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Poiché sono "immortali" soltanto in un senso molto particolare — infatti nascono e muoiono — gli dèi del pantheon induista conoscono quasi tutti i grandi dilemmi umani e spesso sembrano distinguersi dai mortali soltanto per alcuni dettagli insignificanti… e ancora meno si differenziano dai demoni. Tuttavìa sono considerati dagli induisti una categoria di esseri per definizione completamente diversa da qualsiasi altra; la loro natura simbolica non è alla portata dei comuni mortali, per quanto "archetipica" possa essere la loro vita. Gli dèi sono attori che interpretano ruoli reali soltanto ai nostri occhi; sono le maschere dietro cui ciascuno intravede il proprio volto.

WENDY DONIGER O’FLAHERTY, Introduzione a Hindu Myths, Penguin Books, 1975

Da molte ore Shadow camminava verso sud, o perlomeno sperava che fosse il sud, lungo una stradina stretta e senza indicazioni che procedeva tra i boschi del Wisconsin meridionale, sempre secondo le sue supposizioni. A un certo punto dalla direzione opposta arrivarono due jeep con i fari accesi e lui si nascose tra gli alberi. La foschia del primo mattino restava sospesa da terra fino all’altezza dei suoi fianchi. Le jeep erano nere.

Quando mezz’ora più tardi sentì il rumore lontano di due elicotteri che venivano da occidente, Shadow abbandonò la pista e si gettò nella macchia. Si rannicchiò in un incavo nel terreno, sotto un albero caduto, e aspettò che gli elicotteri se ne andassero. Quando furono lontani diede una rapida occhiata al grigio cielo invernale e scoprì con una certa soddisfazione che anche gli elicotteri avevano un colore nero opaco. Aspettò tra gli alberi che tornasse il silenzio.

Nel sottobosco c’era uno strato sottile di neve ghiacciata che scricchiolava sotto i suoi passi. Shadow era molto contento di avere gli scaldini chimici, perché era certo che altrimenti gli si sarebbero congelate le estremità. A parte questo senso di gratitudine nei confronti degli scaldini, era come inebetito: il cuore sordo, il cervello intorpidito, l’anima insensibile. Era uno stordimento che risaliva a molto lontano, che arrivava molto in profondità.

Ma che cosa vorrei, veramente? si chiese. E siccome non riusciva a trovare una risposta continuava a camminare, passo dopo passo, sempre diritto. Gli alberi avevano un aspetto familiare, e nei boschi incontrava i paesaggi che erano momenti di perfetti déjà-vu.

C’era il rischio che stesse camminando in tondo. Forse avrebbe potuto continuare a camminare all’infinito fino all’esaurimento degli scaldini e delle merendine. Poi si sarebbe seduto da qualche parte per non rialzarsi più.

Quando arrivò a un grosso torrente decise di seguirlo. I torrenti portano ai fiumi e tutti i fiumi portano al Mississippi. Se avesse continuato a camminare, oppure rubato una barca o costruito da solo una zattera, prima o poi avrebbe raggiunto New Orleans, dove faceva caldo, ipotesi tanto confortante quanto infondata.

Gli elicotteri non tornarono. Aveva la sensazione che quei due che gli erano passati sulla testa fossero andati a ripulire il disastro sul treno merci, e non che stessero cercando lui, altrimenti sarebbero ritornati con cani poliziotto e sirene e tutto il circo della caccia all’uomo. Invece non c’era niente di niente.

Ma cosa voleva, esattamente? Non voleva essere preso. Non voleva essere accusato dell’uccisione degli uomini sul treno. «Non sono stato io» si sentì dire, «è stata la mia defunta moglie.» Immaginare l’espressione degli agenti non era difficile. Poi, mentre saliva sulla sedia elettrica, la gente avrebbe continuato a discutere se era matto oppure no…

Si chiese se ci fosse la pena di morte, nel Wisconsin. Si chiese se la cosa avesse qualche importanza. Voleva sapere che cosa stava succedendo, e scoprire come sarebbe andata a finire. E infine capì — e sorrise mesto, scoprendolo — che desiderava soprattutto tornare alla normalità. Voleva non essere mai andato in prigione, che Laura fosse ancora viva, che niente di tutto questo fosse mai accaduto.

Ho paura che quest’opzione non esista, ragazzo mio, pensò tra sé con la voce burbera di Wednesday, e annuì in segno di assenso. L’opzione non esiste. Ti sei bruciato i ponti alle spalle. Quindi continua a camminare. Tieni duro…

In lontananza, un picchio tamburellava su un tronco marcio.

Shadow si sentì osservato: un gruppetto di cardinali rossi lo fissò da uno scheletrico sambuco prima di riprendere a becchettare le bacche nere. Sembrava un’illustrazione del calendario degli uccelli canori del Nordamerica. I trilli lo seguirono per un po’ lungo l’argine del torrente e infine non si sentirono più.

Il cerbiatto giaceva in una radura all’ombra di un colle e un uccello nero grande come un cane era intento a sbranargli un fianco, con l’enorme becco crudele strappava brandelli di carne rossa. Gli occhi del cerbiatto non c’erano più, ma il resto della testa era intatto e sul dorso si vedeva ancora il manto di pelliccia maculata. Shadow si domandò come fosse morto.

L’uccello nero piegò la testa di lato e producendo un suono che sembrava quello di due sassi sfregati tra loro disse: «Tu sei l’uomo ombra».

«Sono Shadow» rispose Shadow. L’uccello saltò sul dorso del cerbiatto, alzò la testa e arruffò le penne sul collo e sulla cresta. Era un animale enorme, con gli occhi come due perle nere. C’era qualcosa che faceva paura in un uccello di quelle dimensioni appollaiato a così breve distanza.

«Dice che vi rivedete al Cai-ro» disse il corvo. Shadow si chiese di quale dei due corvi imperiali di Odino si trattasse: Hugin o Munin, Memoria o Pensiero.

«Al Cai-ro?» ripeté.

«Egitto.»

«E come ci arrivo in Egitto?»

«Segui il Mississippi. Verso sud. Trova lo Sciacallo.»

«Senti» disse Shadow, «non voglio sembrare come se, cazzo, senti…» Fece una pausa per cercare di riordinare le idee. Stava morendo di freddo in mezzo a un bosco e parlava con un gigantesco uccellaccio nero che faceva colazione a base di Bambi. «Va bene. Quello che sto cercando di dire è che non voglio misteri.»

«Misteri» convenne il corvo.

«Voglio delle spiegazioni. Sciacallo al Cai-ro. Non mi è di grande aiuto. Sembra la battuta di un brutto film di spionaggio.»

«Sciacallo. Amico. Toc. Cai-ro.»

«Questo me l’hai già detto. Mi piacerebbe qualche informazione in più.»

L’uccello si voltò per strappare un altro brandello di carne rossa dal costato del cerbiatto. Poi volò tra gli alberi con il pezzo di carne che gli penzolava dal becco come un lungo verme sanguinante.

«Ehi! Mi puoi almeno riportare sulla strada?»

L’uccello volò più alto. Shadow guardò il cadavere del piccolo cervo. Decise che se fosse stato un vero boscaiolo a quel punto se ne sarebbe tagliata una bistecca da cuocere sul fuoco. Invece andò a sedersi su un tronco caduto e mangiandosi una barretta Snicker si rassegnò a non essere un vero boscaiolo.

Il corvo arrivò gracchiando in fondo alla radura.

«Vuoi che ti segua?» gli domandò Shadow. «Oppure Timmy è caduto in un altro pozzo?» L’uccello gracchiò di nuovo, questa volta con impazienza. Shadow si alzò e si avviò nella sua direzione. L’animale aspettò che gli fosse vicino, poi con un pesante battito d’ali raggiunse un altro albero; si sarebbe detto che volesse guidarlo a sinistra del percorso che aveva seguito prima.

«Ehi, Hugin o Munin o chiunque tu sia!»

Il corvo si voltò, piegò la testa sospettosamente e lo fissò con i suoi occhi lucidi.

«Di’: "Mai più"».

«Vaffanculo» rispose l’uccello. Poi, mentre attraversavano insieme il bosco, non disse più niente.

Dopo circa mezz’ora arrivarono a una strada asfaltata alla periferia di una cittadina e il corvo volò via nel bosco. Shadow notò l’insegna di un Culvers Frozen Custard Butterburgers e, poco distante, una pompa di benzina. Entrò da Culvers, che era deserto. Alla cassa c’era un giovanotto magro con la testa rasata. Shadow ordinò due butterburger e patatine. Poi andò in bagno a ripulirsi. Era in condizioni pietose. Fece un inventario del contenuto delle tasche: qualche moneta, incluso il dollaro d’argento, uno spazzolino usa e getta con dentifricio, tre barrette Snicker, cinque scaldini chimici, un portafogli (conteneva soltanto la patente e la carta di credito… e si domandò quando sarebbe scaduta, la carta), e nella tasca interna del cappotto un migliaio di dollari in banconote da cinquanta e da venti, la sua parte del lavoretto alla banca del giorno prima. Si lavò le mani e la faccia con l’acqua calda, inumidì i capelli e li ravviò, poi tornò nel ristorante a mangiare i suoi burger con patatine e a bere il caffè.