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«Come i canguri, volete dire?»

«Esattamente. Il piccolo vive al riparo della borsa materna finché è abbastanza cresciuto per affrontare da solo il mondo freddo e ostile che lo circonda. Si suppone che alcune tra le femmine siano gravide, e che perciò si riproducano annualmente. Però, dato che Quiicc è il solo piccolo che abbiamo scoperto, significa che il loro livello di mortalità è spaventosamente alto. Non c’è da stupirsene con un clima simile.»

«Ma se noi provvediamo a rifornirli di tutto il cibo di cui necessitano» disse Gibson, «d’ora in avanti niente impedirà loro di moltiplicarsi.»

«Ma insomma, volete allevare Marziani o coltivare oxyfera?» domandò il biologo in tono bellicoso.

«L’uno e l’altro» rispose Gibson ridendo, «visto che vanno bene insieme come pane e formaggio, o se preferite come uova e prosciutto.»

«Vi prego» supplicò l’altro con un tono tanto patetico che Gibson si affrettò a chiedergli scusa per la sua sconsiderata mancanza di tatto. Aveva dimenticato che da anni su Marte nessuno gustava più quel semplice ma squisito piatto terrestre.

Più Gibson ripensava al suo progetto e più gli piaceva. Malgrado l’affanno degli affari personali da sbrigare, trovò il tempo di scrivere un appunto sull’argomento, da consegnare ad Hadfield nella speranza che il Presidente avesse la possibilità di discuterne con lui prima del suo ritorno sulla Terra. C’era qualcosa di profondamente emozionante nel pensiero di rigenerare non soltanto un mondo ma anche una razza che forse era più antica dell’uomo.

Gibson pensava ai riflessi delle mutate condizioni climatiche del pianeta sui Marziani. Se il clima fosse diventato troppo caldo per loro, avrebbero potuto facilmente migrare a nord oppure a sud e se necessario spingersi sino alle regioni sub-polari dove Phobos non era mai visibile. In quanto all’atmosfera ricca di ossigeno, c’erano stati abituati in passato e avrebbero potuto adattarvisi di nuovo. Del resto Quiicc respirava ossigeno a Porto Lowell, e aveva tutta l’aria di stare benissimo.

Non si era ancora trovata però una risposta al grande interrogativo posto dalla scoperta della razza marziana. Si trattava di superstiti di una razza che in epoche remote aveva raggiunto un qualche grado di civiltà, e che era poi degenerata quando le condizioni di vita del pianeta si erano fatte troppo dure? Questo era un punto di vista romantico che non veniva suffragato da nessuna prova. Gli scienziati erano concordi nel ritenere che su Marte non fosse mai esistita una cultura progredita. Ma gli scienziati si erano sbagliati una volta, quindi potevano sbagliarsi ancora. In ogni caso sarebbe stato interessante osservare fino a che punto i Marziani sarebbero riusciti a risalire la scala evolutiva, adesso che il loro mondo tornava a fiorire.

Perché quello era il loro mondo, non il mondo dell’Uomo. E anche se gli uomini l’avessero ricreato per i propri scopi, loro primo dovere era quello di salvaguardare gli interessi dei suoi legittimi proprietari. Nessuno poteva dire quale parte i Marziani avevano o avrebbero avuta nella storia dell’universo, e quando, come sarebbe stato un giorno inevitabile, l’Uomo stesso fosse venuto in contatto con razze superiori alla sua, avrebbe forse potuto essere giudicato proprio dal comportamento tenuto là, su Marte.

17

«Mi dispiace che non torni con noi, Martin» disse Norden mentre si dirigevano insieme al compartimento Uno Ovest, «ma credo tu sia nel giusto, e ti ammiriamo tutti moltissimo per la decisione presa.»

«Grazie» rispose Gibson con slancio. «Anche a me sarebbe piaciuto fare il viaggio di ritorno con voi. Ma le occasioni non mancheranno in seguito. Qualunque cosa succeda, non ho intenzione di restare su Marte per tutta la vita!» Rise. «Te lo saresti mai immaginato di cambiare così i tuoi passeggeri?»

«Proprio no. Sotto certi punti di vista sarà piuttosto imbarazzante. Mi sento un po’ come doveva sentirsi il capitano della nave che portò Napoleone all’isola d’Elba. Come l’ha presa il Presidente?»

«Non gli ho ancora parlato da quando gli è arrivato il richiamo, ma lo vedrò certamente domani prima che salga su Deimos. Comunque Whittaker dice che è ottimista, e che non sembra affatto preoccupato.»

«Secondo te che cosa succederà?»

«Potrebbero accusarlo di appropriazione di fondi, di materiale, di personale eccetera eccetera… tutte cose che sarebbero sufficienti per mandarlo in galera vita natural durante. Ma siccome nella faccenda sono coinvolti quasi tutti i dirigenti e gli scienziati di Marte, cosa vuoi che faccia la Terra? Francamente è una situazione grottesca. Hadfield è l’eroe di due universi, e l’Ufficio Sviluppi Interplaneíari dovrà per forza di cose trattarlo coi guanti. Ritengo che il verdetto sarà: "Non avreste dovuto farlo, però siamo contenti che l’abbiate fatto".»

«E credi che dopo lo lasceranno tornare su Marte?»

«Per forza. Qui non c’è nessuno che possa sostituirlo.»

«Eppure dovrà ben succedere, un giorno o l’altro.»

«È vero, ma sarebbe una follia sacrificare Hadfield quando ha ancora davanti a sé tanti anni preziosi di attività fattiva. Inoltre, il cielo assista il poveretto che fosse mandato qui a sostituirlo!»

«Certo è una situazione curiosa. Credo che avvengano un sacco di cose di cui non sappiamo niente. Per esempio, perché la Terra ha respinto subito, senza neppure discuterlo, il Progetto Aurora

«Me lo sono chiesto anch’io, e un giorno o l’altro vorrò vederci chiaro fino in fondo, in questa faccenda. Per il momento la mia opinione è che a molta gente sulla Terra dia fastidio che Marte diventi potente, e dia fastidio soprattutto la sua possibile indipendenza futura. Non per scopi oscuri e sinistri, bada bene, ma così, per principio. Il loro orgoglio ne resterebbe ferito, perché quelli vogliono che la Terra continui a restare il centro dell’universo.»

«Sai che parli della Terra in un modo curioso, come se fosse un misto di meschineria, di prepotenza e di oscurantismo?» disse Norden. «Questo non è giusto. Quelli di cui ti stai lamentando sono gli amministratori della Commissione per gli Sviluppi Interplanetari e le organizzazioni consociate, tutta gente che in fondo cerca di fare del suo meglio. Non dimenticare che tutto quello che vedi qui è dovuto allo spirito d’iniziativa terrestre. Temo che voialtri colonizzatori» e così dicendo fece un sorriso malinconico «vediate le cose da un punto di vista egocentrico. Io viceversa mi metto nei panni degli uni e degli altri, perché quando sono qui vedo e apprezzo il vostro punto di vista, ma quando in capo a tre mesi arriverò dall’altra parte probabilmente mi verrà fatto di pensare che qui su Marte siete una manica di brontoloni mai contenti.»

Gibson rise, ma un po’ forzatamente. Capiva che nelle parole di Norden c’era una buona dose di verità. Le difficoltà e le spese enormi per affrontare i viaggi interplanetari, e il tempo che occorreva per trasferirsi da un pianeta all’altro rendevano inevitabili una certa incomprensione e una certa intolleranza fra Terra e Marte. Si augurò che quando i trasporti fossero diventati più veloci queste barriere psicologiche sarebbero cadute permettendo così ai due pianeti di essere più vicini nello spirito oltre che nello spazio di tempo. Intanto erano arrivati al compartimento stagno, e stavano aspettando il mezzo che avrebbe dovuto trasportare Norden alla pista di decollo. Gli altri componenti dell’equipaggio l’avevano già salutato e ormai erano in viaggio per Deimos. Jimmy aveva avuto il permesso speciale di partire il giorno dopo con Hadfield e Irene. Certo, la posizione di Jimmy era mutata parecchio da quando l’Ares aveva lasciato la Terra, pensò Gibson alquanto divertito. E si chiese sino a che punto Norden sarebbe riuscito a farlo sgobbare durante il viaggio di ritorno.