"Rotolo lontano da Nemes, e lontano da Aenea, lasciando indifesa la mia amica. Mi aggrappo con le unghie alla fredda roccia per tirarmi in piedi. Non posso usare la destra, un tendine reciso in quegli ultimi secondi, così alzò la sinistra, prendo dall’imbracatura la fune di sicurezza, posso solo augurarmi che sia ancora intatta, e aggancio il moschettone al chiodo da rocciatore, con uno scatto metallico, come di manette che si chiudano.
"Nemes si gira di colpo a sinistra: ora mi lascia perdere, punta su Aenea, gli occhi simili a bilie di vetro nero. La mia amica mantiene la posizione.
"La nave atterra sulla piattaforma, spegne i repulsori EM e grava con tutto il peso sul tavolato, schianta con rumore lacerante il padiglione della Giusta Meditazione, riempie con le arcaiche pinne di coda quasi tutto lo spazio, manca per un pelo sia me sia Nemes.
"La diabolica creatura lancia un’occhiata, girando solo la testa, alla gigantesca nave nera che incombe su di lei; se ne disinteressa, è chiaro, e si acquatta per balzare su Aenea.
"Per un secondo penso che il cedro bonsai reggerà, che la piattaforma sia più robusta di quanto i calcoli di Aenea e la mia esperienza lascino credere, ma poi c’è un orrendo, lacerante rumore di legno schiantato e l’intera piattaforma della Giusta Meditazione e buona parte della scala che porta al padiglione della Giusta Preoccupazione si staccano dalla montagna.
"Le persone sulla loggia, che hanno assistito allo scontro, vengono sbattute all’interno, mentre la nave precipita."
"Nave!" ansimo nel microfono della dermotuta. "Resta sospesa!" Poi riporto l’attenzione su Nemes.
"La piattaforma precipita sotto i suoi piedi. Nemes spicca un balzo verso Aenea. La mia amica non si ritrae.
"Solo la piattaforma che precipita impedisce a Nemes di completare il balzo, che così risulta corto. Ma gli artigli urtano la cornice di roccia, lanciano scintille, trovano un appiglio.
"La piattaforma crolla in mille pezzi, si disintegra mentre precipita nell’abisso; dei pezzi colpiscono la piattaforma principale più in basso e ne strappano alcune parti, in altre provocano mucchi di detriti.
"Nemes penzola dalla cornice, raspa con gli artigli e con i piedi, appena un metro più in basso di Aenea.
"Io ho otto metri di corda di sicurezza. Uso la sinistra ancora buona, mentre il mio sangue rende la corda pericolosamente scivolosa, mollo alcuni metri e con un calcio mi stacco dalla parete dove sono appeso.
"Nemes si tira un po’ più in alto e riesce a mettere le dita sopra la cornice. Trova una crepa o una fenditura, si tira su e in fuori, come un esperto rocciatore che abbia ragione di una sporgenza. Ha il corpo inarcato, con i piedi struscia la pietra e si tira più in alto in modo da lanciarsi sulla cornice e contro Aenea, che non si è mossa.
"Dondolo lontano da Nemes, rimbalzo contro la roccia, sento la liscia pietra contro la sanguinante pianta del piede da cui Nemes ha strappato lo stivale, vedo che la fune da cui dipende la mia vita si è sfilacciata nella lotta, non so se mi reggerà per qualche altro secondo.
"Metto più forza nel dondolio e passo molto più in alto di Nemes, descrivendo un arco di pendolo.
"Nemes si tira ginocchioni sulla cornice dove c’è Aenea e si alza a meno di un metro dalla mia amata.
"Dondolo in alto, la roccia mi raschia la spalla destra, penso per un nauseante secondo di non avere velocità e corda sufficienti, ma poi sento di farcela, per un pelo, solo per un pelo.
"Nemes si gira di scatto mentre le arrivo alle spalle. Apro le gambe in un abbraccio, le chiudo intorno a lei, incrocio le caviglie.
"Nemes urla e alza il braccio-falce. Il mio inguine e il mio ventre non hanno protezione.
"Senza pensarci, senza pensare alla corda che si consuma e al dolore in tutto il corpo, tengo stretto, mentre la gravità e lo slancio ci riportano indietro, lei pesa più di me, e per un altro terribile secondo penzolo attaccato a lei e lei non si muove, ma non ha ancora ritrovato l’equilibrio, barcolla sul margine, dondolo all’indietro e cerco di spostare il centro di gravità verso le spalle sanguinanti, e Nemes si stacca dalla cornice.
"Apro immediatamente le gambe e la lascio.
"Nemes ruota il braccio, manca di un millimetro il mio ventre, mentre dondolo indietro e in fuori, ma il movimento la manda a precipitare più avanti, più lontano dalla cornice e dalla parete rocciosa, nel buco dove poco prima c’era la piattaforma.
"Striscio contro la parete dello strapiombo, cerco di arrestare lo slancio. La corda si spezza.
"Rimango a braccia larghe contro la parete, comincio a scivolare. La destra è inutile. Con le dita della sinistra trovo uno stretto appiglio, lo perdo, scivolo più velocemente, col piede sinistro trovo una sporgenza di un centimetro. Sporgenza e attrito mi trattengono contro la parete rocciosa il tempo sufficiente a dare un’occhiata da sopra la spalla sinistra.
"Mentre precipita, Nemes si torce, tenta di cambiare traiettoria quanto basta a conficcare gli artigli o il braccio-falce nel margine della piattaforma più bassa, l’unica che le resta.
"La manca di quattro o cinque centimetri. Cento metri più in basso colpisce un affioramento roccioso e riceve una spinta verso l’esterno, sopra le nubi. Un nugolo di scalini, pali, travi e piloni di piattaforma precipita un chilometro sotto di lei.
"Nemes urla, un frammentato, acuto e penetrante urlo di pura rabbia e di frustrazione, e l’eco rimbalza di roccia in roccia intorno a me."
Non riesco più a tenere la presa. Ho perduto troppo sangue e ho troppi muscoli lacerati. Sento la roccia scivolare sotto il petto, la guancia, il palmo, il piede in tensione.
Guardo alla mia sinistra per dire addio a Aenea, anche solo con gli occhi.
Il suo braccio mi afferra quando già inizio a staccarmi. Mentre guardavo Nemes precipitare, Aenea è salita in free-climbing sopra di me.
Il cuore mi batte all’impazzata: ho il terrore che il mio peso stacchi tutt’e due dalla roccia. Mi sento scivolare, sento la forte mano di Aenea scivolare, sono coperto di sangue. Aenea non mi lascia.
«Raul» dice. La voce le trema, ma di emozione, non di stanchezza o paura.
Il suo piede nella sporgenza è l’unica cosa che ci tiene contro la parete, ma Aenea libera la sinistra, la porta in alto e aggancia la sua corda di sicurezza al mio penzolante moschettone ancora attaccato al chiodo.
Scivoliamo tutt’e due in fuori, ci graffiamo. Aenea mi abbraccia subito, mi stringe con le gambe. È una ripetizione del mio abbraccio a Nemes, ma stavolta alimentato dall’amore e dalla passione di vivere, non dall’odio e dall’impulso di distruggere.
Cadiamo per otto metri, il limite della sua corda di sicurezza. Penso che il mio peso aggiunto strapperà il chiodo o spezzerà la corda.
Per il contraccolpo rimbalziamo tre o quattro volte, restiamo sospesi nel vuoto. Il chiodo tiene. La corda tiene. La stretta di Aenea tiene.
«Raul» dice di nuovo Aenea. «Mio Dio, mio Dio.» Credo che mi dia buffetti sulla testa, ma in realtà cerca di rimettere a posto i brandelli di cuoio capelluto e di impedire che l’orecchio si stacchi del tutto.
«Va tutto bene» cerco di dire, ma scopro di avere le labbra gonfie e sanguinanti. Non posso pronunciare le parole che devo dire alla nave.
Aenea capisce. Si sporge su di me e parla nel microfono della dermotuta. "Nave… vieni a prenderci. Presto."
L’ombra scende, si muove come per schiacciarci. La loggia è di nuovo affollata di persone a occhi sgranati, mentre la nave si stabilizza a tre metri da noi, grigi strapiombi da una parte e dall’altra ora, ed estende una passerella. Mani amiche ci traggono in salvo.
Aenea non smette di tenermi stretto con braccia e gambe finché non ci portano nella nave, sul tappeto della biblioteca, lontano dall’abisso.
Sento confusamente la voce della nave: "Ci sono navi da guerra che corrono nel sistema verso di noi. Una si trova proprio sopra l’atmosfera, diecimila chilometri a ovest, e si avvicina…".