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3.

Passammo per una sotterranea, sotto la Via d’Acqua Aurea, una sotterranea privata di proprietà del Palazzo della Commissione, a bordo d’una piccola slitta che sobbalzava a trenta centimetri dal suolo su getti di un bel vapore roseo. La luce dorata dell’acqua splendeva attraverso il tetto trasparente, e faceva apparire tutto piuttosto gaio; tranne me, ci scommetterei. Presi una pillola della serenità, e mi sentii dolcemente euforica e capace di affrontare qualunque cosa.

La slitta passò sotto varie arcate e andò a fermarsi in una grande galleria, piena di pavimenti volanti. Il messaggero mi fece salire su uno di essi, l’ape vi cadde sopra e la mia bestiola ci seguì a unghiate. Salimmo tutti e arrivammo in una grande sala di acciaio e crystallize, dove l’ape si trovò improvvisamente magnetizzata su una rastrelliera piena d’altre api, e la bestiola venne portata via in fretta e furia dai robot, che brontolavano perché il pelo era antigienico e così via.

Mi ricordava certe parti del Limbo, e me lo ricordò anche l’uomo della medicina, un quasi-robot vestito di chiaro, che mi indicò garbatamente un gran divano morbido e mi sedette di fronte (più in alto di me, naturalmente), con le mani giunte, e qualche registratore in funzione, senza dubbio, dentro di lui.

E ricominciammo daccapo. Ovvio, immagino. Avrei dovuto aspettare un altro quarto di rorl prima di tornare. Sapevo (Fatto Accidentale Interessante) che spesso la gente era ancora prevalentemente Jang dopo mezzo rorl, e talvolta addirittura continuava per un rorl intero? E allora non era possibile, dissi io, che alcuni uscissero dalla fase Jang dopo un quarto di rorl? Beh, effettivamente era accaduto, molto di rado, ammise lui (Soave Concessione), ma in tali casi il loro comportamento lo confermava, mentre il mio, apparentemente, non lo confermava affatto. Comunque, dissi io, adesso sono qui, perciò tanto vale che cominci a farmi questi esami. Immagino che dovrò pagare, qualunque cosa succeda. Lui mi sembrò leggermente imbarazzato ma la prese bene. Certo che poteva, disse, se questo serviva a tranquillizzarmi (Blanda Diplomazia per Trattare con la Barbara Jang).

«Prima qualche semplice domanda,» annunciò, per consolarmi, e indicò uno schermo che aveva acceso sulla colonna che gli stava davanti. «Innanzi tutto, hai mai rubato?»

Beh, d’accordo, sussultai. Era intile mentire. Del resto, per quel che ne sapevo io, poteva anche essere uno dei primi segni del vero anti-Jang.

«Qualche volta,» dissi.

«E cosa rubi?»

Ebbi l’improvvisa sensazione inquietante che ce l’avessero con me per l’Evasione, perciò non dissi una parola.

«Posso assicurarti,» disse allora lui, «che quanto dirai durante questi esami rimarrà strettamente confidenziale. L’unico uso che si farà delle informazioni sarà per scoprire che cos’è meglio per il tuo futuro.»

Bene, i robot non mentono, perciò risposi:

«Diverse cose. Non è che importi molto. Lo faccio quando sono depressa, di solito, o quando mi sento droad.»

Lui annuì, e io pensai che fosse soddisfatto, il che doveva essere un male: ma ormai era troppo tardi.

«Ora, per quanto riguarda la tua vita sessuale… ehm, ’fare l’amore’. Sei prevalentemente femmina, ma una volta ogni tanto maschio, vedo. Hai trovato un equilibrio molto ragionevole, debbo dire.»

Congratulazioni a me stessa. Quello stava già abbattendo le mie povere, piccole difese, non era così?

«Esatto,» dissi io. «Ma mi è stata imposta una restrizione di sessanta unit, per aver cambiato corpo troppo spesso.»

Volevo che disapprovasse, ma quello continuò con il solito sorrisetto. Oh, onk!

«E quanto fai l’amore?»

«Oh, molto spesso, veramente.»

«Potresti essere un po’ più precisa?»

«In media una volta ogni sei unit. Però, recentemente, un po’ meno.»

Avevo fatto centro. Non è Jang non fare l’amore praticamente sempre, ed era vero che avevo perduto l’interesse…

«Quando ti sei sposata l’ultima volta?»

«Due unit fa.»

«Capisco.» Era soddisfatto di nuovo.

«Ma non è andata bene…» mi affrettai ad aggiungere; ma lui sorvolò.

«Hai un cibo o una bevanda preferita?»

Dissi di no. Il cibo non contava molto, per me. Mi chiese che cosa avrei preferito se avessi dovuto mangiare ora, perciò dissi «bistecca di noce», la prima cosa che mi venne in mente. Non riuscii più a capire le sue reazioni, da quel momento. Era diventato molto più guardingo.

Poi passò ai vestiti.

Ero uscita di proposito con l’abito meno Jang che fossi riuscita a trovare, ma è abbastanza difficile trovare roba veramente soolka. Quell’abito era trasparente, per la metà superiore, ma coperto di gemme e di ricami, e le maniche e la gonna erano color oro cupo, quasi opache. Non avevo neppure ornamenti, e avevo i capelli lisci, non ravvolti con fiori o perle e gingilli metallici, e campanellini d’oro all’estremità d’ogni ciocca.

«Mi piacciono i colori carichi,» dissi, sinceramente. «Non la seta metallica trasparente che mostra tutto quanto.»

«Sì, capisco. E cosa porti? Vedo che la metà superiore del tuo abito rivela tutto quel che può… ed è anche molto attraente.»

Oh, che razza di v…n!

«Non è quel che preferisco…» cominciai.

«E allora perché lo porti, mia cara?»

Continuò a parlare mentre io cercavo freneticamente di spiegare che la Torre di Giada e la Montagna d’Argento, e tutti gli altri centri che vendono vestiti e gioielli, ti trascinano ai banchi Jang e ti stordiscono con la musica dell’Orecchio Superiore, e sembra impossibile trovare qualcosa di adatto ai vecchi, per quanto strilli e strepiti.

«Attività.» Sentii che faceva le fusa, quando finalmente rinunciai a tentare di farmi dare ascolto. «Vai al Palazzo delle Dimensioni?»

«Sì,» dissi io.

«Al Palazzo dell’Avventura?»

«Sì.»

«Alle Stanze del Sogno?»

«Sì.» Anti-Jang? Evidentemente no.

«Uhm. Programmi sempre gli stessi sogni?»

Ahah, pensai, adesso ci sei, ooma. I miei sogni sono non-non-non tutto quello che i comunicati dicono che debbono essere i sogni Jang.

«Più o meno gli stessi,» cominciai. «E…»

«Bene,» disse lui. Solo «Bene».

«Non vuoi sentire cosa sogno?»

«Non credo che abbia importanza.»

«Beh, io credo che ne abbia.» Gli parlai del mio ultimo sogno, insistendo sul drago, sull’innamorato e sul riforire del deserto. Lui restò lì seduto ad ascoltare. Quando smisi, sorrise.

«Mi sembra molto piacevole, anche se un po’ energico,» mi elogiò.

«Ma è strano, non è vero? Un sogno anormale?»

«Per nulla,» disse lui. «Piacevolmente normale. Tanto per cominciare, è evidente che hai coordinato molto bene le tue tendenze maschili con quelle femminili. Ti trasformi tanto nell’eroe che combatte quanto nella fanciulla che sviene. Provi un desiderio subconscio e riposante di veder fiorire il deserto. E hai anche un ottimo senso del colore, potrei aggiungere.»

«Secondo i comunicati,» cominciai, accalorandomi, «il sogno estatico del Jang normale è essere una particella di luce pulsante, risucchiata tra soli ardenti…»

«La media, mia cara, non sempre è totalmente rappresentativa come dovrebbe. Tu sei quel che viene definito un sognatore attivo. Ti piace costruire una storia. Per la verità, molti giovani che frequentano il Palazzo dell’Avventura oltre alle Stanze del Sogno inventano saghe simili alla tua.»

Mi sentii distrutta. Impallidii, credo. Nessuno ne parlava mai, di sogni del genere. Suppongo che pensassimo, sinceramente, che era strano farlo, e dopo raccontavano di essere stati particelle luminose, perché gli altri non ridessero. E all’improvviso pensai a Hergal, che mi aveva confidato di sognare di volare.

«Ma impiego moltissimo tempo nella programmazione,» tentai, fiaccamente, «a disegnare tutti i costumi e così via.»