«No, naturalmente no», rispose Iselle, sollevando il mento con fare deciso. «Per stanotte festeggeremo. Potrai cominciare domani.»
«Se per allora ti sentirai abbastanza in forze», si affrettò a interloquire Bergon.
«È un compito immenso…» cominciò Cazaril. Aveva chiesto solo un po’ di pane e gli avevano dato un intero banchetto. Tra quelli che cercavano di proteggerlo a ogni costo e quelli che sacrificavano spietatamente le sue esigenze per i loro fini, cominciava a preferire la seconda categoria… Cancelliere dy Cazaril… Lord Cancelliere… si sorprese poi a sillabare in silenzio, quasi suo malgrado, e a poco a poco si rinfrancò.
«Stanotte, dopo cena, lo annunceremo», lo avvertì Iselle. «Vestiti in maniera adeguata, Cazaril, perché Bergon e io ti offriremo la catena, simbolo della tua carica, al cospetto di tutta la corte. Betriz, ti aspetto nelle mie stanze… tra un po’», aggiunse, con un sorriso. Infilò la mano sotto il braccio di Bergon e lo trascinò con sé nel corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.
Il braccio di Cazaril scivolò intorno alla vita di Betriz e lui, senza la minima timidezza, la fece sedere sulle sue ginocchia, con un movimento così repentino da strapparle uno strillo di sorpresa. «Le labbra, eh?» mormorò, baciandola.
Dopo qualche tempo, quasi senza fiato, Betriz si tirò indietro e passò una mano sul proprio mento e su quello di lui. «Adesso la tua barba non mi punge più», commentò.
La mattina successiva, a tarda ora, Cazaril riuscì finalmente a rintracciare Umegat presso la Casa del Bastardo, dove un rispettoso Accolita lo guidò fino al terzo piano. Lo stalliere muto, Daris, venne ad aprire la porta e, con un inchino, invitò Cazaril a entrare. L’ometto, che indossava le vesti bianche e ordinate di un Devoto laico dell’Ordine, si passò una mano sul mento e indicò il volto nudo di Cazaril, con un sorridente commento che, per una volta, lui fu lieto di non comprendere, poi lo precedette attraverso una stanza, arredata come un salotto, e su una piccola balconata di legno che si affacciava sulla Piazza del Tempio ed era decorata da rampicanti e da vasi di gerani.
Umegat, anche lui vestito di bianco, sedeva a un tavolino, in una zona d’ombra, e Cazaril notò con gioia che aveva davanti a sé carta, penna e inchiostro; per evitare di farlo alzare, si affrettò a sedersi sulla sedia che Daris gli porgeva e accettò la sua offerta di una tazza di tè, interpretata per lui da Umegat.
«Cosa sono questi fogli?» domandò subito, con entusiasmo, mentre Daris andava a preparare la bevanda. «Hai recuperato la capacità di scrivere?»
«Per ora, sembro un bambino di cinque anni», rispose Umegat, con una smorfia, girando un foglio per mostrare una serie di lettere rozzamente tracciate. «Vorrei che anche il resto di me fosse ringiovanito altrettanto. Continuo a memorizzare le lettere, ma esse persistono a scivolarmi via dalla mente, e la mia mano ha perso ogni agilità nell’uso della penna… anche se sono ancora in grado di suonare il liuto nella mia solita maniera scadente! Il medico insiste nel sostenere che sto migliorando e suppongo che sia così, perché, appena un mese fa, non ero in grado di fare neppure questo. Le parole strisciano sulla pagina come granchi, però ogni tanto riesco ad afferrarne una. Ora però dimmi di te!» esclamò, sollevando lo sguardo. «Ho sentito che hai fatto grandi cose, a Taryoon! Mendenal sostiene che sei stato trafitto da una spada.»
«Da parte a parte», ammise Cazaril. «Però è servito a liberarmi di Dondo e del demone, il che mi ha ampiamente ripagato della sofferenza. Dopo, la Signora mi ha risparmiato dalla febbre e dalla morte.»
«Allora te la sei cavata bene», commentò Umegat, lanciando un’occhiata a Daris.
«Sì, in modo miracoloso.»
«Hmm», mormorò Umegat, protendendosi in avanti sul tavolo e scrutandolo viso. «Vedo che hai frequentato compagnie elevate.»
«Hai recuperato la seconda vista?» domandò Cazaril, stupito.
«No, si tratta solo di una particolare espressione che nasce da alcune esperienze, e che ho imparato a riconoscere.»
In effetti, anche Umegat aveva quell’aria particolare. A quanto pareva, se un uomo veniva toccato da un Dio e, in seguito a ciò, non perdeva del tutto il suo equilibrio interiore, allora riemergeva da quell’esperienza dotato di un nuovo, misterioso equilibrio interiore. «Anche tu hai visto il tuo Dio», osservò Cazaril.
«Un paio di volte», ammise Umegat.
«Quanto tempo ci vuole per riprendersi?»
«Non lo so ancora con certezza», mormorò Umegat, sfregandosi le labbra con aria pensosa. «Sei in grado di dirmi che cos’hai visto?»
Notando il bagliore apparso negli occhi grigi dell’altro, Cazaril ebbe un sussulto. Ho anch’io questo aspetto quando parlo della Signora? si chiese. Allora non mi meraviglia che la gente mi guardi in modo strano…
Con ordine, procedette a raccontare la sua storia, a cominciare dalla precipitosa partenza da Cardegoss per conto della Royesse. Nel frattempo venne servito il tè, ed entrambi ne bevvero due tazze prima che lui arrivasse in fondo alla narrazione; quando però cercò di descrivere l’esperienza con la Signora, si mise a balbettare, esitando, benché Umegat sembrasse voler assorbire ogni sua parola, per stentata che fosse. D’un tratto, Cazaril si rese conto che Daris si era soffermato sulla soglia ad ascoltare, ma ritenne superfluo chiedere rassicurazioni sulla sua discrezione. «La poesia… potrebbe essere lo strumento giusto», affermò, infine. «Mi servono parole che significhino più di quello che intendono dire, che non abbiano soltanto altezza e larghezza ma anche profondità e peso, oltre ad altre dimensioni cui non so neppure dare un nome.»
«Per qualche tempo, dopo la mia prima… esperienza, io ho cercato di ritrovare il Dio con la musica», replicò Umegat. «Purtroppo, non avevo il talento necessario.»
Cazaril si limitò ad annuire. «C’è qualcosa di cui hai bisogno e che io ti posso procurare?» chiese. «Ieri Iselle mi ha nominato Cancelliere di Chalion… Suppongo che ciò mi conferisca un certo potere.»
Umegat inarcò di scatto le sopracciglia grigie e gli rivolse un accenno d’inchino a titolo di congratulazione. «La giovane Royina ha agito bene», commentò.
«Io però continuo a pensare di avere indosso gli stivali di un morto», obiettò Cazaril, con una smorfia.
«Lo capisco», sorrise Umegat. «Quanto a noi, il Tempio si occupa piuttosto bene dei suoi ex santi e ci fornisce tutto ciò di cui possiamo aver bisogno. Mi piacciono queste stanze, questa città, quest’aria primaverile e… la compagnia di me stesso. Spero che il Dio mi conceda ancora un paio d’incarichi interessanti prima che la mia vita giunga al termine, anche se preferirei non avere più a che fare con animali o con sovrani.»
«Suppongo che tu conoscessi il povero Orico meglio di chiunque altro, tranne forse la Royina Sara», convenne Cazaril, annuendo.
«L’ho visto quasi tutti i giorni per sei anni e, verso la fine, aveva l’abitudine di parlarmi con estrema franchezza. Spero di essere stato per lui una consolazione.»
«Per quel che può valere, io lo ritengo una specie di eroe», osservò Cazaril, in tono esitante.
«Sono d’accordo», annuì Umegat. «Anche se la sua è stata una forma particolarmente frustrante di eroismo. Senza dubbio, Orico è stato una vittima sacrificale.» Sospirò. «In ogni caso, è un peccato consentire al dolore del passato di avvelenare la gioia per le benedizioni che ci rimangono.»
Daris si alzò dal suo angolo per portar via le tazze del tè.
«Grazie», gli disse Umegat, battendo un colpetto sulla mano che lui gli aveva posato sulla spalla.
Raccolte tazze e piatti, Daris si allontanò, seguito dallo sguardo incuriosito di Cazaril. «Lo conosci da molto tempo?» chiese poi.
«Da circa vent’anni.»
«Allora non era soltanto il tuo assistente nel serraglio… Quando lo hai conosciuto, era già stato…»