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Alla fine lo congelarono, ma non prima che lui avesse colpito un terzo almeno di loro. Il suo pollice sinistro annullò l’effetto sfiorando un pulsante del radiogancio, poi usò l’apparecchio per scongelare gli altri soldati. — Ora — disse, — dov’è la porta nemica?

— Giù!

— E qual è la vostra posizione di attacco?

Qualcuno fece per rispondergli a parole, ma Bean reagì spingendosi via dalla parete con le gambe ripiegate sotto di sé, dritto verso il lato opposto della sala e sparando con l’arma fra le ginocchia per tutta la strada.

Per un attimo Ender fu tentato di gridargli un rimprovero, di punirlo, poi scacciò quell’impulso abbastanza meschino. Perché dovrei essere così ingiusto con un bambino? - Bean è il solo che ha capito quello che dico? — sbottò.

Immediatamente l’intera orda balzò in direzione della parete di fondo, tutti inginocchiati nell’aria, sparando all’impazzata fra le gambe e gridando con feroce entusiasmo. Potrà venire il giorno, pensò Ender, che mi sarà utile proprio una tattica di questo genere: quaranta ragazzi che urlano a squarciagola nel più disordinato degli assalti.

Quando li vide fermi sull’altro lato gridò loro di attaccarlo, tutti insieme. , rifletté, non c’è male. Mi hanno dato un’orda non addestrata, senza veterani di valore, ma almeno non è una torma di sciocchi. Potrò lavorare con loro.

Appena li ebbe rimessi in fila, ancora ridacchianti ed esilarati, cominciò a darsi da fare con impegno. Ordinò a tutti di congelarsi le gambe nella posizione che ormai conoscevano. — Ora sentiamo, a cosa vi servono le gambe in battaglia?

A niente, dissero alcuni.

— Bean non la pensa così, no? — suggerì Ender.

— Servono a rimbalzare meglio via dalle pareti. A spingersi.

— Giusto — disse Ender.

Gli altri ragazzi protestarono che spingersi via era movimento, non combattimento.

— Non c’è combattimento senza movimento — li corresse Ender. Loro tacquero, e detestarono Bean un po’ di più. — Adesso, con le gambe congelate in questo modo, sapreste spingervi via dalla parete?

Nessuno osò rispondere, per paura di sbagliare.

— Bean? — chiese Ender.

— Non ci ho mai provato, ma forse mettendosi fronte alla parete e piegandosi all’altezza della cintura…

— Giusto ma anche sbagliato. Guardate me. Ho la schiena al muro, le gambe congelate. Poiché sono in ginocchio ho i piedi contro la parete. Di solito, quando vi spingerete via dovrete spingervi in basso, lasciando il corpo dietro di voi, ovvero piegandovi all’indietro. Non in avanti, come ha detto Bean, altrimenti vi schiaccerestre il fagiolo. OK?

Tutti guardarono Bean e risero.

— Dunque la tecnica è questa: arrivare contro la parete a gambe ripiegate, ammortizzare l’urto con esse e rotolare con la schiena a contatto dell’ostacolo. Poi spingersi via usando le spalle. Guardate me.

Ender si staccò dalla parete con quel metodo, quindi assunse la posizione di attacco e a gambe avanti volò fino al lato opposto della sala. Atterrò sulle ginocchia, rotolò sulla schiena e con un colpo di reni balzò via in un’altra direzione, girando su se stesso come una trottola. — Sparatemi! — gridò. Il suo percorso era quasi parallelo alla fila dei ragazzi, che gli indirizzarono addosso gragnuole di colpi, ma poiché stava roteando nessuno poté tenere il raggio sul bersaglio per il minimo tempo necessario.

Lui riammorbidì la tuta e col radiogancio si portò di nuovo fra loro. — Adesso lavorerete una mezz’ora su questa tecnica. Metterà in funzione alcuni muscoli che non sapevate di avere. Imparate a usare costantemente le gambe come uno scudo, ed a controllare il rimbalzo per poter roteare. Contro i colpi a distanza ravvicinata girare su se stessi non serve a niente, ma quelli che vi arrivano addosso da lontano risulteranno innocui: a quella distanza il raggio deve star fermo sullo stesso punto per alcuni decimi di secondo, e se un corpo sta roteando questo non succede. Adesso ciascuno si congeli le gambe, e scattare via.

— Non ci assegni un percorso? — volle sapere un ragazzo.

— Nossignore. Voglio che sbattiate l’uno contro l’altro e impariate a cavarvela negli urti imprevisti. Salvo che quando manovreremo in formazione, perché allora dovrete sbattere su un compagno o spingervi via da lui per scopi ben precisi. E ora scattare, ho detto!

Quando diceva scattare, se non altro, l’orda scattava.

Ender fu l’ultimo a uscire al termine dell’orario, perché s’era attardato in fondo alla sala per aiutare un paio dei più lenti a capire certi movimenti. Per i veterani era stato un gioco, ma tutti i novellini avevano annaspato come pulcini nella stoppa quando s’era trattato di fare due o tre cose nello stesso tempo. Roteare con le gambe congelate era facile per chi non soffriva di vertigini, nessuno aveva difficoltà a stabilizzarsi in assetto di volo; ma lanciarsi in una direzione e sparare in un’altra, girare su se stessi, rimbalzare in una parete e uscirne sparando a un bersaglio, volando nella direzione voluta… questo era molto oltre le loro possibilità del momento. Esercizio fisico, rimbalzi e volo, questo era tutto ciò su cui Ender poteva farli sudare per i primi tempi. La strategia e le tattiche erano eccitanti, ma non se ne poteva neppure parlare finché l’orda non avesse imparato a muoversi in gravità zero.

A lui sarebbe servita un’orda pronta fin da quel momento. Come comandante era un novizio, inoltre gli insegnanti avevano cambiato non poche regole, non lo lasciavano fare scambi e gli avevano dato dei veterani che nessuno considerava delle cime. E nulla garantiva che gli avrebbero dato i soliti tre mesi di tempo per preparare l’orda, prima di metterla in cartellone per le battaglie con le altre.

Almeno, si disse, alla sera avrebbe avuto Alai e Shen per dargli una mano ad allenare i suoi nuovi ragazzi.

Era appena uscito dalla sala di battaglia quando, in corridoio, si trovò di fronte al piccolo Bean.

— Ehilà, Bean.

— Ehilà, Ender.

Una pausa.

— Signore - lo corresse lui dolcemente.

— Io lo so quello che stai facendo, Ender, signore, e voglio darti un avvertimento

— Un avvertimento a me?

— Io posso essere il miglior soldato che tu abbia, ma non fare giochetti con me.

— Altrimenti?

— Altrimenti sarò il peggiore. O l’uno o l’altro.

— E cos’è che vuoi, complimenti e bacetti? — Ender stava cominciando a irritarsi, adesso.

Bean lo fermò prendendolo per un gomito. — Voglio un branco.

Lui si volse di scatto e lo fissò negli occhi. — E cosa ti fa supporre che potresti mai averne uno in vita tua?

— Perché io so cosa deve fare un branco.

— Sapere cosa deve fare è una cosa — disse Ender, — farglielo fare è un’altra. Perché dei soldati dovrebbero seguire un poppante come te?

— Mi hanno detto che un tempo chiamavano te a questo modo. E ho sentito che Bonzo Madrid lo fa anche adesso.

— Ti ho fatto una domanda, soldato.

— Io mi guadagnerò il loro rispetto, se non mi fermerai.

Ender sogghignò. — Anzi, io ti sto aiutando.

— All’inferno! — disse Bean.

— Nessuno ti avrebbe notato, se non per compatire il povero bambinetto magrolino. E oggi ho fatto in modo che tutti ti notassero. D’ora in poi ti terranno sotto il loro microscopio. Tutto ciò che ti resta da fare per essere rispettato, adesso, è di essere perfetto.

— Così non avrò neppure una possibilità di imparare, prima d’essere giudicato.

— Povero piccino! Nessuno vuol essere buono con lui! — Ender lo prese per le spalle e lo tenne fermo contro il muro. — Te lo dirò io come puoi avere un branco. Provami che sai diventare un ottimo soldato. Provami che sai come tenere in pugno altri soldati. E poi provami che qualcuno vorrebbe affidarsi ai tuoi ordini in battaglia. Allora ti darò il tuo branco. Ma potresti sputar sangue per riuscirci, bada.

Bean sorrise. — Questo mi sta bene. Se tu lavori nel modo che hai detto, sarò capobranco entro un mese.