Kat gli accarezzò la guancia.
Ancora in ginocchio, Monk mise una mano in tasca e tirò fuori l’astuccio nero dell’anello. Glielo porse, gli occhi ancora chiusi, una preghiera sulle labbra. «Sposami.»
«Okay.»
Monk aprì gli occhi, guardando in faccia la donna che amava. «Cosa?»
«Ho detto ‘okay’.»
«Sei sicura?»
«Stai cercando di farmi cambiare idea?»
«Be’, sei sotto l’effetto dei farmaci. Forse te lo dovrei chiedere…»
«Dammi l’anello e basta.» Prese l’astuccio e l’aprì. Lo fissò in silenzio per un istante. «È vuoto.»
Monk controllò: l’anello era scomparso.
«Che è successo?» chiese Kat.
«Fiona», grugnì Monk.
ore 10.32
Il mattino successivo, Painter era disteso supino in un’altra ala del Georgetown University Hospital. Il lettino riemerse dal cilindro della macchina per la TAC. L’esame era durato più di un’ora e lui si era quasi addormentato, visto che negli ultimi giorni aveva riposato ben poco. Ogni notte era tormentato dall’ansia.
Un’infermiera aprì la porta e Lisa entrò nella stanza.
Painter si mise a sedere. Faceva freddo e lui non indossava altro che un camice d’ospedale leggerissimo. Si sforzò di recuperare un minimo di dignità, piegando e rimboccando quel velo, ma alla fine rinunciò.
Lisa gli si sedette accanto e, con un cenno del capo, indicò la sala di monitoraggio. C’era un gruppo di ricercatori del Johns Hopkins e della Sigma, intenti a discutere sulle sue condizioni di salute.
«I risultati sono buoni», lo informò la donna. «Tutti i segni di calcificazione interna sono in calo e i valori stanno ritornando nella norma. Potrebbe rimanere un residuo di cicatrizzazione della valvola aortica, ma forse nemmeno quello. Il tasso di recupero è straordinario. Miracoloso, oserei dire.»
«Puoi dirlo forte», replicò Painter. «Ma che ne dici di questo?»
Fece scorrere le dita tra una ciocca di capelli bianchi, sopra un orecchio.
Lei ci mise anche le sue, di dita. «Mi piace. E tu starai bene.»
Lui le credette. Per la prima volta, era convinto che sarebbe guarito completamente. Gli sfuggì un sospiro. Aveva ancora una vita davanti.
Prese la mano di Lisa e le baciò il palmo, poi la posò.
Lei arrossì e diede un’occhiata al vetro della stanza di monitoraggio, ma non spostò la mano, mentre discuteva alcuni dettagli tecnici con l’infermiera.
Painter la osservò. Era andato in Nepal per indagare sulle malattie riferite da Ang Gelu, ma anche per ritagliarsi un periodo di riflessione. Si era aspettato incensi, ore di meditazione, canti e preghiere, invece si era ritrovato coinvolto in un viaggio infernale per mezzo mondo. Alla fine, però, ne era valsa la pena.
Strinse le dita attorno alla mano di Lisa.
Aveva trovato lei.
Tuttavia, anche se ne avevano passate così tante assieme in quei giorni, si conoscevano a malapena. Chi era, veramente? Qual era il suo cibo preferito, che cosa la faceva sbellicare dalle risate, come ballava, che cosa gli avrebbe sussurrato all’orecchio dandogli la buonanotte?
Painter sapeva soltanto una cosa con certezza, seduto quasi nudo accanto a lei, in un camice d’ospedale, esposto fino al DNA.
Voleva sapere tutto di lei.
ore 14.22
Due giorni dopo, i fucili esplosero gli ultimi colpi nel cielo blu, riecheggiando secchi tra i verdi pendii dell’Arlington National Cemetery. Era una giornata troppo assolata per un funerale.
Gray si fece da parte, mentre la cerimonia terminava. In lontananza, a sovrastare il gruppo dei partecipanti al lutto, sorgeva la tomba del milite ignoto: ottanta tonnellate di marmo Yule, estratto da una cava del Colorado. Rappresentava i caduti senza nome, le vite donate per servire la patria.
Logan Gregory era uno di loro, un altro sconosciuto. Pochi avrebbero saputo del suo eroismo, del sangue versato per proteggere gli Stati Uniti.
Ma qualcuno ne era a conoscenza.
Gray guardò il vicepresidente consegnare una bandiera piegata alla madre di Logan, sostenuta dal marito. Logan non aveva moglie né figli. La Sigma era la sua vita… e la sua morte.
Un po’ alla volta, dopo il viavai per le condoglianze e i commiati, la funzione terminò. Tutti si diressero verso le limousine nere e le Town Car.
Gray fece un cenno a Painter, che, convalescente, si appoggiava a un bastone, ancora zoppicante, ma sempre più in forze, giorno dopo giorno. Al suo fianco, la dottoressa Lisa Cummings lo teneva a braccetto, non per sostenerlo, ma soltanto per stargli vicino.
Monk li seguiva e tutti assieme si diressero verso la fila delle auto in attesa.
Kat era ancora in ospedale. E comunque il funerale sarebbe stato insostenibile per lei. Era ancora troppo presto.
Quando raggiunsero le auto, Gray si avvicinò a Painter. Avevano alcune questioni da discutere.
Lisa baciò il direttore sulla guancia. «Ci vediamo là.» Poi fece un passo indietro, affiancandosi a Monk. Avrebbero preso un’altra macchina per raggiungere la casa dei Gregory, dove era previsto un piccolo rinfresco.
Gray aveva scoperto che i genitori di Logan vivevano soltanto a qualche isolato dai suoi genitori, a Takoma Park. Un’ulteriore dimostrazione di quanto poco conoscesse quell’uomo.
Painter raggiunse una Lincoln e salì sul sedile posteriore. L’autista alzò il vetro divisorio, mentre faceva partire l’auto.
«Gray, ho letto il tuo rapporto», disse finalmente il direttore. «È una prospettiva interessante. Continua pure a fare ricerche in merito. Ma dovrai andare nuovamente in Europa.»
«Ho già altre questioni personali da risolvere laggiù. E proprio di questo che le volevo parlare: volevo chiedere qualche giorno in più.»
Painter inarcò un sopracciglio, con un’espressione di stanca facezia. «Non so se il mondo è pronto per un’altra delle tue vacanze di lavoro.»
Gray dovette ammettere che il suo capo non aveva tutti i torti.
Painter si riassestò sul sedile, chiaramente dolorante. «E che mi dici del rapporto della dottoressa Fairfield? Credi che la stirpe dei Waalenberg…» Scosse la testa.
Anche Gray aveva letto quel rapporto. Ripensò a quando con la dottoressa inglese si era intrufolato nel laboratorio degli embrioni, sepolto ai livelli inferiori del palazzo. La dottoressa Fairfield aveva affermato che, più grande era un tesoro, più in profondità era nascosto. Lo stesso valeva per i segreti, soprattutto quelli dei Waalenberg. Come i loro esperimenti chimerici, in cui mescolavano cellule staminali umane e animali nei cervelli delle creature.
Ma c’era anche di peggio.
«Abbiamo controllato gli archivi medici dell’azienda a partire dagli anni ’50», disse Gray. «È confermato: Baldric Waalenberg era sterile.»
«Non c’è da meravigliarsi che quel bastardo fosse così ossessionato dalla genetica e che combattesse la natura per piegarla al suo volere. Ma i suoi nuovi bambini… quelli che ha usato negli esperimenti? È vero?»
Gray scrollò le spalle. «Baldric era coinvolto nel programma nazista Lebensborn, il programma di riproduzione ariana, oltre che in altri progetti di eugenetica e nei primi tentativi di conservare ovuli e sperma. Alla fine della guerra, sembra che il programma Xerum 525 non fosse l’unico progetto segreto finito nelle mani di Baldric. Ce n’era anche un altro, di cui erano rimaste alcune provette congelate. Baldric ha scongelato quei campioni e li ha usati per inseminare la sua giovane moglie.»
«Ne sei sicuro?»
Gray annuì. Nel laboratorio sotterraneo, la dottoressa Fairfield aveva esaminato il vero albero genealogico del nuovo, perfezionato clan dei Waalenberg. Aveva visto il nome scritto accanto a quello della moglie di Baldric: Heinrich Himmler, il capo dell’Ordine Nero. Il gerarca nazista si era ucciso alla fine della guerra, ma aveva un piano per continuare a vivere dopo la morte, per dare i natali ai nuovi superuomini ariani, una nuova stirpe di re germanici, tramite il suo seme corrotto.