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«Sembrerà strano» riprese padre de Soya «ma le autorità non presero l’idea dalle antiche catacombe romane che si trovano qui intorno, ma dalle catacombe di Parigi, vecchi tunnel per l’estrazione di pietre, nelle viscere di quella città. Tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo, i parigini avevano dovuto spostare in quei tunnel le ossa dei loro cimiteri troppo pieni e avevano scoperto che bastava appena qualche chilometro di tunnel per sistemare facilmente sei milioni di morti. Ah… ci siamo!»

Alla nostra sinistra, al di là di un ancora più stretto corridoio fra le ossa, un sentiero polveroso segnato da qualche impronta di stivali conduceva a una porta di ferro. La porta non era sprangata, ma per aprirla ci volle la forza di tutti e tre. De Soya ci guidò giù per un’altra serie di arrugginite scale a chiocciola, fino a una profondità — stimai — di almeno trentacinque metri sotto il livello stradale. Il fiammifero si spense proprio mentre imboccavamo un altro tunnel, molto più antico della metropolitana: pareti e soffitto erano incompleti e diroccati. Avevo scorto diramazioni laterali piene di ossa alla rinfusa, teschi capovolti, brandelli di abiti marciti.

«Secondo padre Baggio» disse sottovoce de Soya «qui iniziano le vere catacombe. Quelle cristiane, che risalgono al primo secolo dopo Cristo.» Accese un altro fiammifero. Udii il rumore nella scatola e mi parve che ne restassero ben pochi.

«Da questa parte, direi» riprese padre de Soya. Ci precedette verso destra.

«Ora siamo sotto il Vaticano?» bisbigliò Aenea, qualche minuto più tardi. Sentivo la sua impazienza. Il fiammifero si spense.

«Manca poco, manca poco» disse de Soya nel buio. Accese un altro fiammifero. Dalla scatola non provenne rumore.

Dopo un altro centinaio di metri, più o meno, il corridoio terminò, semplicemente. Non c’erano ossa alla rinfusa né teschi, solo ruvide pareti di pietra e una traccia di muratura al termine del tunnel. Il fiammifero si spense. Mentre aspettavamo nel buio, Aenea mi toccò la mano.

«Mi spiace» disse de Soya. «I fiammiferi sono terminati.»

Lottai per dominare il panico che mi toglieva il fiato. Adesso ero sicuro di udire dei rumori: lontano zampettio di topi, a dir poco; stivali sui gradini, a dir peggio.

«Torniamo indietro?» Il mio bisbiglio risuonò troppo forte nel buio completo.

«Padre Baggio mi disse che verso nord queste catacombe erano un tempo collegate a quelle più antiche sotto il Vaticano» bisbigliò padre de Soya. «Sotto la basilica di San Pietro, per essere precisi.»

«Be’, pare che non…» cominciai e mi interruppi. Nei pochi istanti prima che il fiammifero si spegnesse, avevo notato che il muro di mattoni nella parete di pietra sembrava un po’ meno antico, qualche secolo, anziché i millenni delle pareti di pietra. Avanzai lentamente a mani protese, finché non sentii sotto le dita pietre, mattoni, calcina sbriciolata.

«L’hanno costruito in fretta» dissi, parlando con l’autorità che mi derivava dall’essere stato assistente tecnico paesaggista nelle proprietà terriere del Becco, anni e anni fa. «La malta è piena di crepe e alcuni mattoni sono caduti a pezzi.» Tastai rapidamente qua e là. «Datemi qualcosa con cui scavare. Maledizione, se non avessi buttato via il coltello…»

Nel buio Aenea mi porse una sorta di bastone o ramo appuntito; scavai per alcuni minuti, prima di rendermi conto di usare un femore rotto a un’estremità. Aenea e de Soya si unirono a me; scavammo con pezzi d’osso, grattammo i freddi mattoni fino a romperci le unghie e a farci sanguinare le dita. Dopo un poco, ci fermammo a riprendere fiato. Gli occhi non si erano adattati all’oscurità. Non c’era luce là sotto.

«La messa sarà già terminata» bisbigliò Aenea. Dal tono di voce, la si sarebbe detta una tragedia.

«È una messa solenne» bisbigliò de Soya. «Una cerimonia lunga.»

«Aspettate!» esclamai. Le mie dita avevano ricordato un lieve movimento dei mattoni, non di uno o di alcuni, ma dell’intero muro.

«Fatevi indietro!» dissi forte. «Strisciate sul lato del tunnel.» Arretrai anch’io, ma non di lato; alzai la spalla sinistra, abbassai la testa e mi lanciai alla carica, piegato in due, aspettandomi quasi di dare una testata alla roccia e di restare tramortito.

Colpii i mattoni, con un forte grugnito e una pioggia di polvere e di piccoli detriti. Il muro di mattoni non era crollato. Ma l’avevo sentito incavarsi.

Aenea e de Soya si unirono a me; nel giro di un minuto avevamo spinto via i mattoni centrali e fatto crollare l’intero muro.

Dall’altra parte del tunnel c’era un debolissimo barlume, sufficiente però a mostrarci una rampa di detriti che portava a un altro tunnel ancora più in basso. Strisciammo ginocchioni, trovammo spazio per stare in piedi e percorremmo il corridoio che odorava di terra. Dopo due svolte, ci trovammo in una catacomba rozzamente scavata come quella sovrastante, ma illuminata da una stretta striscia di nastro luminoso che correva sulla parete di destra all’altezza della cintola. Dopo altri cinquanta metri di curve e di svolte, sempre seguendo il passaggio principale illuminato dal nastro, ci trovammo in un tunnel più ampio, con moderni fotoglobi posti ogni cinque metri. I fotoglobi erano spenti, ma l’antico nastro luminoso continuava.

«Siamo sotto la basilica di San Pietro» bisbigliò padre de Soya. «Questa zona fu riscoperta nel 1939, dopo la sepoltura di papa Pio XI in una nicchia vicina. Gli scavi proseguirono per una ventina d’anni e poi furono abbandonati. La zona non fu mai riaperta agli archeologi.»

Entrammo in un corridoio ancora più ampio, tanto da permetterci per la prima volta di camminare affiancati. Qui le antiche pareti di pietra e scagliola, con un riquadro di marmo di tanto in tanto, presentavano affreschi e mosaici protocristiani e statue in rovina poste sopra nicchie che contenevano scheletri e teschi. Qualcuno, in chissà quale epoca, aveva sistemato su molte nicchie una copertura di plastica; la plastica, ormai giallastra e opaca, rendeva quasi invisibili i resti mortali, ma scrutando da vicino riuscivamo a vedere ossa pelviche e orbite vuote che ricambiavano il nostro sguardo.

Gli affreschi raffiguravano immagini simboliche dei primi cristiani — colombe con un ramoscello d’ulivo nel becco, donne che attingevano acqua, l’onnipresente pesce — ma erano fianco a fianco con nicchie più antiche, urne di cremazione e tombe con emblemi precristiani: Iside e Apollo, Bacco che con grandi caraffe traboccanti di vino accoglieva nell’aldilà i morti, una scena di buoi e arieti su due zampe, un’altra di satiri danzanti — notai subito quanto assomigliavano a Martin Sileno e mi girai appena in tempo per cogliere l’occhiata d’intesa di Aenea — e altri ancora, con creature che padre de Soya chiamò menadi, alcune scene campestri, una fila di pernici, un pavone che si lisciava le penne ottenute con frammenti di lapislazzuli di un vivido azzurro che ancora raccoglieva la luce.

Vedere quelle opere sotto l’antica plastica chiazzata e il plastivetro mi diede l’impressione di attraversare un mondano acquario di morte. Alla fine giungemmo a una parete rossa ad angolo retto con una parete più bassa di un blu sbiadito e screziato, che mostrava ancora resti di graffiti in latino. Lì il foglio di plastica era più recente e il piccolo contenitore di ossa all’interno risaltava. Il teschio era stato posto sull’ordinata pila di ossa e pareva guardarci con un certo interesse.

Padre de Soya si inginocchiò nella polvere, si fece il segno di croce e chinò la testa in preghiera. Aenea e io restammo più indietro a guardare col muto imbarazzo dell’agnostico in presenza di un vero credente.

Quando si rialzò, padre de Soya aveva gli occhi umidi. «Secondo la storia della Chiesa e il racconto di padre Baggio» disse «gli operai scoprirono quelle povere ossa nel 1949 dopo Cristo. In seguito le analisi mostrarono che appartenevano a un uomo robusto, morto sulla sessantina. Ci troviamo proprio sotto l’altare di San Pietro, costruito qui perché la leggenda diceva che Pietro era stato segretamente sepolto proprio in questo punto. Nel 1968 papa Paolo VI annunciò che secondo il Vaticano queste erano proprio le ossa del Pescatore, lo stesso Pietro che seguì Gesù e fu la pietra sulla quale Cristo edificò la Sua Chiesa.»