«Ho infranto la maledizione, la magia nera che stava causando la malattia di Orico», ribatté Teidez, protendendosi in avanti con un sorriso soddisfatto. «Essa proveniva da questi animali malvagi… Erano un dono segreto dei roknari, inteso ad avvelenare lentamente il Roya. Adesso però li abbiamo sterminati e abbiamo ucciso la spia dei roknari… o almeno credo…» aggiunse, lanciandosi alle spalle un’occhiata dubbiosa.
Soltanto allora Cazaril notò l’ultimo corpo steso in fondo al corridoio. Umegat giaceva su un fianco, in un mucchio inerte, immobile al pari degli uccelli e dei velia, con accanto le carcasse delle volpi del deserto; in un primo tempo, non si era accorto di lui perché la limpida luce bianca che scaturiva dalla sua persona era spenta. Possibile che fosse davvero morto? Con un gemito, avanzò barcollando verso di lui e gli s’inginocchiò accanto: il lato sinistro della testa di Umegat era lacerato e la treccia di capelli brizzolati appariva arruffata e intrisa di sangue. La sua pelle era grigiastra quanto un vecchio straccio, ma il sangue filtrava ancora lentamente dalla ferita, quindi…
«Respira ancora?» domandò Teidez, avvicinandosi per sbirciare da sopra la spalla di Cazaril. «Quando si è rifiutato di lasciarci passare, il capitano lo ha colpito col pomo della spada…»
«Stolto, stolto, stolto ragazzo!»
«Non sono stolto! Era lui l’artefice di tutto questo», dichiarò Teidez, indicando Umegat. «Uno stregone roknari, inviato a prosciugare e a uccidere Orico.»
«Umegat è un Divino del Tempio», sibilò Cazaril. «È stato inviato qui dall’Ordine del Bastardo, perché si occupasse degli animali sacri, donati dal Dio per preservare Orico. Se non lo avete ucciso, è l’unica cosa positiva in questa carneficina.»
Per fortuna, sebbene le sue mani fossero gelide, Umegat respirava ancora, anche se in maniera affaticata e irregolare.
«No…» insistette Teidez, scuotendo il capo. «No, vi state sbagliando, non può essere…» Ma l’aria eroica ed esaltata cominciò a svanirgli dal volto.
Cazaril scattò in piedi, inducendo Teidez a indietreggiare leggermente e, nel girarsi, scoprì con sollievo che Palli lo aveva seguito, accompagnato da Ferda, il quale si stava guardando intorno con espressione stupefatta e inorridita.
Sapendo che l’amico avrebbe potuto prestare i primi soccorsi, Cazaril gli si rivolse: «Palli… Assumi il controllo qui e occupati degli stallieri feriti, soprattutto di questo, che potrebbe avere una frattura al cranio». E indicò Umegat. «Ferda», chiamò poi.
«Mio signore?»
«Corri al Tempio e trova l’Arcidivino Mendenal», gli ordinò Cazaril, certo che la divisa del giovane gli avrebbe consentito di entrare nei recinti sacri. «Devi vederlo immediatamente… Riferiscigli ciò che è successo qui, chiedendogli poi di mandare i medici del Tempio… In particolare, digli che Umegat ha bisogno di quella levatrice dell’Ordine della Madre, quella speciale. Lui capirà cosa intendo. Fa’ in fretta!»
«Dammi il tuo mantello e muoviti, ragazzo», aggiunse Palli, che si era già inginocchiato accanto a Umegat.
Gettato il proprio mantello al suo comandante, Ferda si girò di scatto e si allontanò prima che Palli avesse avuto il tempo di avvolgere l’indumento di lana grigia intorno al corpo del roknari.
Cazaril si concentrò su Teidez, il cui sguardo saettava all’intorno con crescente incertezza. Il giovane era indietreggiato verso la carcassa del leopardo: lo splendido pelo maculato nascondeva le ferite, contrassegnate soltanto dalle chiazze di sangue sui fianchi. Nel contemplare quell’animale, Cazaril si sorprese a ripensare al cadavere trafitto di dy Sanda.
«L’ho ucciso con la spada, perché era il simbolo regale della mia Casa, anche se era stregato», dichiarò Teidez. «L’ho fatto anche per mettere alla prova il mio coraggio… Quella bestia mi ha artigliato una gamba», aggiunse, chinandosi a massaggiarsi lo stinco destro, dove in effetti i calzoni neri apparivano laceri e insanguinati.
Teidez era l’Erede di Chalion, e il fratello di Iselle, quindi Cazaril non poteva — o almeno non doveva — desiderare che il felino gli avesse squarciato la gola. «Per i cinque Dei, come vi è venuta in mente un’assurdità del genere?» domandò.
«Non è un’assurdità! Sapevate anche voi che la malattia di Orico non aveva cause naturali! Ve l’ho letto in viso… Per i demoni del Bastardo, chiunque poteva accorgersene! Lord Dondo mi ha confidato il segreto, prima di morire. Io credo che sia stato assassinato proprio per impedire che questo segreto venisse alla luce, ma ormai era troppo tardi.»
«Avete elaborato da solo questo… piano di attacco?»
«No», rispose Teidez, sollevando il capo con fare orgoglioso. «Però, quando sono rimasto solo, l’ho portato a termine con le mie forze. Avremmo dovuto farlo insieme, dopo il matrimonio di Dondo con Iselle… Avremmo distrutto la maledizione e liberato la Casa di Chalion dalla sua malvagia influenza. Ma questo compito è ricaduto per intero sulle mie spalle, quindi io mi sono eletto a portabandiera di Dondo, ho deciso di essere il suo braccio, che dalla tomba si protendeva ancora una volta in difesa di Chalion!»
«Ah! Ah!» gemette Cazaril, talmente sopraffatto dallo sgomento da non riuscire ad articolare parola. Possibile che Dondo avesse creduto davvero a quelle assurdità? Oppure si trattava soltanto di un astuto piano per servirsi di Teidez, in una maniera indiretta e indimostrabile, e mettere così fuori combattimento o addirittura assassinare Orico? Malizia o stupidità? Con Dondo, chi poteva saperlo?
«Lord Cazaril, che ne dobbiamo fare di questi baociani?» domandò Foix, con una nota diffidente nella voce.
Sollevando lo sguardo, Cazaril vide che il capitano delle guardie baociane era stato disarmato ed era tenuto in custodia da Foix e da una delle guardie dello Zangre. «E voi!» gli ringhiò contro. «Voi, vi siete prestato a questo… stupido sacrilegio, senza dirlo a nessuno? Oppure siete ancora al servizio di Dondo? Ah! Prendete in custodia lui e i suoi uomini e chiudeteli in una cella finché…» Cazaril s’interruppe, riflettendo. Senza dubbio, dietro tutto quello c’era la mano di Dondo, che si stava protendendo dalla tomba per provocare caos e disastri, ma per una volta, lui aveva il sospetto che dietro Dondo non ci fosse l’appoggio di Martou… Anzi, se la sua supposizione era esatta, era esattamente l’opposto. «Teneteli in cella finché il Cancelliere non sarà stato informato», riprese. E, protendendo un braccio verso un’altra guardia, aggiunse: «Ehi, tu… Corri alla Cancelleria, o a Palazzo Jironal, od ovunque si trovi attualmente il Cancelliere, e informalo di quello che è successo, pregandolo di venire da me prima di recarsi da Orico.»
«Lord Cazaril, non potete ordinare l’arresto delle mie guardie!» protestò Teidez.
Unico tra i presenti ad avere la forza, se non l’autorità, per dare quella disposizione, Cazaril gridò: «Quanto a voi, andrete immediatamente nelle vostre camere, e ci resterete fino a nuovo ordine da parte di vostro fratello. Provvederò di persona ad accompagnarvi».
«Toglietemi le mani di dosso!» strillò Teidez, quando le dita di Cazaril gli strinsero un braccio in una presa ferrea. Ma, scorgendo l’espressione del Castillar non osò muoversi.
«No. Siete ferito, signore, e io ho il dovere di accompagnarvi da un medico», ribatté Cazaril, in tono falsamente cortese. Poi abbassando la voce, aggiunse: «Se ci sarò costretto, vi darò un colpo in testa e vi trascinerò di peso…»
«In tal caso, va’ con loro senza opporre resistenza», ordinò Teidez al suo capitano, cercando di suonare dignitoso. «Ti manderò a liberare più tardi, una volta che avrò dimostrato che Lord Cazaril è in errore.» Ma i due uomini stavano già scortando fuori il capitano e le parole di Teidez risultarono del tutto inutili.
Gli altri stallieri feriti si erano raccolti intorno a Palli e lo stavano aiutando a curare Umegat. Lanciando un’occhiata a Cazaril da sopra la spalla, Palli gli rivolse un rapido cenno di rassicurazione. Annuendo a sua volta, Cazaril rinsaldò la presa sul braccio di Teidez e, fingendo di sorreggerlo, lo sospinse fuori del serraglio trasformato in un mattatoio.