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In conformità alla legge Orgota, secondo la quale ciascuna «unità» deve avere un impiego, io lavoro dall'Ottava Ora a mezzogiorno in una fabbrica di materie plastiche. Un lavoro facile; io opero una macchina che unisce e salda dei pezzi di plastica, per formare delle piccole scatole trasparenti. Non so quale sia lo scopo delle scatole. Nel pomeriggio, sentendomi depresso e stanco, ho ripreso le vecchie discipline che ho appreso a Rotherer.

Sono felice di vedere che non ho perso la vecchia perizia nel riunire la forza del dothe, o nell'entrare nel non-trance; ma dal non-trance traggo ben poco giovamento, e in quanto alle tecniche dell'immobilità e del digiuno, sembra quasi che io non le abbia imparate, e devo ricominciare tutto dall'inizio, come un bambino. Digiuno ormai da un giorno, e il mio stomaco protesta violentemente. Una settimana! Un mese!

La notte si gela, ormai; questa notte un vento forte e gelido porta con sé pioggia ghiacciata. Per tutta la sera ho pensato continuamente a Estre, e il suono del vento mi sembra il suono del vento che soffia là. Questa notte ho scritto a mio figlio, una lunga lettera. Mentre scrivevo ho avuto sempre il senso della presenza di Arek, come se, girandomi, avessi dovuto vederlo. Perché tengo degli appunti come questi? Perché li legga mio figlio? Gli farebbero ben poco di buono. Non gli sarebbero certo di giovamento. Io scrivo solo per scrivere nella mia lingua, forse.

Harhahad Susmy. Ancora nessuna menzione dell'Inviato è stata fatta alla radio, neppure una parola. Mi domando se Genly Ai capisca che in Orgoreyn, malgrado il vasto apparato visibile del governo, nulla venga fatto visibilmente, nulla venga detto a voce alta. La macchina nasconde le macchinazioni.

Tibe vuole insegnare a Karhide come mentire. Lui prende le sue lezioni da Orgoreyn: una buona scuola. Ma credo che faticheranno molto ad apprendere come mentire, avendo per tanto tempo praticato l'arte di girare e girare attorno alla verità senza mai mentire su di essa, oppure raggiungerla.

Un grande assalto Orgota ieri, attraverso l'Ey; hanno bruciato tutti i granai di Tekember. Precisamente quello che vuole il Sarf, e che vuole Tibe. Ma dove può finire?

Slose, avendo rivolto sull'Inviato e sulle sue affermazioni il suo misticismo Yomesh, interpreta la venuta dell'Ecumene sulla terra come l'avvento del Regno di Meshe tra gli uomini, e perde di vista il nostro proposito.

«Dobbiamo porre fine a questa rivalità con Karhide prima che vengano gli Uomini Nuovi,» dice. «Dobbiamo ripulire i nostri spiriti per prepararli alla loro venuta. Dobbiamo purificarci, e dimenticare lo shifgrethor, proibire qualsiasi atto di vendetta, e unirci insieme come fratelli senza invidia, come un solo Focolare.»

Ma come, fino a quando essi non saranno venuti? Come spezzare il circolo?

Guyrny Susmy. Slose dirige un comitato che si propone di sopprimere gli spettacoli osceni eseguiti nelle pubbliche case del kemmer locali; devono essere l'equivalente degli huhuth karhidi. Slose si oppone a essi perché sono triviali, banali, volgari, e blasfemi.

Opporsi a qualcosa significa mantenerlo.

Qui dicono «tutte le strade portano a Mishnory». Certo, se voltate le spalle a Mishnory e vi allontanate da essa, siete ancora sulla strada di Mishnory. Opporsi alla volgarità significa inevitabilmente essere volgari. Voi dovete andare in qualche altro posto; dovete avere un'altra mèta; allora potrete percorrere una strada diversa.

Yegey nella Sala dei Trentatré oggi: «Mi oppongo con incrollabile fermezza a questo blocco delle esportazioni di grano a Karhide, e allo spirito di competizione che lo motiva.» Abbastanza giusto, ma andando da questa parte, non uscirà dalla strada di Mishnory. Lui deve offrire un'alternativa. Orgoreyn e Karhide devono entrambe smettere di seguire la strada sulla quale si trovano, sia in una direzione che nell'altra; devono andare altrove, e rompere il circolo. Yegey, secondo me, dovrebbe parlare dell'Inviato, e di niente altro.

Essere ateo significa mantenere Dio. La sua esistenza, o la sua inesistenza, ammontano alla stessa cosa, sul piano delle prove. Perciò prova è una parola che non viene usata spesso tra gli Handdarata, che hanno scelto di non trattare Dio come un fatto, soggetto sia alla prova che alla fede: ed essi hanno spezzato il circolo, e ne sono usciti, liberi.

Imparare quali domande non hanno risposta, e non rispondere a esse; questa qualità è la più necessaria in tempi di tensione e di oscurità.

Tormenbod Susmy. La mia inquietudine cresce: ancora neanche una parola sull'Inviato è stata pronunciata alla Radio dell'Ufficio Centrale. Nessuna delle notizie che noi diffondevamo su di lui, da Erhenrang, è stata mai diffusa qui, e le voci nate dalle intercettazioni radio illegali nei paesi di frontiera, e dalle storie dei mercanti e dei viaggiatori, apparentemente non si sono mai diffuse ampiamente. Il Sarf ha un controllo più completo, sulle comunicazioni, di quanto io sapessi, o credessi possibile. La possibilità è terrificante, e incute rispetto. In Karhide il re e il kyorremy esercitano un buon controllo su quel che il popolo fa, ma ben poco su quello che il popolo ascolta, e nessuno su quello che il popolo dice. Qui, il governo può controllare non solo le azioni, ma il pensiero. Certamente nessun uomo dovrebbe mai avere un simile potere su altri uomini.

Shusgis e altri portano per la città Genly Ai apertamente. Mi chiedo se egli capisca che questa apparente assenza di segretezza nasconde il fatto che lui è nascosto. Nessuno sa che egli è qui. Lo chiedo ai miei compagni di lavoro nella fabbrica, e loro non sanno niente e pensano che io parli di qualche pazzo rappresentante di una setta Yomesh. Nessuna informazione, nessun interesse, nulla che possa far progredire la causa di Ai, o proteggere la sua vita.

È un peccato che il suo aspetto sia così simile al nostro. A Erhenrang, la gente spesso lo indicava a dito per la strada, perché là il popolo sapeva una parte della verità, o delle chiacchiere, che lo riguardavano, e sapeva che lui era là. Qui, dove la sua presenza è tenuta segreta, la sua persona non viene notata. Essi lo vedono, senza dubbio, come io lo vedevo all'inizio: un giovane insolitamente alto, scuro e forte, appena entrato nel kemmer. Ho studiato i rapporti dei medici su di lui, l'anno scorso. Le sue differenze da noi sono profonde. Non sono superficiali. Uno deve conoscerlo, per sapere che è alieno.

Perché lo tengono nascosto, allora? Perché uno dei Commensali non forza la situazione, parlando di lui in un discorso pubblico, o alla radio? Perché perfino Obsle tace? Per paura.

Il mio re aveva paura dell'Inviato; costoro hanno paura l'uno dell'altro.

Penso che io, uno straniero, sia l'unica persona della quale Obsle si fida. Egli trae un certo piacere dalla mia compagnia (come io dalla sua), e diverse volte ha abbassato lo shifgrethor e mi ha chiesto apertamente un consiglio. Ma quando io lo esorto a parlare, a sollevare l'interesse pubblico come difesa dagli interessi delle fazioni, lui non mi ascolta.

— Se l'intera Commensalità avesse gli occhi su di lui, sull'Inviato, il Sarf non oserebbe toccarlo — gli dico, — e non oserebbe toccare voi, Obsle.

Obsle sospira.

— Sì, sì, ma non possiamo farlo, Estraven. Radio, bollettini stampati, periodici scientifici, sono tutti nelle mani del Sarf. Cosa devo fare, dei discorsi agli angoli delle strade, come qualche fanatico?

— Be', si può parlare al popolo, si possono mettere in movimento delle voci; ho dovuto fare qualcosa dello stesso genere io stesso a Erhenrang, l'anno passato. Indurre il popolo a fare delle domande per le quali avete una risposta, cioè, lo stesso Inviato.

— Se lui portasse qui quella maledetta Nave, almeno, in modo che avessimo qualcosa da mostrare al popolo! Ma così come stanno le cose…

— Lui non farà scendere la sua Nave fino a quando non saprà che voi state agendo in buona fede.