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Lo Shrike non scomparve nella solita maniera, non smise di colpo di essere per comparire qui. Invece, si acquattò e allargò maggiormente le braccia. Le lame delle dita colsero la luce violenta del cielo. I denti di metallo brillarono in quello che forse era un sorriso.

Kassad era furioso, ma non pazzo. Anziché lanciarsi in quell'abbraccio di morte, all'ultimo istante si gettò di lato, rotolò sul braccio e sulla spalla, vibrò un calcio alla parte inferiore della gamba del mostro, tra il grappolo di spine all'articolazione del ginocchio e l'analogo spiegamento di lame alla caviglia. Se fosse riuscito a farlo cadere…

Fu come prendere a calci un tubo incassato in mezzo chilometro di calcestruzzo. Il colpo avrebbe rotto la gamba stessa di Kassad, se la dermotuta non avesse agito da corazza e ammortizzatore.

Lo Shrike si mosse, rapidamente ma non a velocità istantanea; vibrò, come in un lampo confuso, le due braccia di destra, in un movimento circolare dall'alto in basso: dieci dita a forma di lama segnarono con tagli chirurgici terreno e roccia, le spine delle braccia mandarono scintille e le mani continuarono a spostarsi verso l'alto affettando l'aria con un fruscio percettibile. Kassad era fuori portata; continuò a rotolare, si rialzò, si acquattò, tese le braccia, a mani piatte, dita dritte e rigide sotto le pelle di energia.

"Singoiar tenzone" pensò Fedmahn Kassad. "Il sacramento più onorevole del codice Neo-Bushido."

Lo Shrike fintò di nuovo con le braccia di destra, vibrò il braccio inferiore sinistro in un fendente circolare dal basso in alto, abbastanza violento da fracassare le costole di Kassad e strappargli il cuore.

Con l'avambraccio sinistro Kassad parò la finta e sentì la dermotuta flettersi contro l'osso, quando il violento colpo dello Shrike arrivò a segno. Con la mano sinistra afferrò il polso del mostro proprio sopra la corona di punte ricurve e parò il micidiale colpo del braccio sinistro, rallentandone il movimento quanto bastava perché le dita simili a bisturi grattassero contro il campo della dermotuta, anziché squarciare le costole.

Kassad fu quasi sollevato da terra, nello sforzo di contrastare l'artiglio che si alzava; solo la spinta verso il basso della prima finta dello Shrike gli impedì di volare all'indietro. Il sudore scorse liberamente sotto la dermotuta, i muscoli si tesero e protestarono di dolore e minacciarono di strapparsi, in quegli interminabili venti secondi di lotta, prima che lo Shrike mettesse in gioco il quarto braccio, con un fendente alla gamba sotto sforzo.

Kassad urlò, quando il campo della dermotuta cedette e almeno una lama lacerò la carne arrivando quasi all'osso. Il colonnello scalciò con l'altra gamba, lasciò la presa sul polso del mostro e rotolò via freneticamente.

Lo Shrike vibrò due colpi, il secondo dei quali sibilò a un millimetro dall'orecchio di Kassad; poi balzò indietro, si acquattò, si spostò verso destra.

Kassad si alzò sul ginocchio sinistro, quasi cadde, barcollando e zoppicando un poco per reggersi in equilibrio. Il dolore gli ruggì nelle orecchie e riempì l'universo di luce rossa; ma Kassad, pur vacillando, sul punto di svenire per lo choc, sentì la tuta richiudersi sulla ferita, agire da laccio emostatico e da tampone. Il sangue nella parte inferiore della gamba non sgorgò più liberamente e il dolore era sopportabile, come se la dermotula avesse in sé iniettori medipac identici a quelli della tuta blindata della FORCE.

Lo Shrike si precipitò contro di lui.

Kassad scalciò una volta, due, mirando e colpendo il levigato pezzo di carapace sotto la punta pettorale. Fu come prendere a calci lo scafo di una nave torcia; ma lo Shrike parve esitare, barcollare, arretrare.

Kassad avanzò di un passo, bilanciò il peso, colpì due volte il punto in cui si sarebbe dovuto trovare il cuore del mostro, con un pugno che avrebbe fatto a pezzi la ceramica temperata; non badò al dolore, girò su se stesso, piantò allo Shrike un colpo a mano aperta in pieno muso, appena sopra i denti. Un essere umano avrebbe udito il rumore del proprio naso che si rompeva, avrebbe sentito l'esplosione di ossa e di cartilagini, i frammenti conficcati nel cervello.

Lo Shrike scattò per afferrare il polso di Kassad, mancò la presa, vibrò quattro mani contro la testa e le spalle dell'avversario.

Ansimando, ruscellando sudore e sangue sotto la corazza argento vivo, Kassad ruotò a destra una volta, due, e vibrò un colpo micidiale contro la nuca dell'avversario. Il rumore dell'impatto echeggiò nella valle impietrita come quello di una scure lanciata da miglia di altezza nel cuore di una sequoia di metallo.

Lo Shrike cadde in avanti, rotolò sulla schiena come un crostaceo di acciaio.

"L'ho abbattuto!" pensò Kassad.

Avanzò ancora, sempre acquattato, sempre prudente, ma non abbastanza, perché il piede corazzato, o la zampa, o quel che diavolo era, gli agganciò la caviglia; con una via di mezzo fra un calcio e un fendente lo mandò gambe all'aria.

Il colonnello Kassad sentì il dolore, capì che il mostro gli aveva reciso il tendine di Achille, cercò di rotolare via; ma lo Shrike già si gettava in alto e di lato contro di lui, punte e lame e spine che arrivavano contro le costole, il viso e gli occhi di Kassad. Con una smorfia di dolore, inarcandosi nel vano tentativo di schivare il mostro, Kassad bloccò alcuni colpi, si salvò gli occhi, sentì altre lame andare a segno negli avambracci, nel torace, nel ventre.

Lo Shrike si abbassò e spalancò la bocca. Kassad fissò file su file di denti di acciaio in un'orifizio simile alla bocca di una lampreda. Occhi rossi gli riempirono la vista già tinta di sangue.

Kassad piantò la base del palmo contro la mascella dello Shrike e cercò di fare leva. Era come sollevare una montagna di sterco metallico senza avere un punto di appoggio. Le dita affilate dello Shrike continuarono a lacerare la carne di Kassad. Il mostro spalancò la bocca e inclinò la testa finché i denti non riempirono da orecchio a orecchio il campo visivo di Kassad. Non aveva alito, ma il calore proveniente dall'interno puzzava di zolfo e di limatura di ferro surriscaldata. A Kassad non rimaneva difesa: quando il mostro avesse chiuso di scatto le fauci, avrebbe scarnificato fino all'osso la faccia di Kassad.

All'improvviso Moneta intervenne, gridando, in quel luogo in cui il suono non si propagava; piegando come artigli le dita rivestite di dermotuta, afferrò gli occhi sfaccettati come rubini, piantò con forza i piedi contro il carapace, sotto la punta nera, e tirò, tirò.

Le braccia dello Shrike si mossero di scatto all'indietro, mettendo in mostra la doppia giuntura simile a quella di un granchio da incubo; le dita graffiarono Moneta, che cadde via, ma non prima che Kassad rotolasse lontano, strisciasse carponi, sentisse il dolore senza però badarvi, e balzasse in piedi, trascinando con sé la donna, mentre si ritirava sulla sabbia e la roccia congelata.

Per un secondo, le due tute pellicolari si fusero com'era accaduto quando avevano fatto l'amore; Kassad sentì la pelle di Moneta contro la propria, sentì sangue e sudore di tutti e due mescolarsi, percepì il battito congiunto del loro cuore.

"Uccidilo!" bisbigliò Moneta, in tono pressante, lasciando intuire la sofferenza anche attraverso quel mezzo subvocale.

"Ci provo. Ci provo."

Lo Shrike era in piedi, tre metri di cromo e di lame e di sofferenza di altra gente. Non mostrava danni. Il sangue di qualcuno scorreva in piccoli rivoli lungo i polsi e il carapace. Lo sciocco sorriso pareva più ampio di prima.

Kassad separò la propria tuta da quella di Moneta, depose con gentilezza la donna sopra un sasso, pur intuendo che era stata ferita più gravemente di lui. Quella non era la battaglia di Moneta. Non ancora.

Si frappose fra l'amata e lo Shrike.

Esitò, nell'udire un debole ma crescente mormorio che ricordava la risacca contro una spiaggia invisibile. Lanciò un'occhiata in alto, senza mai perdere di vista lo Shrike che avanzava lentamente, e capì che si trattava del coro di grida proveniente dall'albero di spine, molto lontano alle spalle del mostro. Le persone crocifisse, piccole macchie di colore penzolanti dalle spine metalliche e dai gelidi rami, gridavano qualcosa, oltre ai subliminali gemiti di dolore che Kassad aveva udito in precedenza. Era un coro di incitamento.