Gunther si alzò, voltò le spalle alla Campana e se ne andò.
Nessuno cercò di fermarlo.
Svanì fuori dalla porta.
Lo sguardo di Lisa si posò sull’altra sagoma, ancora distesa sul pavimento di piombo della camera d’irradiazione: Baldric Waalenberg. Come Anna, aveva la pelle di un bianco innaturale, quasi traslucido. Ma le radiazioni gli avevano bruciato anche tutti i capelli, lasciandolo calvo, senza nemmeno le sopracciglia o le ciglia. In più, la carne gli si era condensata sulle ossa, conferendogli l’aspetto di una mummia. E la sua struttura ossea aveva qualcosa di sbagliato…
Lisa si bloccò, troppo atterrita per procedere oltre.
Senza capelli e con la carne afflosciata, il teschio appariva chiaramente deforme, come se si fosse in parte sciolto e poi di nuovo indurito. Le mani erano contorte, le dita stranamente allungate, come quelle di una scimmia. Lisa non riusciva a pensare ad altro che alla parola involuzione.
«Tiratelo fuori da lì», disse Gray, disgustato; poi si rivolse a Lisa. «Ti aiuterò a portare Painter lì dentro.»
Lisa scosse lentamente il capo, facendo un passo indietro. «Non possiamo…» Non riusciva a togliere gli occhi di dosso da quella sagoma deforme che un tempo era il patriarca dei Waalenberg. Non poteva permettere che succedesse anche a Painter.
«Che intendi dire?»
Lei deglutì, continuando a fissare quel mostro, mentre Monk, che evidentemente aveva paura di toccarlo, lo sollevava dalla manica della camicia. «Painter è andato troppo oltre. Con la Campana speravamo soltanto di differire o rallentare la debilitazione, non di invertirla. Vuoi che il tuo direttore rimanga sospeso per sempre nel suo stato attuale?»
«Finché c’è vita c’è speranza.» Gray aveva pronunciato quelle parole con un tono dolce, gentile. Era quasi riuscito a distrarre la donna, mentre Monk trascinava la forma involuta del vecchio fuori dalla Campana.
Lisa aprì la bocca, preparandosi ad argomentare contro le false speranze.
Poi gli occhi di Baldric Waalenberg si aprirono, lattiginosi e ciechi, più simili a pietra che a carne. La bocca si spalancò in un urlo prolungato e silenzioso. Le corde vocali erano scomparse. Non aveva lingua. Non c’era nulla dentro di lui, tranne che orrore e dolore.
Lisa diede voce all’uomo, gridando, retrocedendo fino a sbattere contro la console. Anche Monk riconobbe il vero orrore della situazione. Si allontanò con un balzo, lasciando cadere Baldric appena fuori dalla camera d’irradiazione.
La sagoma deforme crollò. Gli arti rimasero inerti, privi di muscoli. Ma la bocca si apriva e chiudeva, come quella di un pesce fuor d’acqua. Lo sguardo era vacuo, fisso.
Gray si frappose tra Lisa e quell’orrore. «Dottoressa Cummings… Lisa.» Lo sguardo di lei, che vagava in preda al panico, si posò finalmente sui suoi occhi. «Il direttore Crowe ha bisogno di te.»
«Non c’è nulla che io possa fare.»
«Sì, invece. Possiamo usare la Campana.»
«Non posso fare questo a Painter.» La sua voce divenne più acuta. «Non una cosa del genere!»
«Non succederà nulla del genere. Monk mi ha raccontato delle istruzioni che Anna ti ha dato. Tu sai come impostare la Campana su un’emissione minima, su una radiazione palliativa. Ciò che è appena successo qui è diverso. Baldric aveva impostato la Campana al massimo della potenza, per uccidere. E alla fine… chi semina vento raccoglie tempesta.»
Lisa si coprì il viso con le mani, cercando di escludere tutto ciò che la circondava. «E noi, che cosa cerchiamo di raccogliere? Painter è in punto di morte, perché farlo soffrire ancora?»
Gray le tolse le mani dal viso. Si chinò, per intercettare il suo sguardo. «Conosco Painter, e penso che lo conosca anche tu. Lotterebbe fino all’ultimo.»
Come medico, aveva già sentito argomentazioni simili in passato, ma era anche realista. Quando non c’era speranza, non si poteva offrire che una giusta dose di dignità. «Se ci fosse una possibilità di guarigione, anche minima, correrei il rischio. Se sapessimo che cosa Hugo Hirszfeld cercava di comunicare a sua figlia, il suo codice perfezionato…» Scosse la testa di nuovo.
Gray le prese il mento tra le dita. Lei cercò di liberarsi, irritata, ma la presa era salda e irremovibile. «Io so che cosa ha nascosto Hugo in quei libri.»
Lei lo guardò perplessa, ma intuì la verità nei suoi occhi.
«Io ce l’ho, la risposta», aggiunse Gray.
16. L’ENIGMA DELLE RUNE
Sudafrica,
ore 15.25
«Non è un codice», spiegò Gray. «Non è mai stato un codice.» S’inginocchiò con un pennarello in mano. Cerchiò la serie di rune che aveva disegnato per Baldric Waalenberg.
Gli altri gli si erano radunati attorno, ma lui mantenne l’attenzione su Lisa Cummings. La risposta cui era giunto non aveva senso, ma intuiva che era la serratura, e quella donna, che conosceva il dispositivo più di chiunque altro in quella stanza, forse aveva la chiave. Dovevano lavorare assieme.
«Ancora rune», disse Lisa.
Gray la guardò perplesso, in attesa di una spiegazione.
Lei annuì, guardando il pavimento. «Ho visto un’altra serie di rune, una serie diversa, disegnata col sangue. Voleva dire Schwarze Sonne.»
«Sole Nero», tradusse Gray.
«Era il nome del progetto di Anna in Nepal.»
Gray rifletté sull’importanza di quell’informazione. Ripensò al simbolo del Sole Nero al livello inferiore. Evidentemente, la setta originaria di Himmler era stata divisa dopo la guerra. Il gruppo di Anna a nord e quello di Baldric a sud. Una volta separate, le due fazioni avevano preso strade sempre più divergenti, finché da alleate non erano diventate avversarie.
Lisa tamburellò con le dita sul pavimento, per indurre Gray a concentrarsi. «Le rune che ho decifrato io erano una semplice trasposizione di lettere al posto di simboli. È la stessa cosa anche in questo caso?»
Gray scosse il capo. «Baldric ha fatto la medesima supposizione, per questo aveva così tante difficoltà a decifrare le rune. Ma Hugo non avrebbe nascosto il suo segreto così in superficie.»
«Se non è un codice, allora che cos’è?» chiese Monk.
«È un puzzle», rispose Gray.
«Che cosa?»
«Ricordi la nostra conversazione col padre di Ryan?»
Monk annuì.
Gray ripensò all’incontro con Johann Hirszfel, e al piccolo, sporco segreto nazista della famiglia. «Ha raccontato di come fosse curioso suo nonno Hugo. Sempre alla ricerca di cose strane e impegnato a indagare sui misteri della storia.»
«È così che si è avvicinato ai nazisti», aggiunse Fiona.
«E, nel tempo libero, Hugo teneva in allenamento la sua mente.» Le parole di Johann echeggiarono nella frase di Gray: Esercizi di memorizzazione e puzzle. I suoi puzzle. Indicò la serie di rune. «Questo era soltanto l’ennesimo esercizio mentale. Ma non era un codice: era un puzzle. Le rune erano forme da manipolare, riordinare, ricreando l’ordine dal caos.»
Gray aveva risolto mentalmente il puzzle il giorno precedente, rovesciando e ruotando le rune nella sua immaginazione, finché non si era costituita una forma. Sapeva che era la risposta giusta, soprattutto conoscendo l’angoscia provata da Hugo in fin di vita: il rimpianto che aveva espresso per aver collaborato coi nazisti. Ma che cosa significava? Posò lo sguardo su Lisa.
Disegnò nuovamente le sei rune sul pavimento, l’una dopo l’altra, riassemblandole nella sequenza corretta.
L’ordine dal caos.
L’assoluzione dalla collaborazione.
Il sacro dal profano.
Tramite le rune pagane, Hugo mostrava le sue vere origini.