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Chiamai il Vicksburg Hilton. No, il signore e la signora Perreault se n’erano andati. No, non avevano lasciato nessun indirizzo. Spiacentiii!

Anch’io, e la voce sintetica del computer non mi era di conforto. Chiamai l’università McGill a Montréal e persi venti minuti a «scoprire» che sì il dottor Perreault era cattedratico presso quella università, ma al momento si trovava all’università di Manitoba. L’unico fatto nuovo fu che il computer di Montréal sintetizzava sia in inglese sia in francese senza problemi, e rispondeva sempre nella lingua dell’interlocutore. Molto in gamba, questi banditi dell’elettronica; troppo in gamba, secondo me.

Provai il codice di Janet (Ian) a Winnipeg, venni informata che il loro terminale era stato scollegato dietro loro richiesta. Mi chiesi come mai, il giorno prima fossi riuscita a ricevere i notiziari sul terminale del buco. «Scollegato» significava che venivano respinte solo le chiamate in arrivo? Quell’arcano era forse il segreto meglio custodito della rete internazionale computer?

Alla sede di Winnipeg dell’Anzac rimbalzai da una parte all’altra del computer destinato ai passeggeri; alla fine, una voce umana ammise che il capitano Tormey era in ferie per l’emergenza e per l’interruzione dei voli per la Nuova Zelanda.

Il codice di Auckland di Ian rispose solo con musica e con l’invito a lasciare un messaggio; il che non mi sorprese, dato che Ian non sarebbe rientrato lì finché i semibalistici non fossero tornati in attività. Speravo solo di poter trovare Betty e/o Freddie.

Come si poteva arrivare in Nuova Zelanda con gli Sb fuori servizio? Non in groppa a un cavalluccio marino; sono troppo piccoli. Le grandi navi da carico a propulsione Shipstone accettavano passeggeri? Ne dubitavo; non erano attrezzate. Non avevo sentito da qualche parte che alcune erano addirittura prive di equipaggio?

Ritenevo di conoscere nei particolari i mezzi e le rotte di viaggio meglio delle stesse agenzie di viaggio, perché, come corriere, spesso mi ero spostata servendomi di mezzi inaccessibili ai turisti e sconosciuti ai normali uomini di affari. Era molto irritante scoprire che non avevo mai pensato a come sconfiggere il fato, nell’ipotesi che tutti gli Sb fossero fermi. Però esisteva un modo; esiste sempre un modo. Annotai il quesito nella mente: un problema da risolvere più tardi.

Chiamai l’università di Sydney, parlai con un computer, e dopo un po’ ottenni una voce umana che ammise di conoscere il professor Farnese; ma il professore era in congedo di aggiornamento. No, impossibile dare codici telefonici privati e indirizzi, spiacenti. Forse poteva essermi di aiuto il servizio informazioni.

Il computer del servizio informazioni di Sydney, sofferente di solitudine, era pronto a chiacchierare con me per l’eternità; a dirmi qualunque cosa, tranne l’ammettere che Federico o Elizabeth Farnese fossero abbonati alla sua rete. Ascoltai un discorsetto pubblicitario per il Ponte Più Grande Del Mondo (non lo è) e per il Teatro d’Opera Più Grande Del Mondo (lo è), quindi vieni a trovarci e… Interruppi a malincuore. Un computer simpatico con un accento australiano è una compagnia migliore di tanta gente, umana o del mio tipo.

A quel punto, affrontai la chiamata che speravo di poter evitare: Christchurch. Esisteva la probabilità che il quartier generale di Boss mi avesse inviato una comunicazione all’indirizzo della mia famiglia, quando si era spostato; se davvero si era spostato, se non lo avevano distrutto. Esisteva la remotissima probabilità che Ian, impossibilitato a contattarmi nell’Impero, inviasse un messaggio alla mia ex famiglia, nella speranza che me lo trasmettessero. Ricordavo di avergli dato il mio codice di Christchurch, quando lui mi aveva dato quello del suo appartamento di Auckland. Così chiamai la mia casa d’un tempo ed ebbi lo shock che si prova quando si mette piede su uno scalino che non esiste. «Il terminale che avete chiamato è stato scollegato. I messaggi non saranno inoltrati. In caso di emergenza siete pregati di mettervi in contatto con…» Seguì un numero che riconobbi: l’ufficio di Brian.

Mi scoprii a fare il calcolo dei fusi orari, con la vaga speranza di sbagliare numero e ricevere una rispostaccia che avrebbe posto fine alle mie telefonate; poi ne uscii. Lì da me era pomeriggio, le quindici passate da poco, e quindi in Nuova Zelanda era il mattino del giorno dopo, le dieci e qualche minuto; Brian doveva senz’altro essere in ufficio. Feci il numero, ci fu un’interruzione da satellite di pochi secondi, poi mi trovai a fissare il suo viso esterrefatto: — Marjorie?

— Sì — ammisi. — Marjorie. Come stai?

— Perché mi hai chiamato?

Dissi: — Brian, ti prego! Siamo stati sposati sette anni. Non possiamo almeno trattarci con un po’ di cortesia?

— Scusa. Cosa posso fare per te?

— Mi spiace disturbarti sul lavoro, ma ho chiamato a casa e ho trovato il terminale scollegato. Brian, saprai senz’altro che le comunicazioni con l’Impero di Chicago sono state interrotte dall’emergenza. Dagli omicidi. Da quello che i notiziari hanno definito Giovedì Rosso. Al momento mi trovo in California. Non sono riuscita a raggiungere il mio indirizzo nell’Impero. Sai dirmi niente di lettere o messaggi che potrebbero essere arrivati per me? Io non ho ricevuto nulla.

— Non saprei proprio. Mi spiace.

— Non puoi dirmi nemmeno se mi è stato inoltrato qualcosa? Mi basterebbe sapere che è arrivato un determinato messaggio per rintracciarne la fonte.

— Fammi pensare. Ci sarebbero tutti i soldi che ti sei presa… No, ti sei portata via direttamente l’assegno.

— Quali soldi?

— Quelli che ci hai imposto di restituirti per non fare uno scandalo. Qualcosa di più di settantamila dollari. Marjorie, mi sorprende che tu abbia il fegato di farti rivedere, dopo che la tua vigliaccheria, le tue bugie e la tua avidità hanno distrutto la nostra famiglia.

— Brian, che diavolo stai dicendo? Non ho mentito a nessuno, non credo di essere stata una vigliacca, e non ho rubato un centesimo alla famiglia. In che senso l’avrei distrutta? Sono stata buttata fuori a calci, da un momento all’altro… Buttata a calci e costretta a fare le valigie nel giro di pochi minuti. Sono certissima di non aver distrutto la famiglia. Spiegati.

Brian si spiegò, in freddi e aridi dettagli. La mia vigliaccheria era tutt’uno con le mie bugie, ovviamente, con l’assurda pretesa di essere una creatura artificiale, non umana, che aveva costretto la famiglia a chiedere l’annullamento del contratto. Tentai di ricordargli che gli avevo dimostrato di possedere doti super; lui non mi diede retta. I suoi ricordi e i miei non collimavano. In quanto ai soldi, mentivo di nuovo: aveva visto la ricevuta con la mia firma. Lo interruppi per dirgli che ogni firma che sembrasse mia su una ricevuta del genere doveva essere falsa, dal momento che non avevo visto un solo dollaro.

— Stai accusando Anita di falsificazione. La tua bugia più sfacciata.

— Non sto accusando Anita di niente. Ma non ho ricevuto denaro dalla famiglia.

Stavo accusando Anita, e lo sapevamo tutti e due. E forse accusavo anche Brian. Mi tornò in mente che Vickie, una volta, aveva detto che i capezzoli di Anita si inturgidivano solo davanti a un bel bilancio in attivo… e io le avevo risposto di chiudere il becco e non essere maligna. Ma anche qualcun altro aveva lasciato intendere che Anita fosse frigida a letto; una cosa incomprensibile per una Pa. In retrospettiva, era possibile che tutta quanta la passione di Anita fosse per la famiglia, per il suo successo finanziario, il prestigio pubblico, il potere in seno alla comunità.

Se era così doveva odiarmi. Non avevo distrutto la famiglia, ma la mia espulsione si era rivelata la prima tessera del collasso totale. Quasi immediatamente dopo la mia partenza, Vickie si era trasferita a Nukualofa, e aveva chiesto al suo avvocato di pensare al divorzio e agli alimenti. Poi Douglas e Lispeth avevano lasciato Christchurch, si erano risposati tutti e due e avevano intentato la stessa causa.