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Hadfield non disse niente. Gibson non poteva neppure immaginare quello che stesse pensando. Non era una storia molto credibile, la sua, però lui aveva avuto il inerito di aver parlato con estrema franchezza.

Finalmente Hadfield si strinse nelle spalle e fece un gesto che sembrò riassumere in un attimo tutta una vita di studio sulla natura umana.

«Vi è affezionato» disse. «Supererebbe il trauma.»

Gibson si rilassò con un sorriso di sollievo. Il peggio era passato.

«Ehi, quanto tempo!» disse Jimmy. «Credevo che non la finiste più. Dunque? Come è andata?»

Gibson lo prese per un braccio.

«Bene. Non ti preoccupare. Tutto si sistemerà per il meglio, vedrai!»

Sperava e credeva di dirgli la verità. Hadfield era stato pieno di buonsenso, cosa che molti padri non sono.

«Non mi interessa in modo particolare chi siano o non siano i genitori di Spencer,» aveva detto. «Non viviamo più nell’epoca della regina Vittoria. A me interessa soltanto il ragazzo in sé e per sé, e devo dire di averne ricevuta un’impressione lavorevole. Ho parlato di lui col capitano Norden, quindi non mi baso soltanto sul nostro colloquio di stasera, per giudicarlo. Sì, è da molto che mi sono accorto di quello che andava maturando. Anzi, trovo che la cosa abbia un certo carattere di inevitabilità, dal momento che qui su Marte sono così pochi i giovani dell’età di Spencer.»

Aveva allargato le mani davanti a sé, un gesto che Gibson gli aveva visto fare altre volte, ed era rimasto a fissare le dita come se le vedesse per la prima volta.

«Il fidanzamento può essere annunciato domani» aveva aggiunto con voce insolitamente dolce. «E adesso, parliamo un po’ di voi, del vostro ruolo in tutta questa faccenda» e aveva fissato intensamente Gibson che aveva sostenuto il suo sguardo senza battere ciglio.

«È mia intenzione fare per Jimmy quanto è nelle mie possibilità» aveva risposto il giornalista.

«E persistete nell’intenzione di restare su Marte?»

«Ho riflettuto anche a questo. Ma se tornassi adesso sulla Terra, di che utilità gli sarei? Jimmy laggiù ci resterà poco, al massimo qualche mese, e anzi credo che d’ora in poi avrò assai più occasioni di vederlo qui su Marte che non altrove.»

«Sì, credo che abbiate ragione» aveva detto Hadfield con un sorriso. «Sino a che punto a Irene piacerà avere un marito che trascorre metà della propria esistenza nello spazio è ancora da vedere… ma dopotutto, sono secoli che le mogli dei marinai hanno superato questo scoglio.» Poi, dopo una breve pausa, aveva detto: «Sapete che cosa dovreste fare?»

«Vi ascolto» aveva risposto Gibson con calore.

«Non ditegli niente finché tutto non sarà completamente sistemato. Rivelargli la sua identità ora non servirebbe, e potrebbe anzi provocare un danno. In seguito però dovrete dire a Jimmy chi siete veramente per lui, o chi è lui per voi, come preferite. Ma credo che per il momento convenga aspettare.»

Era la prima volta che Hadfield si riferiva al ragazzo usandone il nome. Forse non se n’era neppure accorto, ma per Gibson fu una prova sicura che già Hadfield considerava Jimmy come il suo futuro genero. Questa certezza suscitò in lui un’improvvisa corrente di simpatia e di amicizia, quasi di affetto, nei riguardi di Hadfield. D’ora in avanti i due uomini sarebbero stati uniti nel disinteressato impegno per il raggiungimento di uno scopo comune: la felicità dei figli nei quali vedevano entrambi rivivere la loro gioventù.

In seguito, ogni volta che ripensò a quel colloquio, Gibson lo considerò come l’inizio della sua amicizia con Hadfield, il primo uomo al quale aveva sentito di poter dare senza riserve la propria ammirazione e il proprio rispetto. La loro fu un’amicizia destinata ad avere una parte importante nell’avvenire di Marte, assai più importante di quanto gli stessi Hadfield e Gibson potevano supporre.

15

Quel giorno era cominciato come tutti gli altri. Jimmy e Gibson avevano fatto tranquillamente colazione insieme, senza parlare perché entrambi erano assorbiti nei propri problemi. Jimmy viveva in uno stato che era esatto definire estatico, anche se ogni tanto soffriva momenti di nero avvilimento al pensiero che tra poco avrebbe dovuto separarsi da Irene, Gibson si chiedeva se dalla Terra fosse arrivata finalmente una risposta in merito alla sua richiesta di soggiorno su Marte. A volte era convinto di aver fatto un’enorme sciocchezza, e si sorprendeva persino a sperare che le sue carte si fossero smarrite, ma in realtà era decisissimo a restare fermo nei suoi propositi, e quel mattino pensò di passare dall’Amministrativo per vedere di sollecitare un po’ le cose.

Capì subito che c’era qualcosa per aria non appena ebbe messo il piede nell’ufficio. La signora Smyth, la segretaria di Hadfield, lo accolse con un sorriso come lo accoglieva sempre quando lui andava dal presidente. Di solito, però, o lo faceva entrare subito, o gli spiegava che Hadfield era occupatissimo, oppure che aspettava una chiamata urgente dalla Terra, e lo pregava quindi di ripassare più tardi. Ma quella mattina si limitò ad annunciargli: «Mi dispiace, signor Gibson, ma il signor Hadfield non c’è. Tornerà solo domani.»

«Ah, sì?» disse Gibson. «È andato a Skia?»

«No» rispose la signora Smyth, cortese ma decisa a non violare le consegne. «Mi dispiace ma non posso dirvi dov’è andato. Comunque sarà di ritorno tra ventiquattr’ore.»

Gibson decise di rimandare a più tardi la soluzione di quel mistero. Immaginando che la signora Smyth fosse al corrente di tutto, e perciò anche delle sue questioni personali, chiese: «Sapete se c’è qualche risposta alla mia richiesta di soggiorno?»

La signora Smyth sembrò confusa.

«È arrivato qualcosa» rispose, «ma si trattava di una comunicazione personale al signor Hadfield e perciò io non ne so niente. Credo che voglia parlarvene lui stesso non appena torna.»

Era una situazione esasperante. Era già seccante non aver saputo ancora niente, ma era ancora peggio sapere che la risposta era arrivata e non poterla conoscere. Gibson sentì che la pazienza lo abbandonava.

«Non vedo per quale motivo non me lo possiate dire» protestò, «soprattutto considerato che domani lo saprò comunque.»

«Mi rincresce infinitamente, signor Gibson, ma sono certa che il signor Hadfield si seccherebbe molto se ve lo dicessi io adesso senza aspettare il suo ritorno.»

«E va bene!» disse Gibson, e se ne andò infuriato.

Decise di slogarsi andando a parlare col maggiore Whittaker, convinto di trovare in città almeno lui. C’era infatti, ma non sembrò particolarmente felice di vedere Gibson, il quale però si sistemò comodamente sulla poltrona degli ospiti con l’evidente intenzione di restare a lungo.

«Sentite un po’, Whittaker» cominciò, «io sono un tipo paziente, e spero converrete con me che non faccio spesso richieste irragionevoli.»

Visto che il maggiore non aveva nessuna intenzione di rispondere, Gibson si affrettò ad aggiungere: «Qui sta succedendo qualcosa di molto strano, e io sono ansioso di andare in fondo a questo mistero.»

Whittaker sospirò. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe venuto. Era un vero peccato che Gibson non avesse la pazienza di aspettare fino al giorno dopo. Fra ventiquattr’ore non avrebbe più avuto nessuna importanza.

«Come siete arrivato tutto a un tratto a una simile conclusione?» chiese.

«Riflettendo su alcuni particolari. E poi non è stato tutto a un tratto. Pochi minuti fa ho cercato di vedere Hadfield, e la signora Smyth mi ha informato che non è in città, e poi, non appena ho tentato di farle qualche domanda innocente, si è chiusa come un’ostrica.»

«Oh, me la immagino!» esclamò Whittaker ridendo.

«Ma se voi cercherete di fare altrettanto, mi metterò a spaccare tutto, qua dentro, e poi continuerò fuori… Se proprio non potete dirmi che cosa sta succedendo, ditemi almeno perché non me lo potete dire. Si tratta del Progetto Aurora, vero?»