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La gente del quattordicesimo secolo aveva creduto che quella fosse la fine del mondo, che l'Armageddon fosse giunto e che Satana avesse infine trionfato. Ed ha trionfato, pensò Dunworthy. Ha disattivato la rete e perso i dati.

Ripensò quindi a Gilchrist e si domandò se prima di morire si fosse reso conto di ciò che aveva fatto, o se avesse giaciuto in stato d'incoscienza, ignaro di aver assassinato Kivrin.

— «E Gesù li condusse fino a Betania» — stava leggendo la Signora Gaddson, — «e sollevò le mani e li benedisse. E accadde che mentre li stava benedicendo venne separato da loro e portato in cielo»

Venne separato da loro e portato in cielo, pensò Dunworthy. Dio era venuto a prenderlo, ma troppo tardi. Troppo tardi.

La Signora Gaddson continuò la lettura fino a quando l'infermiera bionda tornò nella stanza.

— Ora di dormire — annunciò in tono deciso, facendo uscire la Signora Gaddson, poi si avvicinò al letto, sottrasse il cuscino da sotto la testa di Dunworthy e gli assestò alcune manate decise.

— Colin è venuto? — domandò lui.

— Non lo vedo da ieri — replicò la ragazza, rimettendogli il cuscino sotto la testa. — Adesso voglio che cerchi di riposare.

— La Signora Montoya è stata qui?

— Anche lei non si vede da ieri — rispose la ragazza, porgendogli una pastiglia e un bicchiere di carta.

— Ci sono stati messaggi?

— Niente messaggi.

Niente messaggi. Kivrin aveva detto a Montoya che avrebbe cercato di farsi seppellire nel cortile della chiesa, ma durante la peste erano rimasti a corto di spazio nei cortili delle chiese e avevano seppellito i morti in trincee improvvisate e nei fossi, li avevano addirittura gettati nel fiume, e verso la fine non li avevano seppelliti affatto, limitandosi ad ammucchiare i corpi e ad appiccarvi il fuoco.

Montoya non sarebbe mai riuscita a trovare il registratore, e se anche lo avesse recuperato, quali messaggi potevano esservi registrati? Qualcosa come:

— Sono andata al sito ma la rete non si è aperta. Cosa è successo? — E la voce di Kivrin che saliva di tono per il panico e gridava con rimprovero: — Eloi, eloi, perché mi hai abbandonata?

L'infermiera amica di William gli permise di sedere su una sedia per mangiare il pranzo, e mentre stava finendo le prugne cotte arrivò Finch.

— Abbiamo quasi esaurito la frutta in scatola — commentò, indicando il vassoio di Dunworthy, — e la carta igienica. Non ho idea di come ci si aspetta che possiamo cominciare il trimestre — si lamentò, sedendosi sul letto. — L'università ne ha fissato l'inizio per il venticinque, ma è semplicemente impossibile essere pronti per allora. Abbiamo ancora quindici pazienti nell'ala Salvin, l'immunizzazione di massa non è quasi cominciata e non sono convinto che non ci saranno altri casi.

— Cosa mi dice di Colin? — domandò Dunworthy. — Sta bene?

— Sì, signore. È apparso un po' malinconico dopo il decesso della Dottoressa Ahrens ma il suo umore è decisamente migliorato da quando lei ha cominciato a riprendersi.

— Voglio ringraziarla per averlo aiutato — disse Dunworthy. — Colin mi ha informato che è stato lei a occuparsi del funerale.

— Oh, sono stato lieto di poterlo aiutare, signore… vede, il ragazzo non aveva nessuno. Ero certo che sua madre sarebbe venuta adesso che il pericolo era passato ma lei ha detto che era troppo difficile organizzare ogni cosa con un preavviso tanto breve e ha mandato degli splendidi fiori… gigli e gladioli. Abbiamo tenuto il servizio funebre nella cappella di Balliol — aggiunse, poi cambiò posizione sul letto e continuò: — Oh, a proposito della cappella, spero che non le dispiaccia se abbiamo dato al prete della Santa Chiesa Riformata il permesso di usarla per un concerto di campane a mano il giorno quindici. I suonatori americani devono eseguire «Quando Infine Viene il Mio Salvatore» di Rimbauld, ma la chiesa del culto riformista è stata requisita dall'SSN come centro d'immunizzazione. Spero di aver agito bene.

— Sì — rispose distrattamente Dunworthy, che stava pensando a Mary, chiedendosi quando avevano tenuto il funerale e se dopo avessero suonato la campana.

— Se vuole posso dire che lei preferisce che venga usata la chiesa di St. Mary — insistette Finch, in tono ansioso.

— No, certo che no — replicò Dunworthy. — La nostra cappella andrà benissimo. È evidente che ha svolto un ottimo lavoro in mia assenza.

— Ci provo, signore, anche se è difficile avendo la Signora Gaddson in circolazione — si schermì Finch, alzandosi. — Non voglio impedirle oltre di riposare. C'è qualcosa che posso portarle, qualcosa che posso fare per lei?

— No, non può fare nulla — disse Dunworthy.

Finch si avviò verso la porta, ma poi si fermò.

— La prego di accettare le mie condoglianze, Signor Dunworthy — mormorò, a disagio. — So quanto foste vicini lei e la Dottoressa Ahrens.

Vicini, pensò lui, dopo che Finch se ne fu andato. Non le sono stato affatto vicino.

Cercò di ricordare Mary che si chinava su di lui per somministrargli una capsula termometrica e che scrutava con ansia gli schermi con i suoi dati; cercò di ricordare Colin fermo accanto al suo letto con indosso la giacca nuova e la sciarpa grigia, mentre gli diceva: 'La prozia Mary è morta. Morta. Riesce a sentirmi?' Ma non trovò nessun ricordo. Nulla di nulla.

L'infermiera venne ad agganciare una nuova bottiglia alla flebo e il suo contenuto lo mandò nel mondo dei sogni. Al risveglio si sentì nettamente meglio.

— È l'inoculazione per rinforzare i linfociti T che sta attecchendo — lo informò l'infermiera amica di William. — È un fenomeno che abbiamo riscontrato in parecchi casi, alcuni dei quali hanno avuto un recupero davvero miracoloso.

Lo obbligò quindi ad arrivare alla toilette con le sue forze e dopo mangiato a fare una passeggiatina nel corridoio.

— Quanto più lontano riesce ad arrivare e meglio sarà — disse, chinandosi per infilargli le pantofole.

Non devo andare da nessuna parte, pensò lui. Gilchrist ha disattivato la rete.

L'infermiera gli fissò alla spalla con il nastro adesivo la bottiglietta della flebo e lo aiutò a infilare la vestaglia.

— Non si deve preoccupare per la depressione — commentò, mentre lo faceva alzare dal letto. — Si tratta di un sintomo comune dell'influenza e svanirà non appena il suo equilibrio chimico sarà stato ripristinato. Forse gradirà fare visita a qualcuno dei suoi amici — aggiunse, accompagnandolo nel corridoio. — Nella corsia in fondo al corridoio abbiamo due pazienti di Balliol. La Signora Piantini è nel quarto letto e avrebbe proprio bisogno di essere tirata su di morale.

— Il Signor Latimer è… — cominciò Dunworthy, poi s'interruppe prima di concludere. — Il signor Latimer è ancora ricoverato?

— Sì — replicò la ragazza, e dal suo tono Dunworthy comprese che Latimer non si era ripreso dal colpo apoplettico. — Lo troverà due porte più in giù.

Dunworthy si avviò lungo il corridoio strascicando i piedi e raggiunse la porta di Latimer. Non era andato a trovarlo quando si era ammalato in un primo tempo perché stava aspettando la chiamata di Andrews e poi perché l'ospedale aveva esaurito i set IPS. Comunque Mary gli aveva riferito che Latimer aveva riportato una paralisi completa con perdita di tutte le funzioni.

Spinse la porta ed entrò nella stanza di Latimer, che giaceva con le braccia distese lungo i fianchi, quello sinistro un po' piegato in modo da creare lo spazio necessario per l'ago della flebo; altri tubi erano collegati al naso e alla gola, fibre ottiche andavano dalla testa e dal petto agli schermi sopra il letto, e anche se quel reticolato di cavi gli oscurava in parte la faccia Latimer non mostrava di esserne infastidito.

— Latimer? — chiamò Dunworthy, fermandosi accanto al letto.

Non ci fu nessuna indicazione che il malato avesse sentito. I suoi occhi erano aperti ma non si spostarono in reazione al suono e la sua faccia rimase immutata sotto il groviglio di cavi e di tubi. Latimer aveva un'espressione vaga e remota, come se stesse cercando di ricordare qualche verso di Chaucer.