«Il superuomo.»
«Esatto. La società prese il nome dalla mitica terra di Thule, i resti del regno perduto di Atlantide, la terra di una razza superiore.»
Monk emise un verso di scherno.
«Come dicevo, mio nonno coltivava alcune strane credenze», proseguì ansimando Johann. «Ma non era il solo, all’epoca, soprattutto da queste parti. È stato in queste foreste che le antiche tribù tedesche dei teutoni resistettero alle legioni romane, definendo i confini tra la Germania e l’Impero Romano. La società di Thule credeva che questi guerrieri teutonici fossero discendenti di quella razza superiore scomparsa.»
Gray comprendeva quale fosse l’attrattiva di quel mito. Se quegli antichi guerrieri erano superuomini, i loro discendenti, i tedeschi dell’era moderna, ne conservavano ancora il patrimonio genetico. «Era la base della filosofia ariana.»
«Le loro credenze erano mescolate anche a misticismo e simbologia occulta. Non le ho mai capite del tutto. Comunque, secondo i miei familiari, mio nonno era insolitamente curioso. Alla ricerca di cose strane, indagava sui misteri storici. Nel tempo libero era sempre desideroso di affinare il suo ingegno, faceva esercizi di memorizzazione e puzzle. I suoi puzzle… Poi è venuto a conoscenza di alcune storie misteriose e si è messo a cercare la verità che nascondevano. Alla fine era diventata un’ossessione.» Mentre parlava, il vecchio aveva ricominciato a guardare la Bibbia, frugandone le pagine. Raggiunta la fine, cercò qualcosa sulla terza di copertina. «Das ist merkwürdig.»
Merkwürdig. Strano.
Gray si avvicinò. «Che c’è?»
Il vecchio fece scorrere un dito scarno sulla terza di copertina. Tornò alla prima pagina, poi di nuovo all’ultima. «L’albero genealogico della famiglia Darwin non era disegnato soltanto sulla seconda di copertina, ma anche sulla terza. All’epoca ero soltanto un ragazzo, ma lo ricordo chiaramente.» Johann sollevò il libro, mostrandone la parte posteriore. «L’albero genealogico che c’era qui è scomparso.»
«Mi faccia vedere», disse Gray, riprendendo il libro. Esaminò la terza di copertina più attentamente. Fiona e Monk lo affiancarono.
Gray scorse la rilegatura con un dito, poi esaminò attentamente la copertina. «Guardate qui. Sembra che qualcuno abbia tagliato l’ultimo foglio e l’abbia incollato sulla terza di copertina. Sopra il risguardo originale.» Gray si voltò verso Fiona. «Può essere stata Grette?»
«Manco per idea. Piuttosto avrebbe strappato la Gioconda.»
Se non era stata Grette…
Gray guardò Johann.
«Sono certo che nessuno, nella mia famiglia, l’avrebbe fatto. La biblioteca è stata venduta solo qualche anno dopo la guerra. E dubito che in quel lasso di tempo qualcuno abbia toccato la Bibbia.»
Rimaneva soltanto Hugo Hirszfeld.
«Un coltello», disse Gray, dirigendosi verso un tavolo da giardino.
Monk prese il coltellino svizzero dal suo zaino e lo porse a Gray. Con la punta del coltello, Gray incise i bordi del foglio incollato sulla terza di copertina, poi ne sollevò un angolo. Si staccò facilmente, soltanto i bordi erano incollati.
Johann spinse la carrozzina per raggiungerli. Gray non nascose ciò che stava facendo: forse gli sarebbe servito l’aiuto dell’uomo per capire ciò che stava per svelare.
Staccò il foglio e scoprì il risguardo originale. C’era l’altra metà dell’albero genealogico della famiglia Darwin, ben fatto e ordinato. Johann aveva ragione. Ma non c’era soltanto quello.
«Orribile», commentò Johann. «Perché mai il nonno avrebbe fatto una cosa del genere? Sfigurare così la Bibbia?»
Sopra l’albero genealogico era stato disegnato uno strano simbolo, grande quanto l’intera pagina, e sembrava fosse scolpito nel cartone della copertina.
Con lo stesso inchiostro nero, sotto il simbolo era stata scritta una riga in tedesco: Gott, verzeih mir.
Dio, perdonami.
Monk indicò il simbolo. «Cos’è quello?»
«Una runa», spiegò Johann, con un’espressione accigliata. «Un altro esempio della follia di mio nonno. La società di Thule credeva nella magia delle rune. A questi simboli nordici venivano associati antichi riti e poteri. Da Thule i nazisti non derivarono soltanto la filosofia del superuomo, ma assorbirono anche il misticismo legato alle rune.»
«Lei conosce il significato di questo simbolo in particolare?» chiese Gray.
«No. Non è un argomento interessante per un ebreo tedesco. Non dopo la guerra.» Johann girò la sedia a rotelle e guardò fuori. Il temporale imperversava, col rombo di tuoni che sembravano lontani e vicini allo stesso tempo. «Ma so chi potrebbe essere in grado di aiutarvi. Un curatore del museo.»
Gray chiuse la Bibbia e raggiunse Johann. «Quale museo?»
La serra fu illuminata da un lampo. Johann indicò un punto, in alto. Gray allungò il collo. L’imponente castello era illuminato da una luce fievole e velato dalla pioggia.
«Historisches Museum des Hochstifts Paderborn», disse Johann. «È aperto, oggi. All’interno del castello.» Il vecchio scrutava il vicino edificio con sguardo arcigno. «Sapranno certamente che cosa significa quel simbolo.»
«Perché?»
Johann fissò Gray come se fosse un idiota. «E chi meglio di loro? Quello è il castello di Wewelsburg.» Gray non reagì e il vecchio proseguì, con un sospiro. «La Camelot nera di Himmler, la roccaforte delle SS.»
«Quindi era davvero il castello di Dracula…» borbottò Monk.
Johann proseguì: «Nel XVII secolo vi si celebravano processi alle streghe: migliaia di donne sono state torturate e giustiziate. Himmler non fa fatto altro che incrementare il debito di sangue del castello. Durante la ristrutturazione da lui avviata vi sono morti milleduecento ebrei del campo di concentramento di Niederhagen. È un posto maledetto. Dovrebbe essere abbattuto».
«Ma al museo ci sapranno spiegare la runa?» chiese Gray, distraendo Johann dalla crescente rabbia che lo faceva ansimare sempre di più.
Il vecchio annuì. «Heinrich Himmler era un membro della società di Thule, era affascinato dal mito delle rune. In effetti è così che mio nonno si è conquistato le sue attenzioni. Avevano in comune la stessa ossessione.»
Gray intuiva che c’era una convergenza di legami e di eventi, tutti incentrati sulla società occulta di Thule. Ma cosa, esattamente? Gli servivano altre informazioni. Era inevitabile una visita al museo del castello.
Johann si allontanò da Gray, come a chiudere il discorso. «È stato per quegli interessi che aveva in comune con mio nonno che Himmler concesse la grazia alla nostra famiglia, una famiglia di Mischlinge. Ci sono stati risparmiati i campi di concentramento.»
Grazie a Himmler.
Gray capiva l’origine della rabbia di quell’uomo e il motivo per cui aveva chiesto al figlio di uscire. Era un fardello familiare che era meglio non scoprire. Johann guardava il temporale.
Gray raccolse la Bibbia e fece cenno agli altri di uscire. «Danke.»
Johann non lo notò nemmeno, assorbito com’era dal passato.
Ben presto Gray e gli altri raggiunsero la veranda, all’ingresso principale. La pioggia continuava a cadere copiosa dal cielo minaccioso. Il cortile era deserto. Non ci sarebbero state escursioni, quel giorno, né in bicicletta né a piedi.
«Andiamo», disse Gray, incamminandosi sotto la pioggia.
«Una giornata perfetta per assaltare un castello», osservò Monk, sarcastico.
Mentre attraversavano di gran lena il cortile, Gray notò un’altra auto parcheggiata accanto alla loro. Il cofano fumava sotto la pioggia. Doveva essere appena arrivata. Era una Mercedes bianca.
9. IL SABOTATORE
Himalaya,
ore 12.32