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A un'ora da Roma, Fantozzi andò in corridoio a fumare. C'erano due bambini molto belli biondi, figli di ricchi: tutti i figli dei ricchi sono biondi e uguali, i figli dei braccianti calabresi sono scuri, disuguali e sembrano scimmie. Erano dei bambini molto educati e non facevano rumore. Una baby sitter americana bionda li custodiva. Uscirono dallo scompartimento le madri. Erano molto giovani, molto belle, molto ricche, molto profumate, molto eleganti e molto abbronzate: venivano da 2 mesi sulla neve a Gstaad in Svizzera e parlavano della gente che c'era lassù. Fantozzi le guardava con la bocca semiaperta.

Le due donne cominciarono a parlare delle loro prossime vacanze al mare ed erano un po' in pensiero perché non sapevano più dove andare: dovunque ormai andassero, dalla Corsica alle isole Vergini, trovavano della gente orribile. Fantozzi si commosse quasi per il dramma di quelle poverette.

Il treno entrò alla stazione Termini.

Sulla banchina c'era una tragica lunga fila di terremotati siciliani del Belice. Erano seduti sulle loro valigie di cartone (che credo costino ormai di più di quelle di sky, ma loro vogliono solo quelle e al Sud ci devono essere delle ditte specializzate) e guardavano muti il vuoto. Una delle due signore disse: “È stato un anno davvero disgraziato!”. “Meno male” pensò Fantozzi “che si occupano di questi poveracci!”

“Perché?” domandò l'amica.

E l'altra: “Perché non abbiamo mai avuto a Gstaad una neve così poco farinosa!”.

FANTOZZI INVADE UN CAMPO DI CALCIO

Domenica è successo il “fattaccio”: Fantozzi, da solo, ha fatto un'invasione di campo.

Forse sarà stato per una campagna stampa avvelenata dei giornaletti locali che da quasi un mese si scagliavano contro i favoritismi e le spinte dall'alto alle squadre titolate e segnalavano una congiura contro la squadretta di cui Fantozzi era da 30 anni irriducibile tifoso. O forse per i molti scioperi e occupazioni: i benzinai che reclamano giustizia minacciando di bloccarci il fine settimana a casa, e la grande occupazione, con relativa chiusura dei corsi, all'università di Roma.

Tutti questi fatti concomitanti sviluppavano in Fantozzi, in questo clima di contestazione generale, di sfiducia nella giustizia, una tendenza al “mi faccio giustizia da me”.

Le cause vanno ricercate nella condizione psicologica miserabile del Fantozzi, che è fondamentalmente un frustrato. Frustrato dalla moglie signora Pina, che gli impone una serie di regole da rispettare (non buttare la cenere per terra! non poggiare i piedi sul tavolo! non leggere a tavola! e tante altre piccole mostruose limitazioni alla sua libertà personale), e si sa che mentre uno quando la trova troppo vecchia e malandata, può cambiare la sua utilitaria con una di nuovo modello la moglie no! Se la deve tenere e Fantozzi in 20 anni di matrimonio di nuovi modelli soprattutto questa ultima generazione delle minigonne e degli “hots paints”, ne aveva visti uscire a iosa, ma lui si era dovuto sempre tenere il tipo “signora Pina” con capelli color topo.

Frustrato dal feroce capufficio conte Gavazzeni, frustrato dai colleghi di lavoro più combattivi, dagli automobilisti prepotenti e fisicamente più potenti coi quali ogni mattina litiga e coi quali deve per prudenza soccombere.

Fantozzi rischiava così il ricovero al manicomio navale di Varna sul Mar Nero dopo uno di quegli improvvisi casi di follia che i giornali riportano poi con titoli di questo tipo: “Si barrica in casa con la moglie e due cognate tenendole prigioniere sotto la minaccia di un fucile da caccia: poi circondato dalla polizia, le uccide e si uccide”. Sono notizie che, isolate e a sé stanti, appaiono del tutto assurde: ma nel contesto di una vita rappresentano quasi una logica conseguenza delle mille frustrazioni che molti devono subire.

Fortunatamente Fantozzi aveva una valvola di sicurezza: la partita domenicale.

Erano trent'anni che ogni domenica pomeriggio andava alla partita di foot-ball.

Basco, cappottone color vino, il suo tragico spigato siberiano, ombrello per ogni evenienza, soprascarpe di gomma e cuscino pieghevole di gommapiuma con i colori della sua squadra. L'ombrello non lo portava “in caso di pioggia” ma perché, anche quando lo stadio era inondato da un meraviglioso sole primaverile, il suo angolino nei popolari veniva, sia pur fugacemente, sempre bersagliato da una leggera e implacabile spruzzata di pioggia.

Fantozzi era un abitudinario e andava sempre nello stesso posto sulle curve, dove si era creato ormai un nucleo di occasionali amici (e spendeva meno). La partita cominciava e lui lentamente subiva una tragica trasformazione: da Jekyll a Hyde. Se ne stava per la prima mezz'ora in silenzio, pervaso da un curioso tremito, poi esplodeva e ogni volta gli amici occasionali dei popolari non capivano cosa stesse succedendo a quel garbato omino col basco.

“Arbitro… non dico chi è tua madre, ma so che professione faceva in realtà… è meglio che lo sappia anche tu, figlio di cane, perché ormai sei maggiorenne… arbitro mi fai schifo… vieni qui ché ti spacco la faccia… ” Erano tutte offese rivolte ovviamente al capufficio, ai colleghi e a tutti quelli che durante la settimana lo umiliavano da sempre.

Alle volte l'arbitro, quando moriva qualche notabile, fischiava un minuto di silenzio in segno di lutto e tutto lo stadio se ne stava in piedi in un silenzio suggestivo. Ma questo silenzio veniva rotto sempre da una curiosa voce dai popolari in curva, che lanciava all'arbitro le offese più pittoresche e atroci: era Fantozzi. “Vigliacchi, ce l'avete tutti con la mia squadra… ecco la verità… ce l'avete tutti con me!..” urlava congestionato dal suo angolo anonimo, brandendo l'ombrello come una spada.

Da un paio di settimane le folle negli stadi sembrano impazzite e si fanno giustizia da sé. Ci sono stati precedenti famosi: uno a Bergamo e un altro addirittura a Torino, la città più “inglese” d'Italia.

Domenica scorsa la squadra di Fantozzi ha disputato uno degli incontri chiave del campionato. La sera avanti Fantozzi era andato dal suo farmacista di fiducia, al quale aveva fatto credere che il giorno dopo doveva fare un lungo spostamento in macchina. Aveva dunque bisogno di pilloline per star sveglio. Il farmacista gli fornì un tubetto di “Non dormir”; e quando, consegnandoglielo, lo ammonì: “Stia attento ché sono anfetamine!” gli occhi di Fantozzi ebbero un lampo di soddisfazione. Nella notte trafficò a lungo con le pastiglie, con le quali fece un infernale torrone con lo zucchero filato. L'indomani per l'emozione non mangiò neppure. All'una e trenta si recò all'entrata dei giocatori, a tutti stringeva la mano e consegnava un pezzetto del “torrone”.

Sarà stato per il torrone drogato o per una serie di circostanze straordinarie, ma domenica la squadra che si batteva sempre per non retrocedere e abitualmente perdeva, fece una partita straordinaria: al 1° minuto della ripresa Bulbem, il gigantesco centravanti che era l'idolo di Fantozzi, aveva segnato un gol al volo meraviglioso.

Con questo risultato si andò avanti in un entusiasmo incontenibile fino al 40° della ripresa. Fantozzi nel suo angolo sembrava impazzito e abbracciava gli amici occasionali dei popolari. Al 41° l'imprevedibile: Caropini, ala sinistra della squadra avversaria, scende in contropiede, entra in area, inciampa sulla palla e va lungo disteso. L'arbitro fischia il rigore, tira lo stesso Caropini: rete!

Nello stadio si era fatto un gran silenzio. Tutti guardavano un omino in basco e cappotto color vino che scendeva in trance dai popolari.

Aiutandosi con l'ombrello l'omino scavalca la rete di cinta, cade dall'altra parte, rimane impigliato con una falda del pastrano ad un palo di ferro. Si sentì in tutto lo stadio un tremendo crack di stoffa strappata. La gente cominciò a ridere perché l'invasore aveva lasciato mezzo cappotto sulla rete di cinta.