — disse lei. — Voglio sapere cosa siamo noi in tutto questo?

— Io… mi spiace. A posteriori, sono pentito di non aver tentato un’incursione giorni fa. La Residenza Imperiale è assai meglio difesa dell’Ospedale Militare, e un raid ci costerebbe ora molte perdite. Tuttavia… anche potendo, non farei una scelta diversa. Quando chiedo agli ufficiali del mio staff di aspettare, di non pensare ai loro familiari, non posso impegnare uomini e risorse per i miei motivi privati. La… situazione di Miles mi dà anzi modo di chiedere la loro lealtà, la loro fermezza, di fronte alle pressioni di Vordarian. Sanno che non chiedo a nessuno di affrontare rischi che non sono disposto ad affrontare io stesso.

— Ma ora la situazione è cambiata — precisò Cordelia. — Ora non stai correndo lo stesso rischio. I loro familiari hanno tempo; Miles ha soltanto sei giorni, meno il tempo che sprechiamo a discuterne. — Tutto ciò che sentiva era l’orologio del simulatore che ticchettava nella sua testa.

Lui non disse nulla.

— Aral… in tutti questi mesi ti ho mai chiesto di usare la tua autorità per farmi un favore?

Un sorriso triste aleggiò un attimo sulle labbra di lui e svanì subito. I suoi occhi non erano più sperduti in altri pensieri. — Non mi hai mai chiesto niente, lo so — mormorò. Coi gomiti poggiati sul tavolo unì le mani sotto il mento. Lei incrociò le dita, sforzandosi di nascondere la tensione con la stessa fermezza.

— Te lo chiedo adesso.

— Questo — rispose Aral dopo una lunga pausa, — è un momento molto delicato, nella situazione strategica che si sta sviluppando. Siamo impegnati in due diversi negoziati segreti con due comandanti di Vordarian, che pensano di vendersi a noi. Le forze spaziali stanno per fare la loro scelta. Si prospetta l’eventualità di abbattere Vordarian senza ricorrere a una battaglia molto sanguinosa.

Distratta dai suoi pensieri, Cordelia si trovò a domandarsi quanti dei comandanti di Vorkosigan stavano trattando per vendersi alla parte avversa. Solo il tempo lo avrebbe detto. Il tempo.

Vorkosigan continuò: — Se… se questi negoziati si concludono come spero, avremo l’opportunità di recuperare un buon numero di ostaggi in un colpo solo. Con un’incursione che coglierà Vordarian di sorpresa.

— Io non sto chiedendo un raid in grande stile.

— Lo so. Però un’incursione su piccola scala, che raggiunga o meno l’obiettivo, potrebbe mettere in forse il risultato di una più grossa che volessimo programmare subito dopo.

— Potrebbe.

— Potrebbe — concesse lui, annuendo.

— Fra quanto tempo?

— Circa dieci giorni.

— Non è abbastanza presto.

— No. Cercherò di accelerare le cose. Ma tu devi capire che… se gioco male questa carta, se sbaglio il tempo, il mio errore costerà la vita a parecchie migliaia di uomini.