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Non domanda la loro opinione. Non discute se farà traslare la nave Arcangelo nello spazio di Vettore Rinascimento (la rotta è già stata stabilita e la nave aumenta velocità verso il balzo quantico) né chiede loro se sono pronti a morire di nuovo. Questo balzo sarà fatale come il precedente, è logico, ma li porterà nello spazio occupato dalla Pax, con un anticipo di cinque mesi rispetto alla nave della bambina. Nella mente di de Soya c’è una sola incertezza: aspettare o no che la Sant’Antonio emerga nello spazio di Parvati e spiegare al capitano la situazione.

De Soya decide di non aspettare. La decisione ha poco senso, qualche ora sprecata a fronte di un anticipo di cinque mesi, ma lui non ha la pazienza d’aspettare. Ordina alla Raffaele di preparare una boa radarfaro e registra gli ordini per il capitano Sati della Sant’Antonio: immediata traslazione a Vettore Rinascimento (viaggio di dieci giorni per la nave torcia, gli stessi cinque mesi di debito temporale della bambina) e stato d’allerta all’emersione nello spazio di Vettore Rinascimento.

Lanciata la boa e trasmessi ordini alla guarnigione su Parvati, de Soya gira la cuccetta in modo da avere di fronte i suoi tre uomini. — So che siete rimasti molto delusi — comincia.

Il sergente Gregorius non apre bocca e rimane impassibile come pietra, ma il Padre Capitano de Soya sa leggere il messaggio dietro quel silenzio: Altri trenta secondi e l’avrei catturata.

De Soya non vi fa caso. Ha comandato uomini e donne per più di dieci anni (ha mandato incontro alla morte sottoposti più coraggiosi e più leali di costui, senza farsi sopraffare dal rimorso né dal bisogno di dare spiegazioni) perciò ora non batte ciglio davanti al gigantesco soldato. — Sono convinto che la bambina avrebbe messo in atto la minaccia — dice, lasciando capire che le sue parole non sono aperte a discussione, né ora né più tardi — ma questo è ora un punto dubbio. Sappiamo dov’è diretta. Nell’unico sistema nel settore della Pax dove nessuno, neppure uno Sciame Ouster, potrebbe entrare o uscire senza essere bloccato. Abbiamo cinque mesi per prepararci all’arrivo della nave e stavolta non opereremo da soli. — Prende fiato. — Voi tre avete lavorato duramente e il fallimento nel sistema di Parvati non è vostro. Farò in modo che vi rimandino al reparto d’appartenenza, subito dopo l’arrivo nello spazio di Vettore Rinascimento.

Gregorius può fare a meno di guardare gli altri due per rispondere anche per loro. — Con tutto il rispetto per il Padre Capitano, se ci fosse consentito dire la nostra, signore, preferiremmo stare con lei e la Raffaele, finché la bambina non sarà al sicuro nella rete e in viaggio per Pacem, signore.

De Soya cerca di non mostrare la propria sorpresa. — Hmmm… be’, staremo a vedere, sergente. Vettore Rinascimento è Quartier Generale della Flotta per la marina e lì ci sarà un mucchio di pezzi grossi. Staremo a vedere. Intanto blocchiamo tutto… Traslazione fra venticinque minuti.

— Signore?

— Sì, caporale Kee?

— Accetterà la confessione, prima che moriamo questa volta?

De Soya si sforza nuovamente di mantenere un’espressione neutra. — Sì, caporale. Terminerò qui il controllo e fra dieci minuti sarò nel quadrato ufficiali per la confessione.

— Grazie, signore — dice con un sorriso Kee.

— Grazie — dice Rettig.

— Grazie, Padre — brontola Gregorius.

De Soya guarda i tre affaccendarsi per predisporre ogni cosa e intanto liberarsi della massiccia armatura da guerra. In quell’attimo coglie una fugace visione del futuro e ne sente sulle spalle il peso. "Signore" pensa "dammi la forza di portare a termine la Tua volontà… Lo chiedo nel nome di Cristo. Amen."

Fa girare di nuovo la pesante cuccetta in modo da avere davanti a sé i pannelli di comando e inizia gli ultimi controlli prima della traslazione e della morte.

25

Una volta, su Hyperion, mentre guidavo tra le paludi alcuni cacciatori, domandai a uno di loro, un pilota d’aeronave che comandava il dirigibile settimanale sulla rotta delle Nove Code da Equus ad Aquila, com’era il suo lavoro. «Pilotare un’aeronave?» aveva risposto lui. «Come la vecchia battuta: lunghe ore di noia interrotte da minuti di puro panico.»

Il nostro viaggio era un po’ sullo stesso piano. Non voglio dire che ne fossi stufo… solo, l’interno della nave spaziale, con i suoi libri e i vecchi olofilm e il pianoforte a coda, era abbastanza interessante per fugare la noia nei primi dieci giorni, oltre a permettermi di conoscere meglio i miei compagni di viaggio… ma avevamo già sperimentato quei lunghi, lenti, piacevoli periodi d’ozio intervallati da interludi con violenti fiotti d’adrenalina.

Ammetto che era stato sconvolgente, nel sistema di Parvati, restare fuori campo della telecamera e guardare la bambina mentre minacciava di uccidere se stessa, e noi!, se la nave della Pax non si fosse ritirata. Nell’isola Felix, una delle Nove Code, avevo fatto per dieci mesi il croupier al tavolo di blackjack e avevo osservato un mucchio di giocatori d’azzardo: questa bambina di dodici anni era un diavolo di giocatore di poker. In seguito, quando le domandai se avrebbe messo in atto la minaccia e aperto l’ultimo livello pressurizzato, Aenea si limitò a rivolgermi quel suo sorriso malizioso e a fare con la destra un gesto vago, come per spazzare via il pensiero. Nei mesi e anni seguenti mi abituai a quel gesto.

— Ma come facevi a conoscere il nome del capitano della Pax? — domandai.

M’aspettavo chissà quale rivelazione sui poteri di un protomessia, ma Aenea si limitò a dire: — Aspettava davanti alla Sfinge, quando ne uscii, una settimana fa. Avrò sentito qualcuno fare il suo nome.

Ne dubitavo. Se il Padre Capitano fosse stato davanti alla Sfinge, per la procedura standard dell’esercito della Pax sarebbe stato ben chiuso nell’armatura da combattimento e avrebbe comunicato solo su canali sicuri. Ma quale motivo aveva, la bambina, di mentire?

"Perché cerco logica e razionalità in questa storia?" mi domandai in quel momento. "Finora non se n’è vista neanche l’ombra."

Quando Aenea era scesa nel ponte inferiore per fare la doccia dopo la nostra sensazionale partenza dal sistema di Parvati, la nave aveva cercato di rassicurare A. Bettik e me: «Niente paura, signori. Non vi avrei lasciati morire per la decompressione».

L’androide e io ci eravamo scambiati un’occhiata. Penso che tutt’e due ci chiedessimo in quel momento se la nave sapeva che cosa avrebbe fatto o se la bambina avesse qualche controllo speciale su di essa.

Mentre trascorrevano i giorni della seconda tappa del viaggio, mi ritrovai a rimuginare sulla situazione e sul modo in cui reagivo. Il guaio principale, mi resi conto, era stato il mio comportamento passivo, quasi non pertinente, per l’intero viaggio. Avevo ventisette anni, ero un ex soldato, uomo di mondo (anche se il mondo era solo il periferico Hyperion) e avevo lasciato che la bambina se la vedesse con l’unica vera emergenza che ci eravamo trovati ad affrontare. Capivo perché A. Bettik fosse rimasto così passivo in quella situazione; l’androide era, in fin dei conti, condizionato dalla bioprogrammazione e dalla plurisecolare abitudine a rimettersi alle decisioni degli uomini. Ma perché io ero stato un tale pezzo di legno? Martin Sileno mi aveva salvato la vita e mi aveva mandato in quella pazzesca missione per proteggere la bambina, per mantenerla in vita e per aiutarla ad andare dove volesse. Fino a quel momento non avevo fatto altro che pilotare un tappeto volante e starmene nascosto dietro un pianoforte, mentre la bambina se la vedeva con una nave da guerra della Pax.

In quei primi giorni fuori del sistema di Parvati, tutt’e quattro, nave inclusa, discutemmo della nave da guerra della Pax. Se Aenea aveva ragione, se il Padre Capitano de Soya si trovava su Hyperion all’apertura della Sfinge, allora la Pax aveva trovato il modo di prendere scorciatoie nello spazio Hawking. Le implicazioni di questo ragionamento erano tali da far rinsavire; peggio, anzi: mi spaventarono a morte.