Nell’osservare i carretti che si rimettevano in marcia, Cazaril sussultò, immaginando gli scossoni prodotti dai solchi della strada. Senza dubbio, le strade di Chalion avevano bisogno di essere migliorate: ben pochi potevano esserne sicuri quanto lui, che le aveva percorse a lungo. Nell’Arcipelago, aveva visto strade lisce e ampie, tali da poter essere usate con qualsiasi condizione climatica… Si sorprese a pensare che forse Iselle e Bergon avrebbero dovuto convocare alcuni costruttori roknari, perché strade migliori, e meno infestate dai banditi, avrebbero giovato immensamente a Chalion. Anzi, a Chalion-Ibra, sì corresse mentalmente con un sorriso, mentre Foix lo aiutava a rimontare in sella.
29
Con una mossa previdente, mentre Cazaril si attardava a parlare con la Royina Sara, Palli aveva mandato avanti Ferda, al galoppo. Così, quando finalmente entrò nel cortile dello Zangre, il gruppo proveniente da Taryoon trovò ad attenderlo il siniscalco e un vero spiegamento di servitori. Dopo che uno stalliere lo ebbe aiutato a scendere di sella e il siniscalco lo ebbe salutato con un inchino, Cazaril si stiracchiò con cautela e pose subito la domanda che gli stava più a cuore. «La Royina Iselle e il Royse Bergon sono qui?»
«No, mio signore. Si sono appena recati al Tempio, per la cerimonia d’investitura di Lord dy Yarrin e del Royse Bergon.»
Com’era prevedibile, la Royina aveva scelto dy Yarrin come nuovo Santo Generale dell’Ordine della Figlia, mentre la nomina di Bergon alla carica di Santo Generale dell’Ordine del Figlio era, secondo Cazaril, una mossa davvero felice per recuperare il controllo diretto di quella forza militare tanto importante per la royacy nonché per evitare contese tra i più importanti nobili di Chalion. Lui sapeva che era stata Iselle ad avere quell’idea, anche perché ne avevano discusso prima che lei e Bergon lasciassero Taryoon. Cazaril le aveva fatto notare che l’onore la obbligava a ricompensare la fedeltà dimostrata da dy Yarrin, concedendogli quella nomina che tanto desiderava, ma le aveva ricordato anche che dy Yarrin non era più giovanissimo e che, col tempo, anche la carica di generale dell’Ordine della Figlia sarebbe tornata in possesso della royacy.
«Ah!» esclamò Palli. «Allora era fissato per oggi? E la cerimonia è ancora in corso?»
«Credo di sì, signore», rispose il siniscalco.
«Se mi affretto, forse riuscirò a vederne una parte. Cazaril, posso lasciarti alle buone cure di questo gentiluomo? Lord siniscalco, provvedete perché si riposi… Cercherà di farvi credere che è guarito dalle sue ferite recenti, ma non credetegli», lo ammonì Palli, poi fece girare il cavallo e rivolse a Cazaril un allegro saluto. «A cose finite, tornerò per raccontarti tutto», promise, oltrepassando al trotto il portone con la sua piccola scorta.
Stallieri e servitori presero subito in consegna cavalli e bagaglio, poi, sperando di apparire dignitoso, Cazaril rifiutò il braccio offertogli dal siniscalco, almeno sinché non fossero arrivati alle scale; quando però si diresse verso il corpo principale del castello, il siniscalco lo richiamò.
«Per ordine della Royina, il vostro alloggio è stato trasferito nella Torre di Ias», spiegò. «In tal modo, sarete più vicino a lei e al Royse.»
Compiaciuto di quella sistemazione, Cazaril seguì il siniscalco fino al terzo piano della torre, dove si erano insediati il Royse Bergon e il suo seguito di nobili ibrani. Bergon aveva scelto per sé una camera da letto diversa da quella in cui era recentemente morto Orico, ma era evidente che non aveva l’abitudine di dormirci. Quanto a Iselle, si era sistemata nell’appartamento della Royina, al piano superiore. La stanza di Cazaril era adiacente a quella di Bergon, e qualcuno vi aveva già trasferito il suo baule e le poche cose che lui possedeva, insieme con un intero, nuovo cambio di vestiario per il banchetto di quella sera. Dopo aver atteso che i servitori gli portassero l’acqua per lavarsi, Cazaril li congedò e si sdraiò sul letto, intenzionato a riposare, come gli era stato suggerito da Palli.
Dopo soltanto dieci minuti, tuttavia, Cazaril si alzò, dirigendosi al piano superiore per vedere com’era organizzato il suo nuovo studio. Riconoscendolo, una serva gli permise di entrare, salutandolo con una riverenza, e lui andò subito a curiosare nella camera che Sara aveva riservato al suo segretario. Come si era aspettato, essa era occupata dai registri e dai libri contabili originali della Royina, cui ne erano stati aggiunti molti altri. Ma, seduto all’ampia scrivania c’era un uomo dai capelli scuri, sui trent’anni, abbigliato con una veste grigia che aveva su una spalla la treccia color carminio propria di un Divino del Padre. L’uomo era intento a segnare cifre su uno dei libri contabili che erano responsabilità di Cazaril; un mucchio di corrispondenza aperta era allargato a ventaglio vicino alla sua mano sinistra e, sulla destra, c’era una pila ancora più grossa di lettere ultimate e da firmare.
«Posso esservi utile, signore?» domandò l’uomo, in tono cortese ma freddo, sollevando infine lo sguardo su Cazaril.
«Io… chiedo scusa, ma non credo che ci conosciamo. Chi siete?»
«Sono l’Erudito Bonneret, il segretario personale della Royina Iselle.»
Cazaril aprì la bocca e la richiuse senza aver emesso suono, anche se avrebbe voluto gridare: Ma sono io il segretario personale della Royina Iselle! «Si tratta di una nomina temporanea, vero?» chiese, infine.
«Confido che sia permanente», ribatté Bonneret, inarcando di scatto le sopracciglia.
«Come siete stato scelto per questo incarico?»
«L’Arcidivino Mendenal è stato tanto generoso da raccomandarmi presso la Royina.»
«Di recente?»
«Come?»
«Siete stato nominato di recente?»
«Da due settimane, signore», precisò Bonneret, poi si accigliò, con aria lievemente irritata, e aggiunse: «Signore, posso sapere chi siete?»
«La Royina… non mi ha detto…» balbettò Cazaril, chiedendosi se davvero era stato allontanato da quella posizione di fiducia. Era chiaro che la valanga di lavoro seguita all’ascesa al trono di Iselle non poteva essere tenuta in sospeso in attesa della sua lenta guarigione e che dunque qualcuno doveva occuparsene. E poi, a giudicare dalle lettere pronte per essere inviate, Bonneret aveva una calligrafia davvero splendida… «Mi chiamo Cazaril», rispose, infine, accorgendosi che il Divino lo stava fissando con. aria sempre più accigliata.
Il cipiglio di Bonneret venne immediatamente sostituto da un sorriso così radioso da essere quasi più allarmante. Lui lasciò cadere la penna, schizzando inchiostro ovunque, e scattò in piedi. «Mio signore dy Cazaril! Sono onorato di conoscervi!» esclamò, con un profondo inchino, e ripeté, in tono molto più ossequioso: «Come posso esservi utile, mio signore?»
Quell’impazienza di compiacerlo sgomentò Cazaril anche più dell’arroganza dimostrata in precedenza da Bonneret. Borbottando qualche scusa incoerente per giustificare la propria intrusione, e sostenendo di essere stanco per il viaggio, lui si affrettò a cercare rifugio al piano di sotto.
Una volta nella propria camera, tentò di occupare il tempo facendo un inventario degli abiti e dei libri che possedeva, disponendo ogni cosa con ordine e constatando con stupore che non sembrava mancare nulla. Quando ebbe finito, si avvicinò alla finestrella, che dava sulla città, l’aprì e si affacciò. Ma nessun corvo sacro venne a fargli visita, cosa che lo indusse a chiedersi se quegli uccelli si annidassero ancora nella Torre di Fonsa, ora che la maledizione era infranta e che il serraglio non c’era più. Indugiò poi a contemplare le cupole del Tempio, e decise di andare a cercare Umegat alla prima opportunità. Infine si sedette e, non avendo altro da fare, si abbandonò allo sconcerto.
Sapeva bene che disponeva di poche energie e, se si sentiva scosso, ciò dipendeva almeno in parte dalla stanchezza. La ferita al ventre, in via di guarigione, gli doleva per la cavalcata, benché assai meno di quando Dondo lo artigliava dall’interno. Sì, era finalmente, gloriosamente libero da inquilini interiori, e quel pensiero aveva suscitato in lui una felicità estatica durata parecchi giorni. Eppure quel pomeriggio non era sufficiente a rasserenarlo. Il periodo di riposo che, a detta di tutti, lui doveva concedersi, stava facendo crescere in lui la sensazione di essere stato abbandonato. Incupendosi, gli venne in mente che, forse, a Chalion-Ibra, non c’era più posto per lui e che per la gestione dei suoi affari, ora infinitamente più vasti e complessi, Iselle avrebbe avuto bisogno di uomini più eruditi e raffinati di un malconcio e strambo ex soldato con aspirazioni da poeta. La cosa peggiore, però, era un’altra: essere rimosso dal servizio presso Iselle significava essere messo al bando dalla presenza quotidiana di Betriz. Ormai nessuno, al tramonto, gli avrebbe acceso le candele; nessuno gli avrebbe procurato un cappello di pelliccia; nessuno avrebbe chiamato un medico se lui fosse stato male; nessuno avrebbe pregato per lui quando si fosse allontanato da casa…