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Quando infine riuscì a issarsi in ginocchio rimase ferma per un intero minuto, lottando contro il dolore.

— Mi dispiace — sussurrò. — Non volevo farti del male.

Strisciò quindi in avanti sulle ginocchia, usando il braccio destro come una stampella, uno sforzo che la costrinse a respirare più profondamente e le provocò una fitta al fianco ad ogni respiro.

— Va tutto bene, Roche — sussurrò. — Sto arrivando. Sto arrivando.

Al suono della sua voce il prete tirò su spasmodicamente le gambe e Kivrin si spostò intorno a lui in modo da portarsi fra il suo corpo e il muro laterale, lontano dalla sua portata. Quando aveva scalciato, Roche aveva rovesciato una delle candele di Santa Caterina che adesso giaceva accanto a lui in una polla giallastra, continuando ad ardere. Kivrin la raddrizzò e posò una mano sulla spalla di Roche.

— Zitto — disse. — Va tutto bene. Adesso sono qui.

Il prete smise di urlare.

— Mi dispiace — ripeté Kivrin, chinandosi su di lui. — Non volevo farti male. Intendevo soltanto incidere il bubbone.

Roche contrasse ancora di più le ginocchia. Raccolta la candela rossa, Kivrin la tenne sopra il suo fianco nudo e riuscì a scorgere il bubbone, nero e duro alla luce della fiamma: non lo aveva neppure perforato. Sollevando ulteriormente il lume cercò di vedere dove fosse andato a finire il coltello, che era scivolato in direzione della tomba, ma per quanto protendesse la candela in quella direzione nella speranza di cogliere un riflesso di luce sul metallo non trovò nulla.

Cercò allora di alzarsi, muovendosi con cautela per evitare il dolore, ma la fitta la colse prima che potesse sollevarsi del tutto e lei si piegò in avanti con un grido.

— Cosa c'è? — chiese Roche. Aveva gli occhi aperti e un po' di sangue all'angolo della bocca, il che indusse Kivrin a domandarsi se si fosse morso la lingua mentre urlava. — Ti ho fatto del male?

— No — garantì Kivrin, tornando a inginocchiarsi accanto a lui. — No, non mi hai fatto del male.

E gli pulì la bocca con la manica del proprio giustacuore.

— Devi… — cominciò a dire lui, e quando aprì la bocca ne uscì dell'altro sangue. Inghiottì a fatica e riprese: — Devi dire le preghiere per i morenti.

— No, non morirai — ribatté Kivrin, asciugandogli ancora la bocca, — ma devo incidere il bubbone prima che si rompa da solo.

— Non lo fare — mormorò Roche, e Kivrin non comprese se avesse inteso dirle di non incidere il bubbone o di non andarsene. Aveva i denti serrati e il sangue filtrava in mezzo ad essi.

Kivrin si lasciò scivolare in ginocchio, badando a non gridare, e gli adagiò la testa sul proprio grembo.

— Requiem aeternam dona eis — recitò Roche, emettendo un suono gorgogliante, — et lux perpetua.

Il sangue gli stava filtrando dal palato. Kivrin gli sistemò la testa più in alto appallottolando sotto di essa il mantello purpureo e continuò a pulirgli la bocca e il mento con il proprio giustacuore. Esso era però ormai intriso di sangue, quindi lei si protese a prendere l'alba del prete.

— Non lo fare — ripeté questi.

— Non lo farò — garantì Kivrin. — Sono qui.

— Prega per me — chiese ancora Roche, e cercò di congiungere le mani sul petto. — Nauf…

Nel pronunciare quella parola si soffocò ed essa finì in un suono gorgogliarne.

— Requiem aeternam — recitò Kivrin, congiungendo le proprie mani. — Requiem aeternam dona eis, Domine.

— Et lux… — farfugliò Roche.

La candela rossa accanto a Kivrin tremolò e si spense, pervadendo la chiesa di un acuto odore di fumo. Lei si guardò intorno alla ricerca di altre candele, ma ne restava soltanto una, l'ultima di quelle di cera di Lady Imeyne, ed era consumata fin quasi al bordo del candelabro.

— Et lux perpetua — disse.

— Luceat eis — completò Roche, poi s'interruppe e cercò di umettarsi le labbra insanguinate con la lingua gonfia e rigida. — Dies irae, dies illa — mormorò, inghiottendo ancora, e tentò di chiudere gli occhi.

— Non farlo patire ancora — sussurrò Kivrin, in inglese moderno. — Per favore.

— Beata — le parve di sentir dire a Roche, e cercò di pensare al verso successivo, ma non le venne in mente nulla che cominciasse con «Beata»

— Cosa? — domandò, protendendosi su di lui.

— Negli ultimi giorni — ansimò lui, con voce resa indistinta dalla lingua gonfia.

Kivrin si chinò maggiormente in avanti.

— Temevo che Dio ci avrebbe abbandonati completamente — continuò il prete.

E lo ha fatto, pensò lei, asciugandogli la bocca e il mento. Lo ha fatto.

— Ma nella Sua grande misericordia Lui non lo ha fatto — biascicò Roche, inghiottendo ancora, — e ha mandato la sua Santa fra noi.

Sollevò la testa tossendo e un fiotto di sangue si riversò su entrambi, inzuppando il petto di lui e le ginocchia di Kivrin, che cercò freneticamente di tamponare l'emorragia, di tenergli alta la testa, con gli occhi così annebbiati dal pianto da non riuscire a pulire il sangue.

— Ed io non servo a niente — mormorò, asciugandosi le lacrime.

— Perché piangi?

— Mi hai salvato la vita — disse Kivrin, con voce contratta da un singhiozzo, — ed io non posso salvare la tua.

— Tutti gli uomini devono morire — dichiarò Roche, — e nessuno, neppure Cristo, li può salvare.

— Lo so — annuì lei, piegando una mano a coppa contro la faccia per cercare di frenare le lacrime, che le si raccolsero nel palmo per poi gocciolare sul collo di Roche.

— E tuttavia tu mi hai salvato — insistette il prete, con voce d'un tratto limpida. — Dalla paura. — Trasse un respiro gorgogliarne e aggiunse: — E dall'incredulità.

Kivrin si asciugò le lacrime con il dorso della mano e strinse quella di Roche, che era fredda e già rigida.

— Sono il più benedetto fra gli uomini per averti avuta qui con me — sussurrò, e chiuse gli occhi.

Kivrin si spostò un poco in modo da poter addossare la schiena al muro. Fuori era buio, dalle strette finestre non filtrava traccia di luce. La candela di Lady Imeyne tremolò poi riprese ad ardere. Kivrin spostò la testa di Roche in modo che non le gravasse troppo contro le costole e lui gemette, muovendo la mano di scatto come per liberarla dalla sua, ma lei non allentò la presa. La candela ebbe un improvviso bagliore di luce più intensa e si spense, lasciandoli nel buio.

ESTRATTO DAL DOMESDAY BOOK
(064996-065537)

Temo che non riuscirò a tornare indietro, Signor Dunworthy. Roche mi ha detto dove si trova il sito, ma credo di avere alcune costole rotte e non ci sono più cavalli. E senza sella non penso di poter montare sull'asino di Roche.

Ho intenzione di cercare di fare in modo che la Signora Montoya trovi questa registrazione. Dica al Signor Latimer che l'inflessione aggettivale era ancora prominente nel 1348, e dica al Signor Gilchrist che si sbagliava. Le statistiche non erano esagerate.

(Pausa)

Non voglio che dia a se stesso la colpa di quello che è successo. So che sarebbe venuto a prendermi se soltanto fosse stato possibile, ma non sarei potuta tornare lo stesso, non mentre Agnes era malata.

Volevo venire qui, e se non lo avessi fatto tutti costoro sarebbero morti in completa solitudine, e nessuno avrebbe mai saputo quanto erano spaventati, coraggiosi e insostituibili.

(Pausa)

È strano. Quando non sono riuscita a trovare il sito e quando poi è arrivata la peste, lei mi sembrava così lontano che non sarei mai più riuscita a ritrovarla, ma adesso so che è sempre stato qui e che nulla, né la Morte Nera né settecento anni di distanza, né la morte né cose a venire né qualsiasi altra creatura potrebbe mai separarmi dal suo affettuoso interessamento. Esso è stato con me in ogni minuto.