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— Devi cercare di ricordare — replicò Roche, liberando una mano e agitandola. — Agnes, oltre il bivio.

Pensando che stesse delirando, Kivrin si sollevò in ginocchio, temendo che lui cercasse ancora di alzarsi.

— Dove sei caduta — insistette il prete, puntellando l'altra mano sotto il gomito del braccio che stava agitando per sostenerlo, e Kivrin si rese conto che cercava di indicare una direzione. — Oltre il bivio.

Oltre il bivio.

— Cosa c'è oltre il bivio? — chiese.

— Il posto dove ti ho trovata quando sei caduta dal cielo — rispose lui, lasciando ricadere il braccio.

— Credevo che fosse stato Gawyn a trovarmi.

— Sì — replicò il prete, come se non avesse notato la contraddizione in ciò che lei aveva detto. — L'ho incontrato lungo la strada mentre ti stavo portando al maniero.

Aveva incontrato Gawyn lungo la strada.

— Il posto dove Agnes è caduta — continuò il prete, cercando di aiutarla a ricordare. — Il giorno in cui siamo andati a prendere l'agrifoglio.

Perché non me lo hai detto mentre eravamo là? pensò Kivrin, ma comprese da sola la risposta. Il prete era stato impegnato con l'asino, che si era impuntato in cima alla collina e si era rifiutato di procedere oltre.

L'animale si era impuntato perché in precedenza l'aveva vista apparire dal nulla… di colpo Kivrin comprese che era stato Padre Roche a sostare accanto a lei nella radura, guardandola mentre giaceva distesa con il braccio che le copriva la faccia.

L'ho sentito, pensò. Ho visto le sue tracce.

— Devi tornare in quel luogo, e di là in cielo — sussurrò Roche, e chiuse gli occhi.

L'aveva vista apparire ed era rimasto fermo accanto a lei mentre giaceva al suolo con gli occhi chiusi, l'aveva caricata sull'asino allorché si era ammalata… e lei non lo aveva mai intuito, neppure quando lo aveva visto in chiesa, neppure quando Agnes le aveva riferito che il prete pensava che lei fosse una santa.

Non lo aveva intuito perché Gawyn aveva affermato di essere stato lui a trovarla… Gawyn, che era «propenso a vantarsi» e che non desiderava altro che fare impressione su Lady Eliwys.

— Ti ho trovata e ti ho portata qui — le aveva detto, e forse non aveva neppure ritenuto che fosse una bugia, perché in fin dei centi il prete del villaggio era una persona senza importanza. E per tutto quel tempo, mentre Rosemund era malata e Gawyn lontano sulla strada di Bath e la rete aperta e poi di nuovo chiusa per sempre, Roche aveva saputo dove fosse il sito.

— Non c'è bisogno che mi aspetti — aggiunse il prete. — Senza dubbio sono ansiosi di vederti tornare.

— Zitto — replicò lei, con gentilezza. — Ora cerca di dormire.

Roche scivolò di nuovo in un dormiveglia agitato, con le mani che si muovevano senza requie, cercando di indicare qualcosa e tormentando le coltri, poi le spinse indietro e cercò di serrarsi l'inguine.

Riflettendo che a quel poveretto non veniva proprio risparmiata nessuna indegnità, Kivrin gli pose di nuovo le mani sul petto e lo coprì, ma lui si tornò a scoprire e si tirò la tunica sui calzoni, poi si strinse l'inguine e rabbrividì, allentando la presa… e qualcosa nel suo movimento indusse Kivrin a ricordare Rosemund.

Si accigliò. Il prete aveva vomitato sangue, e quel particolare insieme allo stadio dell'epidemia l'avevano indotta a pensare che il suo fosse un caso di peste polmonare, senza contare che quando gli aveva tolto la casacca non aveva visto tracce di bubboni sotto le ascelle. Spinse di lato la tunica in modo da esporre la grezza calzamaglia di lana… non sarebbe mai riuscita a sfilarla senza sollevarlo, e c'era una tale quantità di tessuto ripiegato che non riusciva a vedere niente.

Con delicatezza gli posò una mano sulla coscia, ricordando quanto fosse stato sensibile il braccio di Rosemund; lui sussultò senza svegliarsi, e Kivrin spinse la mano all'interno e verso l'alto, toccando appena la stoffa. Era rovente.

— Perdonami — disse, insinuando la mano verso l'inguine.

Roche urlò ed ebbe un movimento convulso che lo indusse a sollevare bruscamente le ginocchia, ma Kivrin si era già ritratta con la mano premuta sulla bocca. Il bubbone era enorme e rovente al tocco. Avrebbe dovuto essere inciso già da ore.

Anche se aveva urlato, Roche non si era svegliato. Aveva la faccia chiazzata, il suo respiro era costante e rumoroso e il movimento convulso lo aveva scoperto di nuovo. Kivrin si chinò a coprirlo e lui sollevò subito le ginocchia, ma con minore violenza, permettendole di avvolgerlo nelle coltri, prima di prendere l'ultima candela rimasta sulla parete divisoria e metterla in una lanterna per poi accenderla ad una di quelle che ardevano davanti a Santa Caterina.

Nel granaio c'era il coltello affilato che lei aveva usato per tagliare la corda quando stava caricando l'asino. Avrebbe dovuto sterilizzarlo e usarlo per incidere il bubbone, perché doveva aprire il nodulo linfatico prima che si infrangesse da solo. Quando si formavano all'inguine i bubboni erano pericolosamente vicini all'arteria femorale… anche se Roche non fosse morto dissanguato quando esso si fosse rotto, di certo il veleno sarebbe entrato nella circolazione sanguigna. Avrebbe dovuto inciderlo già da ore.

Corse lungo il passaggio fra il granaio e la stia vuota ed entrò nel cortile. La porta della stalla era aperta e si poteva sentire qualcuno muoversi all'interno.

— Chi c'è? — domandò Kivrin, sollevando la testa di scatto e alzando la lanterna.

La mucca del castaldo era in uno degli stalli, intenta a mangiare l'avena rovesciata. La bestia guardò verso di lei, muggì e si mise a correre nella sua direzione con passo incespicante.

— Non ho tempo — disse Kivrin, raccogliendo il coltello che giaceva in mezzo ad un groviglio di corde e uscendo a precipizio. La mucca la seguì con andatura goffa a causa delle mammelle piene di latte e muggendo pietosamente.

— Vattene — ingiunse Kivrin, prossima alle lacrime. — Devo aiutarlo, altrimenti morirà.

Guardò il coltello: era sporco… lo era già stato quando lei lo aveva preso in cucina, e dopo averlo usato per tagliare la corda lo aveva lasciato cadere fra il concime e la polvere che coprivano il pavimento della stalla.

Andò al pozzo e raccolse un secchio. Sul fondo c'erano soltanto un paio di centimetri d'acqua, coperti da una crosta di ghiaccio, troppo poca per lavare il coltello e ci sarebbe comunque voluta un'eternità per accendere il fuoco e far bollire l'acqua. Non c'era tempo per farlo, era possibile che il bubbone si fosse già rotto. Ciò di cui aveva bisogno era una bottiglia di alcool, ma avevano consumato il vino per disinfettare i bubboni incisi e somministrare i sacramenti a tutti i morenti. Poi ricordò la bottiglietta di vino che il segretario aveva avuto con sé, quando era nella stanza di Rosemund.

La mucca le assestò una spinta.

— No — ribatté Kivrin, in tono deciso, e aprì la porta del maniero, sollevando la lanterna.

L'anticamera era buia, ma la luce del sole filtrava nella sala attraverso le strette finestre, creando lunghe colonne di luce polverosa che illuminavano il focolare spento, la tavola alta e il sacco di mele che Kivrin aveva rovesciato su di esso.

I topi non fuggirono al suo apparire: si limitarono a sollevare su di lei lo sguardo dei loro occhietti neri per poi tornare a mangiare le mele. Erano quasi una dozzina, tutti sul tavolo tranne uno che sedeva sullo sgabello a tre gambe appartenuto ad Agnes, con le zampine delicate accostate al muso come se stesse pregando.

— Andate via — disse Kivrin, posando la lanterna per terra.

I topi sul tavolo non sollevarono neppure lo sguardo, mentre quello sullo sgabello la fissò con freddezza da sopra le zampe congiunte, come se fosse stata un'intrusa.

— Andate via di qui! — urlò Kivrin, correndo verso di loro.

Ancora i topi non si mossero. Due di essi si spostarono dietro la saliera e uno lasciò cadere con un tonfo sul tavolo la mela che aveva fra le zampe. Il frutto rotolò oltre il bordo e sul pavimento coperto di giunchi.