Gli esseri che sciamavano senza sosta e la danza sempre più vorticosa (perché avevano ricominciato a danzare) stordirono Lucy. Poi vennero altre creature, senza che lei si rendesse conto da dove fossero sbucate, e cominciarono a far capriole tra gli alberi. Una era un ragazzo con la carnagione fulva e foglie di vite fra i riccioli. Sarebbe stato proprio un bel ragazzo, se non avesse avuto un aspetto così selvaggio.
— Ecco uno che è capace di qualunque cosa — disse Edmund non appena lo vide. Lucy ebbe esattamente la stessa impressione. A quanto pare il ragazzo aveva una serie di nomi importanti e pomposi: Bromios, Bassareus e Ram fra gli altri. Intorno a sé aveva una nutrita schiera di ragazze… ehm, selvatiche come lui. C’era chi era arrivato a cavallo di un asino, e tutti ridevano e gridavano a squarciagola: — Euan, euan, eu-oi-oi-oi!
— È un gioco, vero, Aslan? — chiese il giovane. Almeno all’apparenza aveva ragione, benché tutti giocassero a un gioco diverso. Forse era saltarello, pensò Lucy, ma non riuscì a scoprirlo. Somigliava a mosca cieca, ma la cosa strana era che tutti si comportavano come se fossero bendati. Palla avvelenata, magari? Non c’era la palla. Ma il culmine fu quando l’uomo che stava sulla groppa dell’asino cominciò a gridare: — È l’ora di rifocillarsi, pausa, pausa! — Era un omone grande e grosso, avanti negli anni. Cadde dall’asino e subito gli altri gli si fecero intorno per rimetterlo in groppa, mentre l’asino, che pensava di essere al circo, proprio in quel momento decise di mostrare la sua abilità e cominciò a camminare a due zampe. Ovunque c’erano pampini, e dopo un po’ arrivarono le viti, tantissime, che si arrampicavano sulle gambe degli uomini-albero e intorno al collo. A un certo punto Lucy cercò di portarsi indietro i capelli e con grande stupore si accorse che non erano ciocche ma viticci. L’asino ne era letteralmente coperto, la coda era impigliata e qualcosa di scuro gli ciondolava dalle orecchie. Lucy guardò con più attenzione e si accorse che erano grappoli d’uva. C’era uva ovunque: sulla testa, sotto i piedi, intorno.
— Si mangia, si mangia! — gracchiò il vecchio omone, e tutti cominciarono a mangiare. Forse a voi capiterà di mangiare l’uva di serra, ma posso assicurarvi che come quella non ne avete mai assaggiata. Era eccezionale, con i chicchi dalla buccia dura che quando li mettevi in bocca si scioglievano in un mare di dolcezza. Le ragazze non avevano mai mangiato niente di simile. L’altra cosa fantastica era che di uva ce n’era quanta ne volevi e potevi godertela senza dover stare composto. Tutti avevano mani sporche e appiccicose, e anche le creature con la bocca piena gridavano: — Euan, euan, eu-oi-oi-oi. - Poi capirono che il gioco (quale gioco? Mah!) e il banchetto stavano per finire. Caddero a terra sfiniti, rivolti ad Aslan per ascoltare quello che aveva da dire. Il sole spuntava in quel momento e fu allora che Lucy ricordò una cosa.
— Susan, ho capito chi sono — sussurrò alle orecchie della sorella.
— Dimmi…
— Quel ragazzo dai lineamenti un po’ selvatici è Bacco, il vecchio sull’asino è Sileno. Non ricordi che il signor Tumnus ci ha parlato di loro, tanto tempo fa?
— Sì, certo, ma io dico che…
— Avanti, Susan.
— Ecco, non mi sentirei tranquilla in compagnia di Bacco e delle ragazze un po’ scostumate che gli ronzano intorno… se non ci fosse Aslan.
— Mi spiace che la pensi così.
12
Un incantesimo e un’immediata vendetta
Nel frattempo Briscola e i due ragazzi erano arrivati davanti al portale di pietra, immerso nell’oscurità, che conduceva nelle viscere della Casa di Aslan. Due tassi-sentinella (le chiazze bianche sulle guance erano l’unica cosa che Edmund riuscì a distinguere) scattarono, mostrando i denti, e con un ringhio chiesero: — Chi va là?
— Sono Briscola — rispose il nano. — Con me è il Re supremo di Narnia che viene dal passato.
I tassi annusarono le mani dei ragazzi ed esclamarono: — Finalmente, finalmente!
— Fateci luce, amici — chiese Briscola.
I tassi trovarono una torcia proprio sotto l’arco. Peter l’accese e la porse a Briscola. — Meglio che il P.C.A. ci guidi — disse Peter. — Non conosciamo la strada, qui dentro.
Briscola afferrò la torcia e si mise alla testa della compagnia, lungo il tunnel avvolto nelle tenebre. Era un luogo gelido, buio, con un forte odore di muffa. Un pipistrello, ospite occasionale, svolazzava intorno alla torcia e c’erano molte ragnatele. I ragazzi, che fin da quel mattino alla stazione ferroviaria avevano trascorso quasi tutto il tempo all’aperto, si sentirono in trappola, come in prigione.
— Ehi, Peter, da’ un’occhiata alle incisioni sulle pareti. Non ti sembrano antichissime? Eppure noi siamo ancora più vecchi: l’ultima volta che siamo stati qui, non c’erano.
— Eh, sì, è proprio una cosa che fa pensare — rispose Peter.
Il nano continuò a fare strada. Girarono a destra, poi a sinistra, scesero delle scale e di nuovo a sinistra. Finalmente scorsero una luce che filtrava da sotto una porta. Arrivati davanti all’ingresso della stanza centrale, sentirono delle voci concitate. Parlavano così forte che nessuno sentì il nano e i ragazzi avvicinarsi.
— Tira una brutta aria — sussurrò Briscola a Peter. — Sentiamo cosa dicono. — Restarono immobili davanti alla porta, in religioso silenzio.
— Sai benissimo perché non ho suonato il corno di primo mattino — disse una voce. (- È il re — spiegò Briscola con un sussurro.) — Hai dimenticato che Miraz ci ha assalito non appena Briscola si è messo in marcia, e abbiamo dovuto vender cara la pelle per ben tre ore, forse più? Ho suonato il corno appena ho avuto un attimo di respiro.
— Oh, non posso certo dimenticare che i miei nani hanno risposto all’attacco e che cinque di loro sono caduti — rispose una voce inferocita. (- Questo è Nikabrik — disse Briscola parlando a bassa voce.)
— Vergogna, nano — si intromise una voce cavernosa. (- Ecco Tartufello — proseguì Briscola che faceva il cronista.) — Abbiamo fatto tutti del nostro meglio, come i nani, e comunque nessuno più del re.
— Raccontala a qualcun altro. Per quel che me ne importa… — ribatté Nikabrik. — Non so se il corno è stato suonato troppo tardi o se non è magico affatto. Quel che è certo è che nessun aiuto è arrivato. Tu, gran cancelliere e grande mago, tu che sai sempre tutto: hai ancora il coraggio di chiederci di riporre le nostre speranze in Aslan, re Peter e sciocchezze simili?
— Sono profondamente deluso dall’esito dell’operazione e non posso darti torto — ammise un’altra voce. (- Questo dev’essere il dottor Cornelius — spiegò Briscola.)
— Tanto per parlar chiaro — continuò Nikabrik — hai il portamonete vuoto, le uova ti si sono marcite, il pesce non ha abboccato… le tue promesse non sono state mantenute. Chiaro? Ti consiglio di farti da parte e di lasciar lavorare gli altri. Questo perché…
— L’aiuto arriverà — lo interruppe Tartufello. — Sono certo che Aslan non si farà aspettare. Devi solo aver pazienza, come noi animali, L’aiuto ci sarà. Potrebbe essere già dietro quella porta.
— Puah! — ringhiò Nikabrik. — Voi tassi sareste capaci di farci aspettare e andare a caccia di allodole finché il cielo cade. Vi dico che non verrà nessuno. Il cibo comincia a scarseggiare, abbiamo perso e continuiamo a perdere più uomini del previsto, i nostri si ritirano…
— Ah, sì? E vuoi sapere perché? — ribatté a questo punto Tartufello. — Sono venuti a sapere che abbiamo chiamato l’antico re e che lui non ha risposto all’appello. Le ultime parole che Briscola ha pronunciato prima di partire, andando quasi certamente incontro alla morte, sono state: «Se avete deciso di suonare il corno, fate che l’esercito non sappia il perché e neppure che sperate in qualcosa.» Ma guarda caso, la sera stessa tutti lo sapevano.