Duefiori restò calmo. — Non è lo stesso.

— È meglio! Più reale!

— Invece no. Negli anni a venire, quando siederà accanto al fuoco…

— Ci rimarrai seduto per sempre se non ce ne andiamo da qui!

— Oh, spero che non ve ne andiate.

Si girarono. Ysabel, in piedi sulla soglia, sorrideva debolmente. Reggeva in mano una falce, una falce dalla lama proverbialmente tagliente. Il mago cercò di non abbassare gli occhi per guardarsi la traccia azzurra della vita. Una ragazza con la falce non avrebbe dovuto sorridere in quel modo sgradevole, intenzionale e un po’ folle.

— In questo momento Mammina sembra un po’ preoccupata, ma sono sicura che non si sognerebbe mai di lasciarvi andare in questo modo. Inoltre — aggiunse — non ho nessuno con cui parlare.

— Questa chi è? — domandò Duefiori.

— Diciamo che vive qui — borbottò il mago. — È, uhm, una ragazza.

Afferrò l’amico per la spalla e cercò di avanzare impercettibilmente verso la porta nel giardino buio e freddo. Non funzionò. In massima parte perché Duefiori non era persona da afferrare al volo le sottigliezze di espressione e poi perché era persuaso che nulla di male lo riguardasse.

— Incantato — disse. — Un posto molto carino, il suo. Interessante effetto barocco con le ossa e i teschi.

Ysabel sorrise.

Scuotivento pensò: "Se mai la Morte le lascia l’industria di famiglia, la ragazza se la caverà meglio di lei… è svitata". A voce alta disse: — Sì, ma dobbiamo andare.

— Non voglio sentirne parlare — protestò lei. — Dovete restare e raccontarmi di voi. C’è un sacco di tempo ed è così noioso qui.

Con un balzo laterale, vibrò la falce per colpire due tracce lucenti. L’arnese tagliò l’aria con un miagolio simile a quello di un gatto castrato… e si fermò di botto.

Lo scricchiolio del legno. Il Bagaglio aveva richiuso di scatto il coperchio sulla lama.

Duefiori guardò stupefatto Scuotivento. E il mago, con grande deliberazione e una certa soddisfazione, lo colpì al mento. L’ometto stava per cadere all’indietro, lui lo acchiappò, se lo mise in spalla e corse fuori.

Nel giardino illuminato dalle stelle, dei rami lo staffilavano ed esseri piccoli e pelosi, probabilmente orribili, sgattaiolavano via mentre lui pistava con tutte le forze seguendo la debole linea vitale che luccicava arcana sull’erba gelata.

Dal cottage alle sue spalle venne un grido acuto di delusione e di rabbia. Poco mancò che il mago andasse a sbattere contro un albero, ma non si arrestò.

Ricordava che da qualche parte c’era un sentiero. Ma in quell’intrico di luce argentea e di ombre, tinteggiato ora di rosso, via via che la nuova e terribile stella faceva sentire la sua presenza perfino agli inferi, niente sembrava giusto. Comunque, la linea vitale pareva andasse proprio nella direzione sbagliata.

Scuotivento sentì dietro di sé il rumore di passi. Ansimava dallo sforzo. Ma il rumore sembrava quello del Bagaglio, e in quel momento lui non desiderava davvero incontrare il Bagaglio, al quale potevano essere venute delle idee sbagliate sul fatto che lui aveva colpito il suo padrone. E in genere il Bagaglio azzannava le persone che non gli piacevano. Il mago non aveva mai avuto il coraggio di chiedere dove quelle andassero quando il pesante coperchio si richiudeva sopra di loro. Quel che è certo è che, quando si riapriva, dentro non c’erano.

In effetti, non avrebbe dovuto preoccuparsi. Il Bagaglio lo raggiunse senza difficoltà, le sue gambette in un turbine di movimento. Al mago diede l’impressione di essere tutto concentrato sulla corsa, come se avesse qualche indizio di ciò che lo inseguiva e l’idea non gli piacesse affatto.

"Non guardarti indietro" si disse Scuotivento. "Probabilmente non è una vista molto piacevole."

Il Bagaglio s’infilò dentro un cespuglio e sparì.

Un momento dopo il mago vide perché. Aveva sbandato sull’orlo del pianoro e stava precipitando verso la grande cavità sottostante, in fondo alla quale scorgeva un chiarore rosso. Due baluginanti linee azzurre si dispartivano da Scuotivento e sparivano da sopra le rocce giù nella cavità.

Lui si fermò incerto. Benché questo non sìa precisamente vero, visto che di diverse cose era invece certissimo. Per esempio, di non volere affatto saltare giù; di non volere affrontare qualunque cosa fosse che lo seguiva; e che, per essere nel mondo degli spiriti. Duefiori era davvero pesante. E che c’erano cose peggiori dell’essere morti.

— Nominane due — borbottò e si buttò giù.

Pochi secondi dopo i cavalieri arrivarono e, giunti sul bordo delle rocce, non si arrestarono ma proseguirono semplicemente nell’aria e trattennero i loro cavalli sopra il nulla.

La Morte guardò giù.

— QUESTO FATTO MI IRRITA SEMPRE. — disse. — TANTO VARREBBE CHE INSTALLASSI UNA PORTA GIREVOLE.

— Mi chiedo che cosa volessero? - domandò la Pestilenza.

— Non chiederlo a me — disse la Guerra. — Un gioco simpatico, però.

— Giusto — convenne la Fame. — Coinvolgente, direi.

— ABBIAMO TEMPO PFR UN’ALTRA PASSATINA — disse la Morte.

— Mano — corresse la Guerra.

— CHE?

— Si chiamano mani — spiegò la Guerra.

— VA BENE, MANI — dichiarò la Morte. Guardò in alto la nuova stella, incerta del suo significato.

— PENSO CHE ABBIAMO TUTTO IL TEMPO — ripeté, un po’ dubbiosa.

Si è già accennato al tentativo d’introdurre un po’ di onestà nella storia del Disco e come a poeti e bardi fosse proibito, pena la… oh. be’ pena la… di blaterare di ruscelli e albe rosee. E come gli fosse soltanto permesso di dire, per esempio, che una delle sue due facce aveva varato un migliaio di navi purché fossero in grado di esibire la bolletta quietanzata del cantiere navale.

E pertanto, in osservanza di tale tradizione, non diremo di Scuotivento e Duefiori che divennero un’onda sinusoidale spaziante nelle dimensioni buie o un rumore simile allo strofinio di una zanna mostruosa o che videro la loro vita passargli davanti agli occhi. (In ogni caso, Scuotivento aveva visto scorrergli davanti così tante volte la sua vita passata da poter dormire durante gli episodi noiosi.) O ancora che l’universo si riversò addosso ai due come una massa gelatinosa.

Diremo, perché l’esperimento ha dimostrato che è vero, che vi fu un rumore come se un regolo di legno venisse percosso con un diapason in do diesis, forse anche in si bemolle, seguito da una subitanea impressione di immobilità assoluta.

E ciò perché loro erano assolutamente immobili in un buio assoluto.

Scuotivento immaginò che qualcosa fosse andata storta.

Poi vide davanti a sé la debole traccia azzurra.

Si trovava di nuovo dentro l’Octavo. Che sarebbe accaduto, si chiese, se qualcuno avesse aperto il libro; lui e Duefiori sarebbero apparsi come una tavola a colori?

Probabilmente no, decise. L’Octavo in cui sì trovavano era alquanto diverso dal libro incatenato al suo leggio nelle profondità dell’Università Invisibile, libro che era puramente la rappresentazione tridimensionale di una realtà multidimensionale, e…".

"Un momento" pensò. "Non sono io che penso così. Chi è che sta pensando per me?"

— Scuotivento — disse una voce simile al fruscio di vecchie pagine.

— Chi? Io?

Nel cuore messo a dura prova del mago guizzò per un attimo un sussulto di sfida.

Disse in tono maligno: — Siete poi riusciti a ricordare qual è stato l’inizio dell’Universo? Non era lo Schiarirsi la Gola, o Tirare il Fiato o Grattarsi la Testa e Cercare di Rammentarlo? Oppure era Sulla Punta della Lingua?

Un’altra voce, arida come il legno secco, sibilò: — Faresti bene a ricordarti dove ti trovi. — Dovrebbe essere impossibile sibilare una frase senza le sibilanti, ma la voce ci riuscì ottimamente.

— Ricordarmi dove sono? Ricordarmi dove sono? — urlò Scuotivento. — Certo che mi ricordo dove sono. Mi trovo dentro a un maledetto libro a parlare con un sacco di voci che non posso vedere. Perché credi che stia gridando?