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— E tu affermi che sta perdendo?

— Finché io vivo, e tengo in vita Gregor, Vordarian non può vedere la vittoria neppure di lontano — dichiarò Aral con sicurezza. — Mi sta imputando tutti i crimini che gli vengono in mente. La più dannosa per me è l’accusa che io abbia già ucciso Gregor e miri a diventare Imperatore. Penso che con questo voglia indurmi a rivelare dov’è nascosto il bambino. Sa che non è qui con me, altrimenti avrebbe già tentato un attacco nucleare su questa Base.

Cordelia si accigliò. — Ma preferisce catturare Gregor, oppure vuole ucciderlo?

— Ucciderlo, se non può averlo per utilizzarlo in modo opportuno davanti alle telecamere. È quello che intendo fare io, comunque, quando sarà il momento.

— Perché non subito?

Lui spinse via il piatto con quel che restava della pietanza e si appoggiò allo schienale, con un sospiro stanco. — Perché voglio vedere quanti uomini di Vordarian potrò far passare dalla mia parte prima che il loro tradimento sia ufficiale e irreversibile. Non tutti sono disertori… teste confuse, è il termine più esatto. E io non voglio inaugurare il mio secondo anno di Reggenza con quattro o cinquemila fucilazioni. Tutti quelli al di sotto di un certo grado potranno avere il perdono, perché hanno giurato di ubbidire ai loro comandanti, ma voglio salvare quanti più ufficiali possibile. Cinque Conti dei distretti, oltre a Vordarian, sono condannati fin d’ora. Non ci sarà assoluzione per loro. Maledetto quel bastardo e la sua ambizione.

— Cosa stanno facendo le truppe di Vordarian? C’è un attacco deciso in un punto chiave?

— Non esattamente. Sta impegnando un sacco del suo tempo, e del mio, per impadronirsi di località secondarie, come quei depositi di armi e rifornimenti a Marigrad. Questo ci costringe a rispondere, ad attaccare oppure a ritirarci. E le azioni tengono i suoi comandanti occupati, con la mente lontana dal fatto più determinante, ovvero ciò che faranno le forze spaziali. Ah, se solo potessi avere qui Kanzian!

— I tuoi agenti non l’hanno ancora localizzato? — L’ammiraglio Kanzian era uno dei due alti ufficiali del Servizio che Vorkosigan giudicava più esperti di lui in strategia bellica. Era un uomo anziano, specializzato in operazioni astronautiche, e le forze spaziali barrayarane ne idolatravano l’intelligenza e le capacità. — Non c’è sterco di cavallo appiccicato ai suoi stivali — aveva detto un giorno Koudelka di lui, con divertimento di Cordelia.

— No, ma neppure Vordarian è riuscito ad averlo. Sembra scomparso. Prego Dio che non sia rimasto coinvolto in qualche stupido scontro a fuoco nelle strade e chiuso in un anonimo sacco di plastica fra le vittime non identificate. Che spreco sarebbe.

— Ci sarebbe d’aiuto? Potrebbe convincere alcuni comandanti delle navi da battaglia ad unirsi a noi?

— Perché credi che io stia difendendo la Base Tanery? Ho esaminato la possibilità di dover trasferire il mio Quartier Generale su un’astronave. Per ora è un passo prematuro; potrebbero interpretarlo come il primo sulla via della fuga.

La fuga. Che pensiero seducente. Via, lontano da quei lunatici, con le loro pazzie politiche ridotte a semplici servizi di cronaca diramati da qualche notiziario galattico. Ma… lasciarsi indietro Aral? Cordelia scrutò il suo volto, mentre lui guardava senza vederlo il piatto con gli avanzi della cena. Un uomo stanco e di mezz’età vestito in un’uniforme verde, senza particolari attrattive (salvo i suoi luminosi occhi grigi); un intelletto vivace, ma in continua guerra con istinti aggressivi costruiti in lui da una vita di esperienze bizzarre, emotive, esperienze barrayarane. Avresti potuto innamorarti di un uomo felice, se desideravi la felicità. E invece no, ti sei lasciata incantare dal fascino di questa sua sofferenza…

Due corpi uniti in una sola carne. Quant’era diventata letterale quella formuletta melensa: un grumo di carne prigioniero in un simulatore uterino dietro le linee nemiche legava i loro corpi, come due gemelli siamesi. E se il piccolo Miles fosse morto, si sarebbe spezzato quel legame?

— Come… cosa possiamo fare per gli ostaggi di Vordarian?

Lui sospirò. — Questo è il nocciolo crudo della situazione. Se contiamo le carte in tavola, quelle che possiamo vedere, Vordarian ha in mano oltre venti Conti di distretto, e Kareen. Più alcune centinaia di persone meno importanti.

— Come Elena Bothari?

— Sì. E gli abitanti di Vorbarr Sultana, se è per questo. Potrebbe minacciare la distruzione atomica della città, da ultimo, per avere il permesso di lasciare il pianeta. Mi sono trastullato con l’idea di trattare, dandogli ciò che vuole. Ma solo per farlo assassinare più tardi. Non si può lasciarlo fuggire libero, dopo che tanti sono già morti per difendere il trono da quel traditore. Quale pira funebre potrebbe placare le loro anime? No.

«Così ciò che studiamo ora sono dei raid, delle operazioni di salvataggio da mettere in atto al momento opportuno, quando la lealtà degli uomini raggiungerà il punto critico e Vordarian sarà colto dai primi accenni di panico. Nel frattempo aspettiamo. Se la situazione lo richiederà… dovrò sacrificare gli ostaggi, pur di impedire la vittoria di Vordarian. — Il suo sguardo era lontano, adesso, inespressivo.

— Anche Kareen? — Tutti gli ostaggi? Anche il più piccolo.

— Anche Kareen. È una Vor. Queste cose le sa.

— La prova sicura che io non sono Vor — disse cupamente Cordelia, — è che non capisco nulla di questa… follia rituale. Penso che tutti voi avreste bisogno di terapia psichica, dal primo all’ultimo.

Lui ebbe un lieve sorriso. — Credi che Colonia Beta accetterebbe di mandare un esercito di psichiatri in aiuto di questo disgraziato pianeta? Comandati dalla persona con cui avesti quell’ultima discussione, magari, eh?

Cordelia sbuffò. Be’, la storia di Barrayar aveva una specie di drammatica bellezza, da un punto di vista astratto, da un punto di vista lontano. Il gioco delle passioni. Era da vicino che la stupidità della cosa diventava troppo palpabile, e che il quadro generale si frammentava in particolari caotici senza significato.

Cordelia esitò, poi chiese: — Stiamo già giocando al gioco degli ostaggi? — Non era sicura di voler conoscere la risposta.

Vorkosigan scosse il capo. — No. Questo è stato l’aspetto duro delle ipotesi di trattative studiate nell’ultima settimana: dover guardare negli occhi uomini che hanno mogli e figli alla capitale, e dire di no. — Allineò le posate sul vassoio, con gesti lenti e pensosi. — Ma loro non guardano all’aspetto generale delle cose. Questa non è, finora, una rivoluzione, ma solo un colpo di stato avvenuto a palazzo. La popolazione non si schiera, o meglio si limita a tenere la testa bassa, salvo gli informatori e i pochi coinvolti coi fuggiaschi. Vorkosigan sta facendo appello a una elite di conservatori, ai vecchi Vor, ai militari, ai Conti che non contano più. La cultura tecnologica produce popolani progressisti più in fretta di quanto il sistema scolastico riesca a plasmare conservatori ben istruiti. E il futuro apparterrà ai primi. Io voglio dar loro un metodo che non sia quello dei bracciali colorati per distinguere i buoni dai cattivi. La forza morale dell’esempio è una forza più potente di quel che crede Vordarian. Quale generale terrestre disse che il morale sta al fisico per tre a uno? Ah, Napoleone, sì. Peccato che non abbia seguito il suo stesso consiglio. Io lo valuterei cinque a uno, in questa particolare guerra.

— Ma in quanto all’equilibrio degli armamenti come stiamo? Anche il lato fisico ha la sua importanza.

Vorkosigan scrollò le spalle. — Sia noi che loro ne abbiamo abbastanza da distruggere la superficie del pianeta una dozzina di volte. La forza bruta non è il punto chiave. Ma il fatto che io abbia una posizione legittima è un enorme vantaggio, finché ci sono armi su ambedue i lati. Di conseguenza, ecco che Vordarian mina questa legittimità con l’accusa che io voglia il trono di Gregor. Mi propongo di legarlo con la sua stessa bugia.