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Per più di una settimana, Anna non ebbe notizie di Nicholas. Meglio. Il rito dell’accoppiamento nella baia stava raggiungendo l’apogeo. Era quella la parola giusta? Avrebbe controllato su un vocabolario quando ne avesse avuto il tempo.

Di giorno, l’acqua era pervasa di messaggi chimici, alcuni dei quali venivano captati da sensori piazzati sotto piccoli galleggianti o boe. Li aveva sistemati Yoshi, una mattina, quando la migrazione era appena iniziata. Punteggiavano la baia. Per il momento non c’era modo di raggiungerli senza disturbare gli animali in corteggiamento; ma trasmettevano analisi via radio a brevi intervalli di tempo.

Gli animali si servivano anche di segnali visivi. Ciò non serviva tanto a comunicare, pensava Anna, quanto a eccitare. Nelle giornate limpide, i segnali erano a malapena visibili. Ma il più delle volte le giornate erano coperte. L’acqua grigia scintillava e luccicava sotto un cielo pieno di nubi grigio scuro.

Di notte, naturalmente, lo spettacolo era incredibile: rosa, rosso, verde, blu, giallo, arancione chiaro e bianco. I colori riempivano la baia e si spostavano verso l’oceano aperto. In un paio di occasioni, con le nubi particolarmente basse, le luci avevano scintillato sopra la sua testa, nel cielo della notte: riflessi, tenui e pallidi, e difficili a vedersi, ma c’erano. Anna dormiva pochissimo.

Un pomeriggio, Nicholas chiamò. — Il generale parteciperà a un altro party. Altra sbornia e altre tartine. Non voglio saperne. Posso venire a disturbarla?

Merda, pensò Anna. Non riusciva a tenere aperti gli occhi e le sembrava di avere la testa piena di polvere grigia.

— Alle sedici e zero zero — disse. — Dovrei essere sveglia, a quell’ora. Vediamoci alla barca. È degli animali che vuole parlare, questa volta?

— Anche. — Lui sorrise brevemente e spense. Anna tornò a letto.

Mezz’ora dopo, la Uc suonò di nuovo. Anna imprecò e strisciò fuori da sotto la coperta.

Questa volta era il maggiore Ndo. — Può venire qui? Il più presto possibile.

Anna aprì la bocca.

Il maggiore aggrottò la fronte. — È importante, signora Perez.

— D’accordo.

— Bene. — Il maggiore fece un largo sorriso, mettendo in mostra i denti. Predatore, pensò Anna.

Si vestì e salì sulla collina. Il cielo era nuvoloso. Soffiava un vento freddo che piegava gli steli nudi delle spore rossastre e che le agitava i capelli, facendoglieli ricadere sul viso. Di tanto in tanto, sentiva una goccia di pioggia.

Il capitano Van l’aspettava all’entrata della zona, con aria preoccupata.

— Che cosa succede?

Lui si mise un dito davanti alle labbra: il gesto che nel linguaggio internazionale indica di fare silenzio.

Anna annuì e lui la condusse all’ascensore. Scesero di un piano e uscirono in un corridoio. I tubi sul soffitto emanavano una luce istituzionale pallida e dura. L’aria aveva un aroma sterile. Di cosa?, si chiese lei. Di metallo e cemento.

— Che cos’è questo? — domandò Anna.

— Un seminterrato.

Superarono una porta di metallo grigio e scesero per una rampa di scale, poi entrarono in un altro corridoio. La cosa diventava sempre più curiosa. Perché una costruzione temporanea aveva bisogno di un sottoseminterrato? Alla fine del corridoio c’era un’altra porta metallica. Lui si fermò e premette un pulsante nel muro. Anna udì un ronzio e sollevò la testa. Una telecamera, piccola e nera, girava lentamente. Si fermò e puntò su di lei la luce rossa.

La porta si aprì; il capitano le indicò di entrare e Anna obbedì.

Fece fatica ad assorbire la scena. Era troppo complessa. Una stanza con le pareti di cemento, una scrivania di metallo grigio e il maggiore, seduto dietro la scrivania: quella fu la prima immagine. In piedi, a destra della scrivania, c’era un uomo. Era alto e magro, portava dei pantaloni marroni, una camicia marrone e la giacca. Nicholas, pensò lei per un istante, che stringeva un patto con la Terra.

Poi vide tre persone sul lato sinistro della stanza, contro il muro. Un uomo seduto su una sedia, la testa china, le braccia sulle ginocchia e le mani strette. Due soldati, entrambi umani, lo affiancavano. Uno era Maksud. L’altro, un indiano meridionale piccolo e scuro, le era sconosciuto.

L’uomo seduto sollevò la testa. Nicholas. Aveva il viso a chiazze bianche e rosse e una stranissima espressione negli occhi. Anna non avrebbe saputo leggerla. Lo sguardo passava da lei, al capitano Van, al maggiore per posarsi poi sulla porta, che era chiusa.

Nicholas era terrorizzato. Il che spiegava il cambiamento di colorito e l’espressione degli occhi.

— Che cosa succede? — domandò Anna. — E dov’è l’altra guardia? L’alieno? Hattin?

— Dovrebbe essere ovvio cosa succede — rispose il maggiore. — Questa è la migliore occasione che ci è capitata di prendere Sanders. I hwar non si aspettano di vederlo fino a questa sera tardi. Abbiamo cinque ore, forse sei o sette, per portarlo via da qui. Ci serve il suo aiuto.

— Perché?

— Una diversione — disse il maggiore. — Vogliamo che lei vada sulla barca col tenente Gislason. — Annuì in direzione dell’uomo che assomigliava a Nicholas. — Che porti la barca al largo. Vogliamo che i hwar guardino nella direzione sbagliata. Vogliamo far loro credere che Sanders possa essersene andato di sua spontanea volontà. Ha mostrato per lei un evidente interesse.

— Lei è pazza. Non c’è alcun posto dove andare su questo pianeta. È vuoto. E io non interesso a lui. Per amor del cielo, proprio lei mi ha detto che il generale hwar è il suo amante.

Anna continuava a guardare Nicholas con la coda dell’occhio. Lui faceva piccoli movimenti nervosi, sollevando la testa, abbassandola, spostandosi come se si preparasse a correre, poi esitando sempre. Non aveva alcun posto dove andare, nessuna speranza di uscire dalla porta. Era chiaro che lo sapeva, ma non riusciva a stare immobile. La reazione combatti-o-fuggi era troppo forte.

Il maggiore disse: — Secondo le nostre registrazioni, lui era un maschio perfettamente normale ed eterosessuale, vent’anni fa. Forse è tornato tale. Come farebbero a saperlo gli alieni? Non possono essere degli esperti in fatto di sessualità umana; e a noi non interessa molto di quello che pensano che succeda… una gita, un weekend romantico… purché guardino verso l’oceano. — Fece una pausa e fissò Anna. — Non possiamo lasciarci scappare quest’occasione. Ci sono vent’anni di informazioni in quest’uomo. Dobbiamo trattenerlo.

— Non crederanno che se ne sia andato di sua spontanea volontà — replicò Anna. — Pensate chi è quest’uomo. Non lo lasceranno scomparire. Metteranno sottosopra la zona diplomatica.

Il maggiore scosse la testa, la luce che colpiva il cranio calvo e scuro. — Grazie a Sanders, i hwar sanno di noi più di quanto noi sappiamo di loro, ma noi abbiamo imparato alcune cose. Farebbero di tutto per proteggere o salvare donne e bambini. Ma per loro, tutti gli uomini sono sacrificabili. La nostra gente è sicurissima di questo. Credono… gli alieni, intendo… che sia nella natura degli uomini litigare e combattere. È destino degli uomini morire in modo violento. Quando accade, accade. Que sera sera. Così vuole la Dea. Il generale Ettin non rischierà di mettere fine ai negoziati a causa di un uomo.

— Nick? È vero?

Lui sollevò la testa, quella strana espressione vacua ancora negli occhi. — Sì — rispose dopo un momento.

— Non abbiamo tempo per continuare a discutere — disse il maggiore. — Ci aiuterà, signora Perez?

— Ho scelta?

— Nessuna, se vuole pubblicare la sua ricerca e se ci tiene a portare in salvo la barca senza danneggiare alcuno dei suoi animali. Noi andremo avanti, signora Perez, con o senza il suo aiuto.

La loro storia… il weekend romantico… richiedeva che lei sparisse. Anna ebbe l’improvvisa sensazione che se avesse rifiutato, sarebbe rimasta in quella stanza, prigioniera come Nicholas.