Изменить стиль страницы

Cerco dalla finestra di vedere il cielo, ma nel chiarore delle lune c’è solo la parete rocciosa e l’ombra ideogramma che piano piano si aggrega per formare il nome di Buddha, le tre pennellate verticali come inchiostro su pergamena color ardesia, le tre pennellate orizzontali che girano intorno e si uniscono, formando tre bianche facce in spazi negativi, tre facce che mi fissano nel buio.

Ho promesso di proteggere Aenea. Giuro che morirò per mantenere la promessa.

Mi scuoto di dosso il gelo e la premonizione, esco sulla piattaforma, mi aggancio a un cavo e volo con un ronzio nel vuoto, per trenta metri, fino alla piattaforma sotto la terrazza superiore dove Aenea e io abbiamo le pagode da notte. Mentre salgo l’ultima scala a pioli fino al livello più alto, mi dico che forse ora riuscirò a dormire.

Non avevo annotato nel diskey-diario questo episodio. Lo ricordo ora, mentre ne scrivo.

La luce di Aenea era spenta. Ne fui contento, rimaneva alzata fino a tardi, lavorava troppo. Le alte impalcature di lavoro e i cavi dello strapiombo non erano il posto ideale per un architetto esausto.

Entrai nella mia baracca, chiusi la porta shoji, mi tolsi gli stivali. Tutto era come l’avevo lasciato: la parete paravento esterna socchiusa, il vivido chiarore delle lune sulla stuoia letto, il vento che scuoteva le pareti nella sua soffocata conversazione con le montagne. Nessuna delle mie due lanterne era accesa, ma avevo la luce delle lune e il chiaro ricordo della stanzetta nel buio. Il pavimento era nudo tatami, a parte il futon per dormire e una sola cassapanca accanto alla porta, che conteneva il sacco da montagna, qualche provvista alimentare, il boccale per la birra, i riciclo-respiratori presi dal magazzino della nave e l’attrezzatura da scalata: non c’era niente contro cui inciampare.

Appesi il giubbotto al gancio accanto alla porta, mi bagnai il viso con l’acqua nel catino sopra la cassapanca, mi tolsi camicia, calzini, calzoni e biancheria, infilai il tutto nella sacca dentro la cassapanca. L’indomani era giorno di bucato. Con un sospiro, sentendo che la premonizione di disastro avuta nel padiglione cominciava a dissolversi in semplice stanchezza, andai alla stuoia letto. Dormivo sempre nudo, tranne quando ero stato nella Guardia nazionale e durante il viaggio nella nave del console insieme con Aenea e A. Bettik.

Mi accorsi di un lievissimo movimento nel buio al di là della striscia illuminata; sorpreso, mi acquattai in posizione da combattimento. La nudità ci fa sentire più vulnerabili del normale. Poi mi dissi: "A. Bettik sarà tornato prima del previsto". Rilassai la destra chiusa a pugno.

«Raul?» Aenea si sporse nel chiarore delle lune. La parte inferiore del suo corpo era avvolta nella mia coperta, ma le spalle, i seni e l’addome erano nudi. L’Oracolo le illuminò di luce soffusa i capelli e gli zigomi.

Aprii bocca per parlare, cominciai a girarmi verso i vestiti o il giubbotto, decisi di non camminare nudo per la stanza, mi lasciai cadere ginocchioni sulla stuoia e tirai le lenzuola del futon per coprirmi. Non ero un santocchio, ma Aenea era Aenea. Che intenzioni…

«Raul» ripeté Aenea. Stavolta non aveva usato il tono interrogativo. Mi si avvicinò, muovendosi sulle ginocchia. La coperta ricadde.

«Aenea» dissi come uno sciocco. «Aenea, io… tu… io non… tu davvero non…»

Aenea mi mise il dito sulle labbra. Dopo un secondo lo tolse; ma prima che potessi parlare, si sporse più vicino e premette le labbra dove un attimo prima c’era il dito.

Ogni volta che mi era accaduto di toccare la mia giovane amica, avevo avvertito una scossa elettrica. L’ho già detto e mi sento sempre uno sciocco a parlarne, ma l’attribuivo alla sua… aura… una carica di personalità. Reale, non metaforica. Mai però avevo sentito, come in quell’istante, una simile scarica elettrica.

Per un secondo restai inerte, ricevetti il bacio anziché condividerlo. Poi il calore e l’insistenza del bacio sopraffecero il pensiero, il dubbio, tutti i miei sensi in ogni sfumatura della parola, e allora ricambiai il bacio, circondai con le braccia Aenea per tirarla più vicino mentre lei faceva scivolare le sue braccia sotto le mie e mi accarezzava la schiena. Più di cinque anni fa per lei, mi aveva salutato con un bacio su quel fiume della Vecchia Terra e quel bacio era stato irresistibile, elettrico, pieno di domande e di messaggi, ma pur sempre il bacio di una sedicenne. Questo bacio fu il tocco caldo, umido, aperto, di una donna e io risposi in un istante.

Ci baciammo per un tempo che parve eterno. Ero vagamente consapevole della mia nudità e della mia eccitazione come di qualcosa di cui avrei dovuto preoccuparmi, provare imbarazzo; ma era una cosa remota, secondaria, rispetto al calore e all’urgenza dei baci che non volevano fermarsi. Quando alla fine le nostre labbra si staccarono, gonfie, quasi tumefatte, desiderose di ricominciare, ci baciammo l’un l’altra le guance, le palpebre, la fronte, le orecchie. Chinai il viso a baciarle la cavità della gola, sentii contro le labbra le sue pulsazioni, aspirai il profumo della sua pelle.

Aenea venne avanti sulle ginocchia, inarcò lievemente la schiena fino a toccare con i seni la mia guancia. Presi nella mano a coppa un seno e baciai il capezzolo quasi con reverenza. Aenea mi tenne nel palmo la nuca. Sentivo su di me il suo alito, più svelto, mentre lei chinava il viso verso di me.

«Aspetta, aspetta» dissi, ritraendo il viso e scostandomi. «No, Aenea, tu sei… cioè… non credo che…»

«Sst» disse lei, sporgendosi di nuovo su di me, baciandomi di nuovo, tirandosi indietro in modo che i suoi occhi scuri parvero riempire il mondo. «Sst, Raul. Sì.» Mi baciò di nuovo, appoggiandosi a destra, cosicché tutti e due reclinammo sulla stuoia, sempre baciandoci, mentre la brezza scuoteva le pareti di carta di riso e l’intera piattaforma oscillava nella profondità del nostro bacio e nel movimento del nostro corpo.

È un problema. Raccontare, partecipare ad altri i momenti più privati e più sacri. Metterli in parole pare una profanazione. E non metterli, una bugia.

Vedere e toccare per la prima volta la propria amata nuda è una delle pure, irriducibili epifanie della vita. Se nell’universo c’è una vera religione, deve comprendere questa verità di contatto o essere per sempre vuota. Fare l’amore con la sola vera persona che merita quell’amore è una delle poche assolute ricompense dell’appartenenza alla specie umana, l’equilibrio di tutto ciò — sofferenza, perdita, impaccio, solitudine, idiozia, compromesso, goffaggine — che va a braccetto con l’umana condizione. Fare l’amore con la persona giusta rimedia un mucchio di errori.

Prima di allora non avevo mai fatto l’amore con la persona giusta. Lo capii subito, quando Aenea e io ci scambiammo il primo bacio e restammo distesi l’uno contro l’altra, ancora prima che cominciassimo a muoverci lentamente, poi rapidamente, poi lentamente di nuovo. Mi resi conto di non avere mai fatto davvero l’amore con nessuna finora: il sesso con donne disponibili, da giovane soldato in licenza, oppure il sesso da barcaiolo a barcaiola che ne hanno l’occasione e allora perché no?, il sesso che pensavo di avere esplorato scoprendo tutto ciò sull’argomento non era neppure l’inizio.

Questo era l’inizio. Ricordo Aenea alzarsi a un certo punto su di me, mano premuta con forza sul mio petto, il suo petto lucido di sudore, ma sempre guardandomi, guardandomi con tale intensità e calore che era come se fossimo intimamente congiunti dallo sguardo così come dalle cosce e dai genitali; e avrei ricordato quell’istante ogni volta che avremmo fatto l’amore in futuro, come parevo ricordare in anticipo tutte le volte future anche in quei primi momenti d’intimità.

Distesi insieme nel chiaro di luna, lenzuola e coperte e futon attorcigliati e sparsi intorno a noi, il vento freddo del nord che ci asciugava il corpo sudato, la guancia di lei sul mio petto, la mia coscia di traverso sul fianco di lei, continuammo a toccarci: le sue dita giocavano con i peli del mio torace, le mie dita seguivano la linea della sua guancia, la pianta del mio piede accarezzava avanti e indietro la parte posteriore della gamba di lei, si incurvava intorno ai forti muscoli del suo polpaccio.