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Fantozzi adocchiò un dondolo meraviglioso nel giardino della villa. Disappannò il vetro (la temperatura esterna era di 18 gradi sotto zero): per un effetto lente del vetro concavo si intravvedeva di là un cagnolino. Fantozzi disse: “Che tesoro!” e pensava al dondolo. E uscì.

Il cane era un gigantesco alano brandenburghese di nome Friedman da quattro tonnellate. L'alano gli fece in silenzio una violenta presa di collo e se lo portò in una zona isolata del giardino, dove stava già scavando una fossa. Un grido provvidenziale del conte Serbelloni salvò il Fantozzi.

Rientrò stravolto col frak a brandelli e disse: “Fracchia, andiamo via, sono un po' stanco”. Salutarono il conte, che cortesemente li accompagnò fino alla porta. Fantozzi aprì. Sul pianerottolo c'era l'alano Friedman che li aspettava. Richiuse di colpo e disse al conte: “Ci facciamo ancora un ballo?”. E sparirono in un vortice di danze viennesi. Più tardi Fracchia scese dalla grondaia, salì in macchina e partì. Vide un lampeggio alle spalle, si accostò sulla destra per lasciar passare: nulla. Ancora un lampeggio, Fracchia abbassò il finestrino, disse: “Dai, passa!” e fece il gesto con la mano. Poi accelerò a tavoletta: dietro a lui non erano fari, erano gli occhi dell'alano Friedman che lo inseguiva al galoppo. Continuò così fin sotto casa. Fracchia cercò di uscire guardingo dall'auto ma l'alano ringhiava paurosamente. Attese un'ora, la belva sembrava dormisse, lui aprì lentamente la portiera e il cane si alzò ringhiando.

Quella notte dormì in macchina e per due settimane fu nutrito dalla moglie che gli passava vivande con un cesto calato dal balcone.

FANTOZZI VA A UN FUNERALE MONDANO

Domenica scorsa Fantozzi è stato invitato dal suo capufficio conte Balboni Virelli Bocca a un funerale molto importante.

Era deceduto in un avventato “cimento invernale” il professor Vignardelli Bava di 92 anni, grande ufficiale, gran cordone e soprattutto direttore artificiale della società. Il cimento invernale è una sorta di gara che si effettua in Liguria in pieno inverno: un gruppo di malconsigliati si getta in mare con temperature vicine e alle volte sotto allo zero. Vince il pazzo che esce ultimo dall'acqua.

Il professor Vignardelli Bava aveva bensì vinto la gara, ma era passato a miglior vita. Quando i concorrenti si erano buttati, venerdì 13 dicembre, su un quasi lastrone di ghiaccio, il professore si era staccato dal gruppo con poderose bracciate, sotto lo sguardo ammirato di un folto pubblico di dipendenti ovviamente entusiasti per ragioni gerarchiche. A un duecento metri dalla riva, il Vignardelli Bava cominciò a salutare col braccio. Salutava e da terra tutti rispondevano. A un tratto il professore cominciò a tenere il braccio alto, fuori dell'acqua, ma senza muoverlo. Dopo mezz'ora tutti gli altri concorrenti si erano già ritirati. Il professore era sempre lì, fermo, tra le ovazioni servili della folla. Dopo un'ora fu riportato a terra in un cubo di ghiaccio.

Domenica hanno avuto luogo i funerali. È stata una cerimonia di grande rilievo mondano. Tutti i notabili della città vi hanno partecipato con cordoglio teatrale.

Fracchia, collega di sottoscala di Fantozzi, era già stato consigliato a intervenire dal conte Balboni Virelli Bocca (veramente questi non era conte nel modo più assoluto, ma ci teneva tanto al titolo e soprattutto era così decisamente capufficio che Fantozzi alle volte lo chiamava “sire”). Fantozzi, invece, non aveva ancora ricevuto istruzioni. Finalmente sabato giunse l'invito ufficiale: anche a lui veniva consigliato di presentarsi alla cerimonia al Cimitero Maggiore.

Lo spettacolo cominciò alle 9 del mattino. Fantozzi e Fracchia sbagliarono subito funerale. Se ne accorsero per pura combinazione all'orazione funebre. Parlava un “funeraliere” professionista truccato da affranto dal dolore. “Tu,” diceva l'oratore “sei scomparso lasciandomi un gran vuoto qui” e si indicò la giacca all'altezza del cuore. Fantozzi domandò a un signore in elegantissimo completo da funerale: “Gli voleva molto bene?”. E quello: “Macchè, gli doveva un sacco di soldi”. L'oratore intanto: “Tu sei scomparso improvvisamente, dopo una vita interamente passata all'ombra della famiglia”. E qui Fracchia, che cominciava a subodorare l'errore, domandò a un congiunto che si stava addormentando: “Mi scusi, ma di che cosa è morto?”. E quello: “Insolazione!”.

Fracchia e Fantozzi capirono l'errore e cominciarono a cercare il funerale giusto. Lo trovarono quando già si era arrivati all'orazione funebre. Venne avanti a parlare il professor Zingales, grande amico dello scomparso, titolare di letteratura italiana all'università di Perugia e membro dell'accademia della Crusca: “Vorrei spendere due parole…”; dal gruppo una voce: “Tre!”; altra voce: “Quattro”; e il professor Zingales: “E siamo a quattro, c'è qualcuno che offre di più?”; voci isolate: “Cinque!.. Cinque e mezzo!..”; dal fondo, inaspettatamente: “Dodici!”; era il professor Bellotti-Bon!

Grandi mormorii di stupore nel gruppo per tanta audacia. “Commemorazione assegnata al professor Bellotti-Bon con dodici parole” fece il banditore e gli cedette la parola. Il Bellotti-Bon: “Vorrei spendere undici par…”. Dal fondo: “Non cominciamo a fregare. Lei si è impegnato per dodici!”. Riparte il Bellotti-Bon: “Tu che eri noto col curioso nomignolo di uomo del '48”. Fantozzi domandò a un gruppetto: “Eroe del Risorgimento?”. “No, no” rispose il gruppo decisamente. “Casinista pauroso!”

Bellotti-Bon: “Tu che raggiungi in cielo il tuo indimenticabile collega professor Mannaroni Turri, scomparso nel labirinto dei giardini di Boboli a Firenze, durante l'annuale gioco “Liberi tutti” che si teneva con i colleghi della facoltà di Pisa…”. Interrompe uno dal fondo: “Scuola normale?”. “Non molto,” rispose Bellotti-Bon “vista la natura dei giochi!” E riprese: “Se noi ora fuuu…” e qui si bloccò. Si era trovato di fronte alla tragica barriera di un congiuntivo. Dall'angolo della bocca gli usciva solo quel curioso sibilo “fuuu…”. Un collega gli si avvicinò vedendolo in difficoltà e gli chiese: “Professore, cosa diavolo le succede? Ha forato?”. E lui: “No, mi trovo in spaventosa difficoltà con un congiuntivo” Il collega lucidissimo: “Quale?”. Il Bellotti: “Congiuntivo imperfetto prima persona plurale… vado per tentativi?”. E il collega: “Vadi!”.

Riparte il Bellotti con rincorsa: “Se noi, fff… frassino…”. E il collega lì vicino: “l'albero?”. “No, sono nel pallone” fece il professore e ripartì: “Se noi ff… Firenze!”. Voci sparse: “La città?”. “Prato!” tentò disperato Bellotti. Voci di protesta: “Ma non comincia neppure per effe!”. E Bellotti, speranzoso: “Si, ma è cosi vicina a Firenze!”.

“Mi vorrei ritirare” disse a questo punto il Bellotti-Bon. Coro di voci sghignazzanti: “Ah! Ah! Si ritira eh? Non ha più congiuntivi!”. “No,” fece il Bellotti “ne ho ancora uno, ma vorrei tenermelo per la notte. Non si sa mai. Un congiuntivo “da notte” può sempre venir comodo per ogni evenienza.” E si ritirò tra i fischi dei funeralanti.

Fantozzi allibito si voltò verso Fracchia e gli disse: “Sono veramente deluso, questi professori han ben poco da spendere e poi crollano tutti tragicamente sui verbi”. “Ha ragione,” ribadì Fracchia “torniamo a casa. Venghi!”

FANTOZZI VA A TEATRO CON I BIGLIETTI OMAGGIO

Domenica scorsa Fantozzi è andato a teatro. Un suo feroce e sagace cugino gli aveva regalato due biglietti omaggio per lo spettacolo “familiare” della domenica pomeriggio.

Fantozzi del mondo dello spettacolo aveva sempre avuto notizie di seconda mano e non aveva ancora ben chiaro il confine fra teatro tradizionale e spettacolo di varietà o rivista all'italiana.

Questo per il passato. Poi era successo un fatto curioso. La radio aveva iniziato un bombardamento a tappeto di musica leggera, la televisione aveva continuato questo orientamento con una nutrita serie di fortunati varietà musicali. Negli spettacoli di musica leggera si cominciarono poi a bersagliare con strali acutissimi gli spettacoli di musica leggera, consolidando così il sistema. “È quello che la gente vuole” si scusavano i megapresidenti del mondo dello spettacolo e della stampa telecanora. In realtà Fantozzi voleva solo quello perché pensava che fosse ormai l'unica realtà.