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— Non troppo male.

— Neppure voi vi fidate di Harth, vero?

— No, infatti.

— Sono lieto di sentirvelo dire, signor Ai. Non capisco per quale motivo Yegey e Obsle rimangano attaccati a quell'individuo. È un traditore dimostrato, che desidera solo il proprio vantaggio, e cerca di rimanere aggrappato alla vostra slitta, signor Ai, finché potrà continuare ad andare avanti. Così la vedo io. Ebbene, non credo proprio che io potrei dargli un passaggio gratuito, se egli venisse a chiedermelo! — Shusgis sbuffò, e annuì vigorosamente, approvando l'opinione che lui stesso aveva espresso, e mi sorrise, il sorriso di un uomo virtuoso a un suo pari. L'auto continuò a muoversi uniformemente per le ampie strade, bene illuminate. La neve del mattino si era sciolta, a eccezione di qualche mucchietto sporco, tra le gronde di scolo; ora stava piovendo, una pioggia fredda, fitta e battente.

I grandi edifici del centro di Mishnory, uffici governativi, scuole, templi Yomesh, erano così confusi dalla pioggia battente, nel liquido chiarore delle altre lampade stradali, che parevano fondersi come la neve del mattino. I loro angoli erano vaghi, le facciate confuse, striate, oscillanti, sporche. C'era qualcosa di fluido, d'immateriale, nella stessa massiccia pesantezza di questa città fatta di monoliti, di questo stato monolitico che chiamava con lo stesso nome le parti e l'intero. E Shusgis, il mio ospite gioviale, un uomo massiccio, un uomo materiale, anche lui era, chissà come, intorno agli angoli e ai margini, un po' vago, un poco, appena un poco irreale.

Dal momento in cui io ero partito, a bordo di un'auto, attraversando i vasti campi dorati di Orgoreyn, quattro giorni prima, cominciando il mio procedere verso quel santuario, verso quel cuore pulsante che era Mishnory, quel procedere che aveva avuto successo al di là delle mie prime speranze, avevo trascurato qualcosa, non ero riuscito a cogliere qualcosa. Ma che cosa? Mi sentivo isolato. Non avevo avvertito il freddo, negli ultimi tempi. Qui tenevano le camere convenientemente riscaldate. Non avevo mangiato con piacere, negli ultimi tempi. La cucina Orgota era insipida; non c'era alcun male, in questo. Ma perché le persone che conoscevo, qualunque fosse la loro disposizione nei miei confronti, buona o cattiva, perché anch'esse sembravano insipide? C'erano delle personalità vivide in mezzo a loro… Obsle, Slose, il bellissimo e detestabile Gaum… eppure ciascuno di loro mancava di una qualità, di una dimensione d'essere; e non riuscivano a convincere. Non erano completamente solidi.

Era, pensai, come se essi non proiettassero delle ombre.

Questo genere di speculazione alquanto fantasiosa è una componente essenziale del mio lavoro. Senza qualche capacità per essa, non avrei potuto dimostrarmi abile per la posizione di Mobile, e avevo ricevuto un addestramento formale in questo campo su Hain, dove la qualità viene nobilitata dal titolo di Conclusione Remota. Nell'intuizione remota, quello che si cerca può essere descritto come la percezione intuitiva di un'integrità morale; e perciò tende a trovare un'espressione non in simboli razionali, ma in metafora. Non ero mai stato un maestro d'intuizione remota, e quella sera non mi fidavo affatto delle mie intuizioni, essendo molto stanco. Quando fui di nuovo nel mio appartamento, mi rifugiai sotto una doccia calda. Ma perfino là provai un vago disagio, come se neppure l'acqua calda fosse del tutto reale e sicura, e fosse impossibile contare realmente su di essa.

CAPITOLO UNDICESIMO

Soliloqui a Mishnory

Mishnory. Streth Susmy. Io non sono avvezzo alla speranza, eppure tutti gli avvenimenti mostrano un motivo di speranza. Obsle discute e manovra con i suoi pari Commensali, Yegey impiega la gentilezza e cerca di blandirli, Slose fa proseliti, e la forza del loro seguito aumenta. Sono uomini astuti, e tengono perfettamente in mano la loro fazione. Soltanto sette dei Trentatré sono sicuri Liberi Mercanti; degli altri, Obsle pensa di ottenere il sicuro appoggio di dieci, avendo così una ristrettissima maggioranza.

Uno di loro sembra avere un vero interesse per l'Inviato: il Commensale Ithepen del Distretto di Eynyen, che ha mostrato curiosità per la Missione Aliena fin da quando, lavorando per il Sarf, aveva avuto il compito di censurare le trasmissioni che noi facevamo partire da Erhenrang. Apparentemente, egli porta il peso di queste operazioni di censura sulla coscienza. Ha proposto a Obsle che i Trentatré annuncino il loro invito alla Nave Stellare non solo ai loro concittadini, ma nello stesso tempo anche a Karhide, chiedendo ad Argaven di unire la voce di Karhide all'invito. Un nobile piano, e non sarà certo seguito. Non chiederanno a Karhide di unirsi a loro, qualunque sia l'argomento.

Gli uomini del Sarf, tra i Trentatré, naturalmente si oppongono anche a una semplice presa in considerazione della presenza e della missione dell'Inviato. In quanto agli elementi tiepidi e non compromessi che Obsle spera di arruolare, credo che essi abbiano paura dell'Inviato, quasi quanto ne avevano paura Argaven e la maggioranza della Corte; con questa differenza, che Argaven lo credeva pazzo, come se stesso, mentre loro lo ritengono un bugiardo, come loro stessi. Hanno paura d'inghiottire una grande menzogna pubblicamente, una menzogna già rifiutata da Karhide, una menzogna che forse è stata addirittura inventata da Karhide. Loro fanno l'invito, e lo rendono di pubblico dominio; e cosa succederebbe, che ne sarebbe del loro shifgrethor, nel momento in cui non arrivasse nessuna Nave Stellare?

In effetti, Genly Ai ci chiede una fiducia fuori del comune.

Per lui, evidentemente, non è fuori del comune.

E Obsle e Yegey credono che la maggioranza dei Trentatré possa essere indotta ad avere fiducia in lui. Non so perché io sia meno speranzoso di loro; forse in realtà io non voglio che Orgoreyn si dimostri più illuminata di Karhide, che corra il rischio e si conquisti il merito e le lodi e lasci nell'ombra Karhide. Se questa invidia è patriottica, arriva troppo tardi; non appena ho capito che Tibe mi avrebbe fatto esiliare, ho fatto tutto quel che potevo affinché l'Inviato giungesse in Orgoreyn, e in esilio, qui, ho fatto quel che ho potuto per conquistare proseliti alla sua causa.

Grazie al denaro che egli mi ha portato, il denaro di Ashe, adesso io vivo di nuovo da solo, come una «unità» e non come un «dipendente». Non vado più ai banchetti, e non mi faccio più vedere in pubblico con Obsle o con altri sostenitori dell'Inviato, ed è ormai un mezzo-mese che non vedo più l'Inviato, dal suo secondo giorno a Mishnory.

Lui mi ha dato il denaro di Ashe allo stesso modo in cui qualcuno darebbe a un assassino prezzolato il suo compenso. Raramente sono stato così in collera, e l'ho insultato deliberatamente. Lui non ha capito di essere stato insultato: apparentemente, egli ha accettato il mio consiglio, malgrado il modo in cui è stato dato; e quando la mia collera si è raffreddata ho capito questo, e ne sono stato preoccupato. È possibile che per tutto il tempo trascorso a Erhenrang egli abbia cercato il mio consiglio, non sapendo come dirmi che lo cercava? In questo caso, allora, deve avere frainteso metà e non compreso il resto di quel che io gli ho detto, davanti al mio focolare, nel Palazzo, la notte dopo la Cerimonia della Chiave di Volta. Il suo shifgrethor deve essere trovato, e composto, e sostenuto, del tutto diversamente dal nostro; e quando io ho creduto di essere più diretto, spregiudicato e franco con lui, deve avermi trovato più sottile e oscuro che mai.

La sua ottusità è ignoranza. La sua arroganza è ignoranza. Lui è ignorante di quel che ci riguarda; noi di quel che riguarda lui. Lui è infinitamente straniero, e io sono uno stupido, perché ho permesso che la mia ombra attraversasse la luce della speranza che lui ci porta. Devo tener bassa la mia vanità mortale. Devo tenermi fuori della sua strada; perché chiaramente è questo che lui vuole. Lui ha ragione. Un traditore karhidi in esilio non porta alcun credito alla sua causa.