Il padre capitano Federico de Soya era stato riportato in vita su Pacem e aveva trascorso due settimane come prigioniero de facto nel presbiterio vaticano dei legionari di Cristo. Il presbiterio era comodo e silenzioso. Il piccolo e grassoccio cappellano di risurrezione che badava alle sue necessità, padre Baggio, era gentile e sollecito come sempre. De Soya odiava quel posto e quel prete.
Nessuno disse esplicitamente al padre capitano de Soya che non poteva lasciare il presbiterio, ma gli fu fatto capire che sarebbe dovuto restare lì finché non l’avessero chiamato. Dopo una settimana trascorsa a riprendere le forze e a superare il disorientamento causato dalla risurrezione, de Soya fu chiamato al quartier generale della Flotta della Pax, dove incontrò l’ammiraglio Wu e il diretto superiore della donna, l’ammiraglio Marusyn.
Durante l’incontro, il padre capitano de Soya fece ben poco, a parte salutare, stare sul riposo e ascoltare. L’ammiraglio Marusyn spiegò che un riesame del processo di corte marziale subito quattro anni prima dal padre capitano de Soya aveva mostrato varie irregolarità e incongruenze procedurali. Un ulteriore esame aveva provocato l’annullamento della decisione della corte marziale: de Soya doveva essere reintegrato immediatamente nel grado di capitano della Flotta della Pax. Si sarebbe provveduto a trovargli una nave per l’incarico di comando.
«La sua vecchia nave torcia, la Baldassarre, è in cantiere per un anno» disse l’ammiraglio Marusyn. «Riattazione completa, fino agli standard di nave scorta classe Arcangelo. Il suo sostituto, la madre capitano Stone, ha fatto un eccellente lavoro come capitano.»
«Sissignore» disse de Soya. «Stone era un eccellente subalterno. Sono sicuro che si è dimostrata un ottimo comandante.»
L’ammiraglio annuì con aria assente e sfogliò il blocco notes. «Sì, sì» disse. «Così brava, infatti, che l’abbiamo proposta come comandante di una delle nuove Arcangelo planetarie. Abbiamo in mente una Arcangelo anche per lei, padre capitano.»
De Soya batté le palpebre, sorpreso, e cercò di non mostrare reazioni. «La Raffaele, signore?»
L’ammiraglio alzò il viso, abbronzato e rugoso, e mostrò una traccia di sorriso. «Sì, la Raffaele, ma non la stessa che lei ha già comandato. Abbiamo ritirato quel prototipo per servizi di corriere e gli abbiamo cambiato nome. La nuova Raffaele classe Arcangelo è… ha già sentito parlare delle nuove Arcangelo, padre capitano?»
«Nossignore. Non proprio.» De Soya aveva udito delle voci, nel suo pianeta desertico, quando i minatori di bauxite chiacchieravano ad alta voce nell’unico bar della città.
«Quattro anni standard» mormorò l’ammiraglio, scuotendo la testa. Aveva i capelli bianchi, pettinati all’indietro sulle orecchie. «Aggiorni Federico, ammiraglio.»
Marget Wu annuì e toccò il diskey del quadro comando tattico standard inserito nella parete. Fra la donna e de Soya si materializzò l’ologramma di una nave spaziale. Il padre capitano vide subito che quella nave era più grande, più snella, più rifinita e più micidiale della sua vecchia Raffaele.
«Sua Santità ha chiesto a ogni pianeta industrializzato della Pax di costruire, o almeno di finanziare, un incrociatore da battaglia classe Arcangelo, padre capitano» disse l’ammiraglio Wu, col tono di chi tiene lezione. «Negli ultimi quattro anni, ventuno sono stati completati e messi in servizio. Altri sessanta sono quasi terminati.» L’ologramma cominciò a ruotare e ad allargarsi, finché all’improvviso mostrò in sezione il ponte di comando. Era come se una lancia laser avesse tagliato in due la nave.
«Come vede» proseguì Wu «le aree di soggiorno, i ponti di comando e i centri tattici Tre-C sono molto più spaziosi di quelli della prima Raffaele e della sua vecchia nave torcia. I motori, sia il segretissimo Gideon per velocità C-più sia quello a fusione per velocità planetaria, sono stati ridotti di un terzo in dimensione, ma sono stati migliorati in efficienza e facilità di manutenzione. La nuova Raffaele porta tre navette per spostamenti in atmosfera e un ricognitore a grande velocità. A bordo ci sono culle automatiche di risurrezione per un equipaggio di ventotto persone e fino a ventidue marines o passeggeri.»
«Difese?» domandò il padre capitano de Soya, ancora sul riposo, mani chiuse dietro di sé.
«Campi di contenimento classe dieci» rispose vivacemente Wu. «La più moderna tecnologia di segretezza. Capacità di disturbo elettronico e di interferenza classe omega. Senza contare il normale assortimento di difese ravvicinate ipercinetiche ed energetiche.»
«Capacità di attacco?» domandò de Soya. Poteva dedurle dalle aperture e dagli spiegamenti visibili nell’ologramma, ma voleva sentirle elencare.
Rispose l’ammiraglio Marusyn, in tono d’orgoglio, come se mostrasse il suo ultimo nipotino: «Tutto il campionario» disse. «Raggi di energia CPB, naturalmente, ma alimentati dal nucleo del motore C-più e non da quello a fusione. Riducono a scorie qualsiasi cosa nel raggio di mezza unità planetaria. Nuovi missili ipercinetici Hawking, miniaturizzati, circa la metà in massa e dimensioni rispetto a quelli che armavano la Baldassarre. Aghi al plasma con resa quasi doppia rispetto alle testate di cinque anni fa. Raggi della morte…»
Il padre capitano de Soya cercò di restare impassibile: i raggi della morte erano proibiti, nella Flotta della Pax.
L’ammiraglio Marusyn gli lesse qualcosa in viso. «La situazione è cambiata, Federico» spiegò infatti. «La battaglia è alla fine. Gli Ouster si riproducono come moscerini della frutta, là fuori nel buio; se non li fermiamo, fra un paio d’anni scorificheranno Pacem.»
Il padre capitano de Soya annuì. «Posso chiedere quale pianeta ha finanziato la costruzione di questa nuova Raffaele, signore?»
Marusyn sorrise e indicò l’ologramma. L’ingrandimento aumentò e lo scafo parve proiettarsi contro de Soya. La vista tagliò lo scafo, si chiuse sul ponte tattico, si mosse sul bordo del pozzetto olografico tattico, finché il padre capitano non riuscì a distinguere una piccola targa di bronzo col nome, ASS RAFFAELE, e sotto, in caratteri più piccoli, COSTRUITA E COMMISSIONATA DALLA POPOLAZIONE DI PORTA DEL PARADISO, PER LA DIFESA DI TUTTA L’UMANITÀ.
«Perché sorride, padre capitano?» domandò l’ammiraglio Marusyn.
«Ah, signore, ecco, sono stato su Porta del Paradiso, signore. Più di quattro anni fa, naturalmente. Il pianeta era disabitato, a parte una decina di cercatori minerari e una guarnigione della Pax in orbita. Dopo l’invasione degli Ouster, trecento anni fa, non c’è più stata una vera popolazione. Proprio non riesco a immaginare come un pianeta del genere riesca a finanziare la costruzione di una di queste navi. Mi sembra che per pagare una sola Arcangelo sarebbe necessario il prodotto nazionale lordo di un pianeta come Vettore Rinascimento.»
Marusyn non perdette il sorriso. «Esatto, padre capitano. Porta del Paradiso è un buco d’inferno, atmosfera velenosa, pioggia acida, fango interminabile, piane sulfuree, non si è mai ripreso dall’attacco degli Ouster. Ma Sua Santità ha ritenuto opportuno trasferire a imprese private la sovrintendenza di quel pianeta. Porta del Paradiso possiede ancora una fortuna in metalli pesanti e prodotti chimici. Così l’abbiamo venduto.»
Stavolta de Soya non riuscì a nascondere la sorpresa. «Venduto, signore? Un intero pianeta?»
Mentre Marusyn rideva apertamente, l’ammiraglio Wu precisò: «All’Opus Dei, padre capitano».
De Soya rimase in silenzio, ma fu chiaro che non aveva capito.
«Un tempo l’Opus Dei era una organizzazione religiosa di importanza secondaria» disse Wu. «Conta, credo, milleduecento anni di vita. Fu fondata nel 1920 d.C. Negli ultimi anni è divenuta non solo un grande alleato della Santa Sede, ma un degno concorrente della Pax Mercatoria.»