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Il colonnello Kassad premette il grilletto.

Moneta batté le palpebre. — Qui non funziona. Non dentro il Monolito di Cristallo. Perché vuoi uccidermi?

Kassad emise un ringhio, gettò sulla rampa l'arma inutile, diede energia ai guanti e si lanciò alla carica.

Moneta non si mosse per sfuggirgli. Lo guardò venire alla carica a testa bassa, con la tuta blindata che gemeva cambiando l'allineamento cristallino del polimero: Kassad urlava. Lei abbassò le braccia per affrontare la carica.

La velocità e la massa di Kassad travolsero Moneta e mandarono tutt'e due a rotolare per terra: Kassad cercava di stringere le mani guantate intorno alla gola della donna, Moneta gli stringeva i polsi come in una morsa, mentre rotolavano per la rampa fino all'orlo della piattaforma. Kassad rotolò sopra di lei, cercò di sfruttare la gravità per dare forza al proprio attacco, a braccia tese, guanti rigidi, dita curvate in una cuspide assassina. La gamba sinistra penzolò nell'abisso di sessanta metri sopra il pavimento buio.

— Perché vuoi uccidermi? — mormorò Moneta e lo spinse di fianco; rotolarono insieme giù dalla piattaforma.

Kassad urlò, con uno scatto della testa abbassò il visore. Caddero nel vuoto, con le gambe intrecciate in una feroce stretta a forbice, le mani di Kassad tenute a bada dalla presa micidiale di lei sui polsi. Il tempo parve decelerare: caddero con movimento lento e l'aria si muoveva intorno a Kassad come una coperta lentamente tirata sul viso. Poi il tempo accelerò, divenne normale; caddero per gli ultimi dieci metri. Kassad gridò e visualizzò il simbolo adatto perché la tuta blindata diventasse rigida. Seguì uno schianto terribile.

Da una distanza rosso sangue Fedmahn Kassad lottò per riemergere alla consapevolezza: sapeva che solo uno, due secondi erano trascorsi dal momento in cui avevano colpito terra. Si alzò barcollando. Anche Moneta si rialzava lentamente: piegata sul ginocchio, fissava il punto dove il pavimento di ceramica era andato in frantumi per la loro caduta.

Kassad diede energia ai servomeccanismi nella gamba della tuta e con tutta la forza vibrò un calcio contro la testa della donna.

Moneta schivò il colpo, gli afferrò la gamba, la torse, mandò Kassad a sbattere contro il riquadro di cristallo di tre metri, che si schiantò facendolo rotolare fuori nella sabbia e nella notte. Moneta si toccò il collo: il viso rifluì d'argento vivo. La donna uscì dietro di lui.

Kassad alzò il visore fracassato, si tolse il casco. Il vento gli arruffò i capelli neri e corti e la sabbia gli grattò le guance. Kassad si mise sulle ginocchia, poi in piedi. Spie luminose, nel display al collo della tuta, pulsavano di luce rossa annunciando l'esaurimento dell'ultima riserva d'energia. Kassad non badò ai segnali d'allarme; l'energia sarebbe bastata per i prossimi secondi, nient'altro contava.

— Qualsiasi cosa sia accaduta nel mio futuro… nel tuo passato — disse Moneta — non fui io, a cambiare. Non sono il Signore della Sofferenza. Lui…

Con un balzo Kassad superò i tre metri che lo separavano da Moneta, atterrò dietro di lei e vibrò il micidiale guanto della destra in un arco che infranse la barriera del suono, con il taglio della mano rigido e affilato quanto potevano renderlo i filamenti piezoelettrici carbonio-carbonio.

Moneta non schivò il colpo, non tentò di bloccare l'attacco. Il guanto di Kassad la colse alla base del collo, con forza tale da tagliare di netto un albero, da spaccare in due mezzo metro di roccia. Su Bressia, in combattimento corpo a corpo nella capitale Buckminster, Kassad aveva ucciso un colonnello Ouster, con tanta rapidità — il guanto aveva attraversato senza il minimo sforzo tuta blindata, casco, campo di forza personale, carne e ossa — che per venti secondi la testa dell'uomo aveva battuto le palpebre guardando il proprio corpo, prima che la morte lo reclamasse.

Il colpo di Kassad andò a segno, ma si bloccò contro la superficie della dermotuta argento vivo. Moneta non barcollò, non reagì. Kassad sentì venire meno l'energia della tuta; nello stesso istante il braccio s'intorpidì, i muscoli della spalla si torsero di dolore. Kassad barcollò all'indietro, col braccio destro penzoloni lungo il fianco, mentre l'energia della tuta fluiva via come sangue da una ferita.

— Tu non mi ascolti — disse Moneta. Venne avanti, lo afferrò per la tuta e lo scagliò venti metri più in là, verso la Tomba di Giada.

Kassad atterrò duramente; la tuta blindata s'irrigidì, ma assorbì solo in parte la violenza dell'urto, a causa dell'esaurimento delle riserve d'energia. Il braccio sinistro protesse faccia e collo, ma poi la tuta si bloccò e il braccio si piegò, inutile, sotto il corpo.

Moneta superò con un balzo i venti metri, si acquattò accanto a lui, con una mano lo sollevò in aria, con l'altra gli afferrò la tuta blindata e la strappò sul davanti, lacerando duecento strati di microfilamenti e di polimeri di stoffa omega. Lo schiaffeggiò gentilmente, quasi svogliatamente. La testa di Kassad sbatté da una parte all'altra e lui quasi perdette conoscenza. Vento e sabbia colpirono la carne nuda del petto e del ventre.

Moneta strappò i resti della tuta, staccò bio-sensori e impianti di feedback. Sollevò per gli avambracci Kassad, nudo, e lo scosse. Il colonnello sentì il sapore del sangue; puntini rossi gli turbinarono nel campo visivo.

— Non dobbiamo essere nemici — disse lei, piano.

— Mi… hai… sparato.

— Per mettere alla prova le tue reazioni, non per ucciderti. — La bocca si muoveva normalmente, sotto l'amnio d'argento vivo. Moneta gli diede un altro schiaffo: Kassad volò due metri in aria, atterrò sopra una duna, rotolò lungo il pendio nella sabbia fredda. L'aria era piena di milioni di puntini luminosi… sabbia, neve, girandole di colori. Kassad rotolò su se stesso, si mise faticosamente in ginocchio, afferrò la mobile duna sabbiosa, con dita mutate in artigli inerti.

— Kassad — bisbigliò Moneta.

Lui rotolò sulla schiena, in attesa.

Moneta aveva disattivato la dermotuta. La sua carne pareva calda e vulnerabile, la pelle era così pallida da sembrare quasi trasparente. Delicate vene azzurrine le segnavano l'apice dei seni perfetti. Le gambe sembravano forti, scolpite con cura, le cosce leggermente dischiuse nel punto dove si congiungevano al corpo. Gli occhi erano verde scuro.

— Tu ami la guerra, Kassad — mormorò Moneta, calandosi su di lui.

Kassad lottò, cercò di scostarsi, alzò le braccia per colpirla. Con una mano Moneta gliele imprigionò sopra la testa. Irradiava calore da tutto il corpo, quando con i seni gli si strofinò sul petto e si calò fra le gambe dischiuse. Il ventre lievemente curvo premette contro l'addome di lui.

Kassad capì allora che quello era uno stupro e poteva combatterlo col semplice sistema di non reagire, di rifiutarla. Non funzionò. L'aria pareva liquida intorno a loro; la tempesta di vento, una cosa lontanissima. La sabbia rimaneva sospesa a mezz'aria come una cortina di merletto tenuta alta da brezze costanti.

Moneta si strusciò contro di lui. Kassad sentì il lento rimescolio dell'eccitazione. Lo combatté, combatté contro di lei, si dimenò e scalciò e lottò per liberarsi le mani. Moneta era troppo forte. Usò il ginocchio destro per dischiudergli le gambe. I capezzoli strusciarono sul petto di lui, simili a ciottoli caldi; il calore del ventre e dell'inguine spinse la carne di Kassad a reagire come un fiore che si giri verso la luce.

— No! — urlò Fedmahn Kassad, ma fu zittito dalla bocca di Moneta sulla sua. Con la sinistra lei continuò a tenergli imprigionate le braccia, con la destra si mosse fra i corpi a contatto, lo trovò, lo guidò.

Kassad le morsicò le labbra, mentre il calore lo avviluppava. I tentativi di ribellarsi lo portarono più vicino, lo spinsero più profondamente dentro di lei. Cercò di rilassarsi e Moneta si abbassò su di lui fino a premergli la schiena sulla sabbia. Kassad ricordò le altre volte in cui avevano fatto l'amore, trovando serenità ciascuno nel calore dell'altro, mentre la guerra infuriava al di là del cerchio della loro passione.