«Dove…» fece per chiedere di nuovo Monk.
«In quota», rispose Gray, indicando la fine del corridoio, dove li aspettava una porta. «Al ponte sospeso tra gli alberi.»
Ma non sarebbe stato così facile. Come se qualcuno avesse origliato i loro piani, una saracinesca metallica interna cominciò a scendere davanti all’uscita. Una chiusura automatica.
«Presto!» gridò Gray.
La saracinesca era già chiusa per tre quarti. Gray accelerò, lasciando indietro Monk, poi prese al volo una sedia e la lanciò in avanti. La sedia atterrò sul parquet e cominciò a scivolare sulla superficie levigata. Gray la seguiva a breve distanza. La sedia andò a sbattere contro la porta e la discesa della saracinesca fu interrotta. Ci fu uno stridore di ingranaggi. Sopra la porta si accese una luce rossa. Gray era sicuro che da qualche parte nel palazzo, alla postazione della sicurezza, si era accesa una spia d’allarme.
Quando raggiunsero la porta, le gambe della sedia cominciavano a incrinarsi e scheggiarsi, schiacciate dal peso della saracinesca.
Monk arrivò ansimando, con le braccia ancora legate dietro la schiena.
Gray si chinò e, infilandosi sotto la sedia, cercò di raggiungere la maniglia della porta. Alla fine riuscì ad afferrare il pomo e lo girò.
La porta era chiusa a chiave.
«Dannazione!»
La sedia continuava a incrinarsi. Dietro di loro si sentiva l’eco degli scarponi che battevano pesantemente sui gradini delle scale.
Gray si voltò. «Tienimi!»
Doveva aprire la porta a calci. Appoggiato schiena contro schiena all’amico, raccolse le gambe al petto, pronto a colpire. Poi la porta gli si aprì semplicemente davanti, mostrando un paio di gambe avvolte da pantaloni mimetici kaki. Uno degli uomini di sentinella ai ponti doveva aver notato il guasto ed era andato a indagare. Gray puntò agli stinchi della guardia e scalciò.
Colto di sorpresa, l’uomo perse l’equilibrio e sbatté fragorosamente la testa contro la saracinesca, cadendo pesantemente sull’assito. Gray si tuffò fuori e sferrò un altro colpo col tallone. La sentinella si afflosciò.
Monk rotolò fuori, seguendo l’amico, ma non prima di aver dato un calcio alla sedia, liberando la saracinesca, che proseguì la sua discesa e si chiuse rumorosamente.
Gray alleggerì la guardia delle sue armi. Usò un coltello per slegare Monk e gli passò una pistola semiautomatica HK Mark 23, tenendo per sé il fucile.
Armi alla mano, fuggirono lungo il ponte sospeso. Nel punto in cui s’inoltrava nella giungla, c’era il primo bivio. Per il momento entrambe le direzioni erano sgombre.
«Dividiamoci, avremo più possibilità», disse Gray. «Devi cercare aiuto, trova un telefono e contatta Logan.»
«E tu?»
Gray non rispose. Non ce n’era bisogno.
«Rifletti, potrebbe essere già morta.»
«Questo non lo sappiamo.»
Monk scrutò l’espressione dell’amico. Aveva visto il mostro sullo schermo del computer e sapeva che Gray non aveva scelta.
Senza proferire parola, corsero in due direzioni opposte.
ore 06.34
Khamisi raggiunse il ponte sospeso, salendo su un albero all’altra estremità della radura, con movimenti rapidi e silenziosi.
Più giù, l’ukufa continuava a girare attorno all’albero, sorvegliando la sua preda in trappola. Il rumore violento e improvviso di qualche istante prima aveva messo in allarme la bestia, che era scesa dall’albero, cauta e diffidente, e aveva ripreso a fare la ronda, con le orecchie dritte. Dal palazzo proveniva l’eco di allarmi e clacson.
Quel trambusto preoccupava anche Khamisi. Tau e Njongo erano stati scoperti? O forse era stato individuato il loro accampamento, appena fuori dalla tenuta? Avevano camuffato il loro punto di raccolta come se fosse uno dei numerosi accampamenti di cacciatori nomadi zulù. Qualcuno si era accorto che nascondeva qualcos’altro?
Qualunque fosse la causa dell’allarme, perlomeno il trambusto aveva reso più guardinga la mostruosa iena gigante, l’ukufa, e Khamisi aveva sfruttato la sua distrazione per raggiungere uno dei ponti sospesi. Rotolò sull’assito, tenendo pronto il fucile. L’ansia gli acuiva i sensi, ma il terrore l’aveva abbandonato. Khamisi aveva notato l’andatura della bestia, il ringhio sommesso e gracchiante, il crescendo di risate stridule e nervose, che diventavano ululati. Normale comportamento da iena. Nonostante le dimensioni mostruose, non era qualcosa di mitico o soprannaturale.
Khamisi percorse rapidamente il ponte, finché non arrivò in prossimità dell’albero del ragazzo, quindi prese una corda dallo zaino. Sporgendosi oltre il cavo d’acciaio che sosteneva la struttura, vide il giovane. Emise un fischio acuto, simile al richiamo di un uccello. Sebbene il ragazzo fosse concentrato sui movimenti della bestia sotto di lui, sentendo l’improvviso rumore trasalì, guardò in alto e vide Khamisi.
«Ti porterò fuori di qui», disse lui a bassa voce, in inglese, sperando che l’altro capisse.
Ma il ragazzo non fu l’unico a sentire Khamisi. L’ukufa puntò i suoi occhi rossi su quelli dello zulù. Mentre studiava l’uomo sul ponte, socchiuse le palpebre e scoprì i denti. Khamisi scorse un’intelligenza calcolatrice in quello sguardo. Era quella la creatura che aveva aggredito Marcia?
Gli sarebbe piaciuto svuotare le canne del fucile su quel muso sorridente, ma il rumore di quell’arma di grosso calibro avrebbe attirato troppa attenzione. Alla tenuta erano già tutti in piena allerta. Perciò appoggiò il fucile accanto ai piedi: gli sarebbero servite entrambe le braccia.
«Ragazzo! Adesso ti getto una corda: avvolgitela attorno alla vita.» Mimò il movimento. «Ti tirerò su.»
Il giovane annuì, con gli occhi sgranati, il volto gonfio per le lacrime e la paura.
Sporgendosi oltre il bordo del ponte, Khamisi srotolò verso di lui un po’ di corda, che si fermò tra i rami più alti. «Dovrai arrampicarti fin lì!»
Il ragazzo non ebbe bisogno di essere spronato ulteriormente. Data la nuova possibilità di fuga, i suoi sforzi divennero molto più determinati. Scalciando e inerpicandosi, raggiunse il ramo sopra di lui e si legò la corda in vita, liberandola dalle fronde.
Khamisi tese la corda, fissandola attorno a uno dei cavi d’acciaio del ponte. «Adesso comincio a tirarti su, oscillerai un po’.»
«Presto!» gridò il ragazzo, troppo forte.
Khamisi si girò su un fianco e notò che l’ukufa si era accorto dei movimenti del giovane e ne era attirato, come un gatto appresso a un topo. La bestia si stava arrampicando sull’albero, affondando gli artigli.
Non avendo tempo da perdere, Khamisi cominciò a tirare la corda, bracciata dopo bracciata. Sentì tutto il peso del ragazzo. Chinandosi, lo vide oscillare avanti e indietro come un pendolo.
Anche gli occhi dell’ukufa facevano altrettanto, mentre continuava ad arrampicarsi. Khamisi capì le sue intenzioni: avrebbe spiccato un salto e preso al volo la sua preda, come un’esca sulla lenza.
Il guardacaccia issò più velocemente.
«Wie zijn u?» abbaiò all’improvviso qualcuno alle sue spalle.
Colto di sorpresa, Khamisi lasciò quasi andare la corda. Allungò il collo per guardare indietro.
Sul ponte c’era una donna alta e snella, vestita di nero, coi capelli biondi rasati e con lo sguardo ferino: una Waalenberg. Doveva averlo scoperto per caso. Aveva già in mano un coltello.
Khamisi non osava lasciar andare la corda.
Più giù, il ragazzo gridò.
Khamisi e la donna guardarono di sotto.
L’ukufa aveva raggiunto la postazione precedente del ragazzo e si preparava a saltare. La donna fece una risata non tanto diversa da quella della bestia. Le assi scricchiolarono mentre si avvicinava alla schiena di Khamisi, col coltello in mano.
Erano in trappola.
ore 06.38