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Imboccò il molo, muovendosi con cautela. Lì non c’erano vermi, ma la superficie metallica era scivolosa a causa della pioggia. Nelle vicinanze, una luce si accese nell’acqua, fioca e pallida. Anna non avrebbe saputo dire di che colore fosse. Uno degli alieni si stava identificando, ma senza autorità o convinzione. Sono io. Credo… ne sono quasi sicuro… sono io.

Gislason era alle sue spalle. Non c’era modo di fuggire. E Anna, di certo, non aveva intenzione di tuffarsi in acqua. Era piena di aculei-tentacoli.

Yoshi aspettava sulla barca, alla porta della cabina, con un ombrello di carta gialla oliata.

Non appena salirono a bordo, lui disse: — Questa è una vera fortuna, Anna. Ti spiegherò più tardi. Buonasera… ah, Addetto. Esatto?

— Sì — rispose Gislason. Lei lo guardò. Con il cappuccio della giacca che gli copriva il viso non era possibile distinguerlo da Nicholas.

— È tutta vostra. Buon divertimento. — Yoshi aprì l’ombrello e se ne andò, facendo un cenno col capo a Gislason.

Anna entrò nella cabina. Un attimo dopo, Gislason la seguì. — Se n’è andato. Possiamo salpare.

— Dobbiamo prima staccare i cavi collegati al galleggiante — spiegò Anna. — E devo avvertire i pseudosifonofori.

— Che cosa vuol dire?

— La baia ne è piena e hanno raggiunto il punto in cui non prestano attenzione ad altro che a se stessi. Potremmo finir loro addosso. E taglieremmo di sicuro i tentacoli.

Lui aggrottò la fronte. — Come fa ad avvertirli?

— Ci sono delle luci sul galleggiante, quello grosso al centro della baia, e abbiamo un programma che traduce l’inglese in segnali luminosi. Ecco come comunicano… gli animali… con lampi luminosi.

Lui scosse la testa. — No.

— Non porterò fuori la barca senza prima aver avvertito le creature nella baia. Forse sono intelligenti. Sono sicuramente vulnerabili. Non voglio assumermi la responsabilità di fare loro del male.

Gislason la fissò con i suoi occhi verdi, il lungo viso pensieroso. Stava considerando le opzioni, soppesando le conseguenze, e Anna aveva la sensazione… una sensazione molto netta… che qualcuna di quelle opzioni sarebbe stata spiacevole.

Alla fine, lui disse: — Va bene. Mandi il suo messaggio. Ma la terrò d’occhio.

Anna annuì e accese il computer, chiamando la directory della traduzione. C’erano due programmi. Uno traduceva l’inglese nel linguaggio delle luci. L’altro era stato inserito da Yoshi quando aveva deciso di insegnare agli animali "Mary Aveva un Agnellino". Questo programma traduceva l’inglese nel codice d’emergenza internazionale.

Lei chiamò il secondo programma. Era codificato come "Lp2-Iec". Provò a pensare a una spiegazione per le lettere gialle che luccicavano sul video; ma Gislason non le fece domande.

— Scriverò otto parole, che il programma tradurrà in luci colorate. Il messaggio è: "Pericolo. Strano amico". La barca è lo strano amico. — Scrisse le parole. — Il resto del messaggio è: "Agite subito. Andate verso riva".

— Sarà quello giusto? — domandò Gislason.

— Mm… — Anna finì di scrivere il messaggio e premette Enter. Delle domande apparvero sulla parte bassa dello schermo. Che colore doveva avere il messaggio? Ogni quanto doveva essere ripetuto e con che rapidità? Rispose velocemente, sperando che Gislason non capisse che le domande indicavano che il messaggio non veniva tradotto nel linguaggio degli pseudosifonofori, e poi premette di nuovo il tasto Enter. Lo schermo si pulì, fatta eccezione per il cursore, che lampeggiava all’angolo superiore sinistro.

— Ora possiamo sganciarci. Il galleggiante è sull’automatico. Continuerà a segnalare da solo.

— Spero di fare la cosa giusta — disse Gislason.

— La sta facendo.

Uscirono in coperta. Il buio era assoluto, ora, e gli alieni avevano cominciato la loro conversazione serale: pallidi tentativi di azzurro e verde, resi più fiochi del solito dalla pioggia. Moby Dick galleggiava al centro della baia, illuminato come una lussuosa astronave che entrasse in porto. Tutta la superficie… sopra e sotto l’acqua… lampeggiò dapprima d’arancione e poi d’azzurro chiaro.

— Muoviamoci — disse Gislason. — Siamo veramente incalzati dal tempo, signora Perez.

Cominciarono a staccare i cavi di collegamento con Moby.

Il messaggio in sé… lo schema di punti e linee… non aveva significato per gli alieni che dovevano capire soltanto i colori. L’arancione era rabbia o pericolo; l’azzurro significava non aggressione. Era un avvertimento amichevole. C’era pericolo, stava dicendo loro Anna, ma nessuna cattiveria.

Quando i motori della barca si fossero messi in moto, avrebbero capito la fonte del pericolo. Sapevano che le barche erano pericolose. Quando gli umani erano arrivati per la prima volta sul pianeta, le barche erano state usate per dar loro la caccia. E quella era stata la prima indicazione che gli animali potessero essere intelligenti: che avessero imparato velocemente a temerle e che la paura delle barche si fosse rapidamente diffusa per tutta la specie.

In qualsiasi altro periodo dell’anno, il rumore dei motori sarebbe stato un avvertimento sufficiente; ma, al momento, loro erano concentrati sull’accoppiamento. Forse non avrebbero prestato attenzione alla barca o forse si sarebbero fatti prendere dal panico, dimenandosi con gli aculei-tentacoli e facendosi male l’un l’altro.

Il messaggio non era per loro. Anna non sapeva bene per chi fosse. Nicholas aveva detto che il generale hwarhath era interessato agli pseudosifonofori. Era possibile che avesse raccontato al generale della sua conversazione con Yoshi. Forse i hwar avrebbero capito che il galleggiante lanciava un nuovo tipo di messaggio. Forse sarebbero stati in grado di decodificarlo.

Un tipo molto lungo. L’unica speranza di Anna era riposta in Yoshi. Lui avrebbe sicuramente riconosciuto che il messaggio era stato lanciato nel codice d’emergenza internazionale e di certo l’avrebbe tradotto. C’erano anche buone probabilità che non lo comprendesse. Ma avrebbe parlato con Maria e Maria non soffriva minimamente della malattia del dottor Watson. Avrebbe immaginato il significato del messaggio. Il mio strano amico è in pericolo. Agite subito e non guardate in direzione dell’oceano. Guardate verso terra.

Forse avrebbe dovuto mettersi a gridare mentre passavano per la stazione o cercare di fuggire, anche se era molto più piccola di Gislason e non era mai stata un asso nella corsa.

Gli ultimi cavi caddero in acqua. — Molli pure — annunciò Anna a Gislason e si sedette sul sedile del pilota. Parte del tettuccio si estendeva sopra il pannello degli strumenti e il sedile e, in teoria, avrebbe dovuto mantenere asciutti gli strumenti e il pilota; ma Anna era già completamente bagnata e il vento freddo sbatteva la pioggia contro i lati aperti. Anna aveva davanti a sé un parabrezza striato dalla pioggia, il tetto della cabina e la prua. A prua, da un’asta penzolava una bandiera flessibile: la bandiera della spedizione. VERSO LE STELLE PER SAPERE, diceva.

Anna premette un interruttore. Le luci degli strumenti si accesero. Una voce maschile calda e profonda disse: — Buonasera e benvenuti nel meraviglioso universo del power boating! Sono il vostro Mark Ten Marine Mind computer. Se avete bisogno di qualche informazione per manovrare la vostra nuova Star Craft Modello Settecento, vi prego di lasciarmi acceso. In caso contrario, premete il pulsante rosso a sinistra del timone.

Anna premette il pulsante rosso.

— Adesso, rimarrò silenzioso — disse la voce — a meno che non succeda qualcosa che richieda un avvertimento o qualche altro tipo di azione.

Anna avviò i motori.

Gislason gridò: — Tutto libero.

Anna aumentò la potenza. La barca si mosse in avanti e Anna ruotò il timone per portarla fuori dall’imbarcadero; poi ruotò nuovamente per puntare verso la baia.

La maggior parte degli animali stavano ancora emettendo luci azzurre o blu-verdi, ma il ritmo dei loro messaggi era cambiato. Era rapido e staccato, ora, il ritmo del codice. Anna vedeva qua e là rapide esplosioni di arancione, simili a bombe.