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«Forse più tardi» disse Aenea.

Gregorius annuì e le restituì la tazza. «Il comandante in seconda era prigioniero sulla nostra nave» disse. «Una spia. Un nemico del capitano. Tuttavia il padre capitano ha rischiato la vita per tirarlo fuori della cella, si è ustionato per salvarlo. Non credo che Hoag capisca che cosa è accaduto.»

Allora Liebler alzò gli occhi. «Lo capisco» disse a voce bassa. «Solo, non lo capisco.»

Aenea si alzò. «Raul, mi auguro che tu abbia ancora il trasmettitore.»

Mi frugai nelle tasche e lo trovai subito. «Vado fuori e comunico a vista» dissi. «Userò lo spinotto della dermotuta. Ordini per la nave?»

«Fare presto» disse Aenea.

Non fu facile portare nella nave il padre capitano de Soya, quasi privo di conoscenza, e Carel Shan, svenuto. I due non avevano la tuta spaziale e all’esterno c’era in pratica il vuoto. Il sergente Gregorius ci disse di avere usato un pallone di trasferimento gonfiabile per trascinarli dal relitto della scialuppa al Tempio dell’Imperatore di Giada, ma il pallone era rimasto danneggiato. Avevo circa quindici minuti per riflettere sul problema. Quando comparve la nave, che scendeva sui repulsori EM e sulla coda di azzurre fiamme di fusione, le ordinai di atterrare proprio davanti alla camera stagna del tempio, di morfizzare la rampa elevatrice fino al portello stagno e di estendere il campo di contenimento intorno al portello e alla scala. Poi fu solo questione di prendere dal reparto infermeria le barelle a levitazione e disporvi i due uomini senza far loro troppo male. Shan rimase privo di conoscenza, ma la pelle di de Soya si squamava, mentre lo spostavano sulla barella. Il prete capitano si agitò e aprì gli occhi, ma non emise lamento.

Dopo mesi trascorsi su T’ien Shan, trovavo ancora familiare l’interno della nave del console, ma familiare come un sogno ricorrente che si ha di una casa dove si è vissuti molto tempo prima. Dopo avere messo nel robochirurgo de Soya e l’ufficiale dei sistemi di fuoco, provai uno strano effetto a stare sul tappeto del ponte del pozzetto olografico, con l’antico pianoforte Steinway, in compagnia di Aenea e di A. Bettik come sempre, ma anche di un gigante ustionato che reggeva ancora il fucile d’assalto e dell’ex ufficiale in seconda che rimuginava in silenzio sui gradini del pozzetto.

"Diagnosi completate nel robochirurgo" disse la nave. "Al momento la presenza dei noduli del parassita a forma di croce rende impossibile la cura. Devo concludere la cura o iniziare la crio-fuga?"

«Crio-fuga» disse Aenea. «Fra ventiquattr’ore il medibox dovrebbe essere in grado di intervenire su di loro. Per favore, tienili in vita e in stasi fino a quel momento.»

"Signorsì" disse la nave. E poi: "Signorina Aenea? Signor Endymion?".

«Sì» dissi io.

"Devo informarvi che, da quando ho lasciato la terza luna, sono stata individuata e seguita da sensori a lungo raggio. Mentre parliamo, almeno trentasette navi da guerra della Pax si dirigono da questa parte. Una è già in orbita di parcheggio intorno a questo pianeta; un’altra ha appena intrapreso l’insolita manovra di balzare in propulsione Hawking dentro il pozzo gravitazionale del sistema."

«Va bene» disse Aenea. «Non preoccuparti.»

"Ritengo che abbiano intenzione di intercettarci e di distruggerci" disse la nave. "E possono farlo, prima che lasciamo l’atmosfera."

«Lo sappiamo» sospirò Aenea. «Te lo ripeto, non preoccuparti.»

"Senz’altro" disse la nave, nel tono più efficiente che le avessi mai sentito usare. "Destinazione?"

«La fenditura bonsai a sei chilometri a est del Hsuan-k’ung Ssu» disse Aenea. «Del Tempio a mezz’aria. Svelta.» Guardò il cronometro da polso. «Però tieniti bassa, Nave. Nello strato di nubi.»

"Le nubi di fosgene o le nubi di particelle d’acqua?" volle sapere la nave.

«Più bassa possibile» disse Aenea. «A meno che le nubi di fosgene non ti danneggino.»

"Oh, no, certo" disse la nave. "Vuole che tracci una rotta che ci porti attraverso i mari di acido? Non farebbe differenza, per i radar di profondità della Pax, ma richiederebbe solo una piccola aggiunta di tempo e…"

«No» la interruppe Aenea. «Solo le nubi.»

Guardammo nella sfera del pozzetto olografico la nave che si lanciava giù dal baratro dei Suicidi e si tuffava per dieci chilometri nelle nubi grigie e poi nelle nubi verdi. Saremmo giunti alla fenditura nel giro di qualche minuto.

Eravamo tutti seduti sui gradini del pozzetto. Mi ricordai del tubo sigillato che de Soya aveva voluto darmi. Lo rigirai tra le mani.

«Su, lo apra» disse il sergente Gregorius. Si toglieva a poco a poco gli strati esterni dell’armatura da combattimento piena di squarci. Bruciature di lancia a energia avevano fuso gli strati inferiori. Pensai con sgomento alle condizioni del petto e del braccio sinistro del sergente.

Esitai: avevo detto che avrei aspettato che il prete capitano si fosse ripreso.

«Su, lo apra» ripeté Gregorius. «Il capitano ha aspettato nove anni l’occasione per restituirglielo.»

Non riuscivo a immaginare quale potesse essere il contenuto del tubo. E poi, come mai quell’uomo sapeva che un giorno o l’altro mi avrebbe incontrato? E come poteva avere qualcosa di mio da restituire?

Ruppi il sigillo del tubo e guardai dentro. Una sorta di tessuto strettamente arrotolato. Cominciavo finalmente a capire. Estrassi l’oggetto e lo srotolai per terra.

Aenea rise, deliziata. «Oddio!» esclamò. «In tutti i miei sogni su questo periodo non l’avevo mai previsto. Fantastico!»

Era il tappeto Hawking, il tappeto volante che, quasi dieci anni fa, aveva portato Aenea e me lontano dalla valle delle Tombe del Tempo. L’avevo perduto a… Impiegai un paio di secondi per ricordare dove. L’avevo perduto su Mare Infinitum, nove anni prima, quando il tenente della Pax che avevo appena tirato in salvo sul tappeto si era avventato contro di me, aveva estratto un coltello, mi aveva ferito e spinto in mare. Poi cos’era accaduto? Gli stessi uomini dell’ufficiale della Pax, sulla piattaforma marina galleggiante, avevano ucciso il loro superiore, con un nugolo di fléchettes; il tenente era caduto nel mare violetto e il tappeto Hawking era volato via… no, qualcuno sulla piattaforma l’aveva intercettato.

«Com’è finito nelle mani del padre capitano?» domandai. Già nel fare la domanda intuii la risposta. A quel tempo de Soya era il nostro implacabile inseguitore.

Gregorius annuì. «Il padre capitano ha trovato nel tappeto campioni del suo sangue e del suo DNA. Così abbiamo ottenuto dai militari della Pax su Hyperion il suo stato di servizio. Se avessimo avuto delle tute pressurizzate, oggi avrei usato quel maledetto aggeggio per scendere da quella montagna priva d’aria.»

«Funziona ancora?» dissi, sorpreso. Toccai i fili di volo. Il tappeto Hawking, più sbrindellato di quanto non ricordassi, si librò a dieci centimetri dal pavimento. «Che il diavolo mi porti!» esclamai.

"Saliamo alla fenditura secondo le coordinate che mi avete dato" annunciò la nave.

La scena nel pozzetto olografico si schiarì e mostrò la cresta Jo-kung che scorreva velocemente sotto di noi. Rallentammo e restammo librati un centinaio di metri nel vuoto. Eravamo tornati alla stessa valle boscosa dove la nave mi aveva scaricato più di tre mesi fa. Ma ora la verde vallata era piena di gente. Vidi Theo, Lhomo, molti altri del Tempio a mezz’aria. La nave si abbassò, rimase librata, aspettò ordini.

«Cala la rampa» disse Aenea. «Lascia che salgano a bordo.»

"Posso ricordarle" disse la nave "che ho cuccette di crio-fuga e attrezzature di supporto vita per un massimo di sei persone, in caso di un lungo balzo interstellare? Vedo almeno cinquanta persone lì nella…"

«Cala la rampa e prendile a bordo» ordinò Aenea. «Immediatamente.»

La maggior parte di coloro che erano rimasti al Tempio a mezz’aria ora si trovavano nella fenditura: molti monaci del tempio, il Tromo Tachi di Dhomu, l’ex soldato Gyalo Thondup, Lhomo Dondrub (fummo lieti di vedere che il parapendio l’aveva riportato al sicuro e dai suoi sorrisi e abbracci il piacere era reciproco), l’abate Kempo Ngha Wang Tashi, Chim Din, Jigme Taring, Kuku e Kay, George e Jigme, Labsang fratello del Dalai Lama, i muratori Viki e Kim, il sovrintendente Tsipon Shakabpa, Rimsi Kyipup, meno tetro di quanto non l’avessi mai visto, i montatori Haruyuki e Kenshiro, nonché gli esperti di bambù Voytek e Janusz, perfino il sindaco di Jo-kung, Charles Chi-kyap Kempo. Ma non c’era il Dalai Lama. E non c’era neppure la Dorje Phamo.