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L’astrovedetta morfizzò le ali e percorse gli ultimi dieci chilometri sotto la spinta dei silenziosi pulsojet elettrici. Isozaki vide le guardie svizzere in armatura da battaglia alzarsi in volo e scortare la nave nei cinque chilometri conclusivi. La ricca luce del sole brillava sulle armature a flusso dinamico e sugli scudi facciali trasparenti, mentre le guardie svizzere giravano intorno alla vedetta e a passo d’uomo si avvicinavano al castello. Parecchi soldati puntarono sonde contro la vedetta e controllarono con i radar di profondità e con gli infrarossi che il numero e l’identità dei passeggeri e del personale di bordo corrispondessero ai dati riportati sul foglio di viaggio.

Una porta si aprì nel fianco di una delle torri di pietra del castello e la vedetta entrò a pulsojet spenti, rimorchiata da guardie svizzere munite di monorepulsori che emanavano bagliore azzurrino.

La camera stagna entrò in funzione. Le otto guardie svizzere scesero per prime dalla rampa e si disposero su due file, mentre il colonnello scortava Kenzo Isozaki fuori della vedetta e giù dalla rampa. Il PFE cercò con gli occhi la porta di un ascensore o una scala, ma l’intero livello di attracco della torre cominciò a scendere. Motori e meccanismi erano silenziosi. Solo lo scorrere delle mura di pietra della torre rivelò il movimento di discesa e poi quello laterale nelle viscere di Castel Gandolfo.

Il movimento cessò. Nella parete di fredda pietra comparve una porta. Luci illuminarono un corridoio di acciaio polito dove galleggiavano telecapsule di fibroplastica che montavano la guardia a intervalli di dieci metri. Il colonnello indicò a Isozaki di precederlo e il PFE della Pax Mercatoria guidò il corteo nel tunnel risonante d’echi. In fondo, una luce azzurra bagnò il gruppo, mentre altre sonde e sensori frugavano dentro e fuori ogni persona. Una campanella tintinnò e comparve un’altra porta che si aprì come un diaframma a iride. Isozaki e la sua scorta entrarono in una sala d’attesa più convenzionale. C’erano già tre persone.

"Maledizione!" pensò il PFE della Pax Mercatoria. Vide nella stanza Anna Pelli Cognani, elegantissima nel suo migliore vestito di frescoseta, e i primi funzionari esecutivi Helvig Aron e Kennet Hay-Modhino che con lui formavano il consiglio della Lega pancapitalista delle organizzazioni commerciali transtellari cattoliche indipendenti.

Rimase assolutamente impassibile; senza aprire bocca, salutò con un cenno i suoi colleghi. "Maledizione!" pensò di nuovo. "Riterranno responsabili delle mie azioni anche loro. Saremo tutti scomunicati e giustiziati."

«Da questa parte» disse il colonnello delle guardie svizzere. Aprì una porta riccamente intagliata. La stanza al di là della porta era più scura. Isozaki sentì odore di candele, di incenso, di umida pietra. Capì che le guardie svizzere non avrebbero varcato con loro la soglia. Qualsiasi cosa fosse avvenuta in quel locale, era riservata a lui e agli altri tre.

«Grazie, colonnello» disse il PFE Kenzo Isozaki, con voce affabile. A passi fermi guidò il gruppetto nella penombra odorosa d’incenso.

La sala era una piccola cappella illuminata soltanto dalla tremolante fiammella di una rossa candela votiva in un sostegno di ferro battuto sistemato contro una parete e da due finestre ad arco dai vetri colorati, poste dietro il semplice altare in fondo. Altre sei candele bruciavano sull’altare spoglio, mentre bracieri ardenti, sul lato opposto alle finestre, proiettavano altra luce rossastra nella sala lunga e stretta. C’era solo una sedia, alta, a schienale dritto, imbottita e coperta di velluto, posta a sinistra dell’altare. Nello schienale della sedia era ricamato ciò che a prima vista pareva un crucimorfo, ma che a ben guardare era la triplice croce del papa. Altare e sedia erano sistemati sopra una bassa pedana di pietra.

Per il resto, nella cappella non c’erano sedie né banchi, ma cuscini di velluto rosso sistemati sulla pietra scura ai lati del passaggio centrale che in quel momento era percorso da Kenzo Isozaki, Anna Pelli Cognani, Kennet Hay-Modhino e Helvig Aron. Quattro cuscini, due a destra e due a sinistra, erano liberi. I PFE della Pax Mercatoria bagnarono la punta delle dita nel fonte di pietra contenente acqua santa, si fecero il segno di croce, piegarono il ginocchio in direzione dell’altare e si inginocchiarono sui cuscini. Prima di chinare la testa in preghiera, Kenzo Isozaki lanciò un’occhiata tutt’intorno.

Il più vicino alla piattaforma dell’altare era il segretario dello Stato Vaticano, cardinale Simon Augustino Lourdusamy — una montagna di rosso e di nero nella luce rossastra, tripli menti che nascondevano il collare da prete sotto la testa china in preghiera — e dietro di lui c’era la sagoma da spaventapasseri del suo aiutante, monsignor Luca Oddi. Dall’altra parte rispetto al passaggio centrale, il Grande Inquisitore del Sant’Uffizio, cardinale John Domenico Mustafa, era inginocchiato in preghiera, a occhi chiusi. Dietro di lui c’era il malfamato agente segreto e torturatore, padre Farrell.

Dal lato di Lourdusamy erano inginocchiati tre ufficiali della Flotta della Pax: l’ammiraglio Marusyn, capelli d’argento che brillavano nella luce rossastra, il suo aiutante ammiraglio Marget Wu e un terzo ufficiale che Isozaki riconobbe solo dopo qualche istante, l’ammiraglio Aldikacti. Dal lato del Grande Inquisitore c’era il cardinale Du Noyer, prefetto e presidente del Cor unum. Du Noyer era una donna sui settanta ben portati, con mascella volitiva, corti capelli grigi, occhi color selce. Isozaki non riconobbe l’uomo di mezza età in tonaca da monsignore, inginocchiato dietro il cardinale Du Noyer.

Le ultime quattro persone inginocchiate erano i PFE della Pax Mercatoria, Aron e Hay-Modhino sul lato del Grande Inquisitore; Isozaki e Pelli Cognani sul lato del segretario di Stato. Isozaki contò in totale tredici persone nella cappella. Un numero di cattivo auspicio, pensò.

In quel momento una porta segreta nella parete a destra dell’altare si aprì senza rumore. Entrò il papa, con quattro uomini al seguito. Le tredici persone nella cappella si alzarono subito e rimasero a testa china. Kenzo Isozaki ebbe il tempo di vedere che due degli uomini con il papa erano suoi aiutanti e che il terzo era il capo della sicurezza, funzionari senza faccia. Ma il quarto uomo, quello in grigio, era il consigliere Albedo. Solo quest’ultimo seguì Sua Santità nella cappella. Il papa permise che gli baciassero l’anello e toccò la testa dei presenti che tornarono a inginocchiarsi. Poi papa Urbano XVI prese posto sulla sedia e Albedo rimase in piedi dietro di lui. Immediatamente i tredici dignitari nella cappella si alzarono.

Isozaki abbassò gli occhi e si mostrò calmissimo, ma sentiva il cuore battergli all’impazzata. "Albedo ci denuncerà tutti?" si domandò. "Anche gli altri gruppi qui presenti hanno tentato di mettersi segretamente in contatto con il Nucleo? Saremo messi a confronto con Sua Santità e poi portati via di qui, privati del crucimorfo e quindi giustiziati?" La ritenne una previsione attendibile.

«Fratelli e sorelle in Cristo» cominciò Sua Santità «siamo compiaciuti che abbiate accettato tutti di unirvi qui a noi oggi. Ciò che dobbiamo dire in questo luogo segreto e silenzioso è rimasto un segreto per secoli e deve rimanere tra noi finché la Santa Sede non darà permesso ufficiale di condividerlo con altri. Così decretiamo e vi ordiniamo, pena la scomunica e la perdita dell’anima alla luce di Cristo.»

Le tredici persone, uomini e donne, mormorarono preghiere e parole di consenso.

«Nei recenti mesi e anni» continuò Sua Santità «sono accaduti eventi bizzarri e terribili. Di questi eventi siamo stati testimoni da lontano: alcuni li abbiamo previsti con l’aiuto di nostro signore Gesù Cristo, e molti abbiamo pregato che fossero allontanati da noi, risparmiando al nostro popolo, alla nostra Pax e alla nostra Chiesa una prova di volontà, di fede e di fermezza. Ma gli eventi accadono secondo la volontà di nostro Signore. Perfino il suo più leale servitore non può capire tutti gli eventi e i portenti, può solo confidare nella sua misericordia, quando essi paiono più minacciosi e imbarazzanti.»