— Che cosa? — dissi.
— Pensiamo che stesse scherzando. Non sempre l’umorismo attraversa i confini culturali.
Derek disse: — Ora spengo la radio.
— Buonanotte — rispose Tony.
Derek schiacciò il pulsante, poi sbadigliò. — Basta così. Forse domani smetterà di piovere.
Così non fu. Viaggiammo in mezzo alla foschia e a una pioggerella. Mi doleva tutto il corpo, in particolare la spalla e il braccio, ma anche ferite molto più vecchie: un paio di canali di radici dentarie e la caviglia che mi ero rotta alla Stazione Finlandese mentre andavo a raggiungere la spedizione interstellare. La mia prima volta su un L-5, la mia prima esperienza con la bassa gravità, e avevo deciso di provare la forma di danza locale.
La valle si restringeva. Incominciavo a vedere affioramenti di roccia. Era gialla ed erosa. Quasi certamente calcare. Eravamo usciti dalla zona di attività vulcanica.
La maggior parte della roccia si trovava molto più in alto di noi. Le pendici più basse della valle erano coperte di vegetazione. Non più erba enorme. Questi erano autentici alberi. La corteccia era ruvida e grigia, le foglie verdi e rotonde.
— Sarà un autunno precoce — disse Nia. — Hanno già cambiato colore.
— È quello il colore che manterranno? — chiesi.
Lei fece il gesto dell’affermazione. — Alcuni alberi diventano gialli dopo essere diventati verdi, ma questa specie non cambia più. Le foglie rimarranno verdi finché non cadranno.
— Aiya! - dissi.
Nel pomeriggio inoltrato arrivammo in un punto in cui la valle era molto stretta e la pista passava sotto una scogliera. C’era una sporgenza rocciosa. No. Una grotta poco profonda.
Smontammo e conducemmo i nostri animali su per un breve pendio fino alla grotta. C’era della cenere sul pavimento e pezzi di legno bruciato.
— È quello che pensavo. Resteremo qui questa notte. — Nia si rivolse a Derek. — Procurati della legna.
Derek fece il gesto dell’assenso. Se ne andò. Togliemmo la sella ai cornacurve e li portammo giù al fiume ad abbeverarsi, poi li legammo dove potevano pascolare. Uno degli animali zoppicava un po’. Nia si accoccolò e gli esaminò uno zoccolo.
L’oracolo chiamò: — Lixia! Vieni qui!
Entrai nella grotta. L’accesso era largo forse quindici metri e alto dieci, ma si restringeva rapidamente e il soffitto scendeva bruscamente tanto che dovetti chinare il capo. L’oracolo era fermo dove la grotta finiva o sembrava finire. Quando mi avvicinai, sentii un vento freddo: aria che veniva verso di me. — Questo è un luogo sacro. — Fece un passo di lato e puntò il dito. Vidi un’apertura: alta un metro e larga mezzo. Era da lì che proveniva il vento. L’oracolo disse: — Mi si drizza il pelo sulla schiena e ho un senso di nausea allo stomaco. Questo è certamente un luogo che appartiene agli spiriti.
— Possiamo restare qui? — chiesi.
— Credo di sì. Non ho sentito niente nella parte anteriore della grotta.
Guardai l’apertura. Una volta acceso il fuoco, avrei potuto fare una torcia. — È proibito entrare lì dentro?
— Non lo so. Gli spiriti di questa terra non sono quelli che conosco io.
Tornammo nella parte anteriore della caverna. Nia era lì e gocciolava acqua. — Aiya! Che giornata! — Si asciugò le braccia e le spalle. — Quello zoccolo sembra a posto. L’animale è stanco e non vuole viaggiare con un tempo così. Chi mai lo vorrebbe? O sta simulando o c’è una vecchia ferita che non riesco a vedere.
Derek uscì dal bosco, le braccia piene di rami. Salì di corsa il pendio, scivolando un paio di volte nel fango, raggiunse la grotta e disse: — Questa era secca quando l’ho presa. Adesso… non so.
— Lo scoprirò — ribatté Nia.
Accendemmo un fuoco. Raccontai a Derek del luogo sacro.
— Dopo cena — disse. — Andremo a dare un’occhiata.
Nia alzò lo sguardo. — Non impari mai? Ricordati di quello che è successo l’ultima volta che ti è venuta la curiosità per qualcosa di sacro. Quella pazza per poco non ci ha uccisi.
— Non ti fai mai domande sulle cose? — domandò Derek.
— No. — Nia si dondolò all’indietro sui calcagni. — Ho imparato più di quanto avrei mai voluto sapere sui luoghi strani.
— E sulle persone strane?
Nia aggrottò la fronte. — Li-sa mi piace. Sono felice di averla incontrata. Ero stanca di vivere nella foresta e non mi è mai piaciuto veramente il Popolo del Rame.
— Che cosa intendi dire? — domandò l’oracolo.
— Non mi riferivo alla tua gente. Non ho niente contro di loro. Ma non mi piaceva il Popolo del Rame della Foresta.
— Quelli! — esclamò l’oracolo. — Sono strani.
Nia fece il gesto dell’approvazione. — È stato un bene che sia arrivata Li-sa e io me ne sia dovuta andare. Sarei potuta restare là per tutta la vita. Sarebbe stato terribile!
L’oracolo fece il gesto dell’approvazione.
— E per quanto riguarda me? — chiese Derek.
— Non ho ancora deciso se tu mi piaci — rispose Nia.
— No? — Derek parve offeso.
L’oracolo disse: — Andrò nella parte posteriore della grotta. Sono abituato ai luoghi sacri e il mio spirito mi proteggerà. — Rovistò in una delle bisacce da sella e trovò un pezzo di carne. Bipede arrostito freddo. Lo addentò.
— Io non ci vengo — disse Nia. — Non ho nessuno spirito che mi protegga e i luoghi sacri mi hanno sempre fatta sentire a disagio. Ma è un bene che tu ci vada. Potrai assicurarti che Deragu non faccia nulla che non dovrebbe.
L’oracolo stava masticando e non poteva parlare. Ma con una mano fece il gesto che significava "perché credi che lo faccia?".
Finimmo il bipede, prendemmo dei rami e vi demmo fuoco. Derek fece strada verso il fondo della caverna. Le ombre si muovevano attorno a noi. Le nostre torce tremolavano e ondeggiavano al vento che proveniva dall’apertura. Derek si accucciò. — È molto stretto. Credo che ce la farò. — Si girò di lato e vi s’introdusse a forza. La sua torcia fu l’ultima cosa a sparire.
Io e l’oracolo aspettammo. Ero abbastanza calma, pensai, ma l’oracolo stava in ansia. Un tipo nervoso. Mi mordicchiai un’unghia.
— Si allarga — disse Derek. La sua voce echeggiò. — Parecchio.
L’oracolo si accucciò. — Riesco a vedere la sua torcia. Vado. — S’introdusse e sparì. Dopo uno o due minuti disse: — Aiya!
Lanciai un’occhiata all’entrata della grotta. Il fuoco ardeva luminoso. Nia era seduta lì accanto, china sulla fiamma, una figura scura. Dietro di lei c’era la pioggia, una cortina lucente.
Entrai a mia volta camminando sulle ginocchia e mi ricordai che al college ero andata in qualche grotta e avevo scoperto di soffrire un po’ di claustrofobia. La claustrofobia era aggravata dall’oscurità.
Qui non c’era oscurità. La torcia ardeva davanti a me e il fumo mi veniva in faccia, facendomi venir voglia di tossire o starnutire. Il passaggio si restringeva ancora di più. Sfioravo con la testa il soffitto e la mia spalla strusciava contro la ruvida parete bagnata.
— Sbrigati — mi sollecitò Derek. — Devi venire a vedere…
Il passaggio si allargò. Sentii che c’era spazio sopra di me e mi raddrizzai, sollevando la torcia. Non vedevo niente all’infuori del pavimento (era coperto da un sottile strato d’acqua e riluceva debolmente) e di due punti luminosi in lontananza: le torce tenute dai miei compagni.
— Qui — disse Derek.
Mi diressi verso il suono della voce.
Derek era fermo presso una parete e teneva alta la torcia. La parete era di calcare giallo, coperta d’acqua. C’erano pitture sulla parete. Animali. Erano dipinte in rosso e arancione, azzurro spento, grigio e marrone. Riconobbi la creatura che ci aveva attaccati presso il lago e i bipedi azzurri. La cena.
C’erano persone che si muovevano fra gli animali. Erano solo abbozzate, senza alcuna cura dei particolari, al contrario degli animali che erano raffigurati con cura in tutti i dettagli. Le persone portavano lance e archi.
— Magia della caccia — disse Derek. Camminò lungo la parete.