«Sì, mio signore», garantì Ferda.
«Fate più luce!» ordinò Cazaril, fissando con attenzione lo spettro, che adesso girava in cerchio nella stanza con crescente agitazione, descrivendo una spirale sempre più stretta. «Spostate quelle botti», disse infine.
Mentre Foix faceva rotolare di lato le botti, Ferda sopraggiunse dalla cucina con un paio di candele di sego, la cui fiamma, anche se gialla e fumosa, fu sufficiente a rischiarare la stanza. Nascosta sotto le botti, c’era una lastra di pietra incassata nel pavimento e dotata di un anello di ferro. A un altro cenno di Cazaril, Foix afferrò l’anello e prese a tirare finché la lastra non si sollevò, rivelando una stretta rampa di gradini che scendeva nell’oscurità.
Dal basso, una voce fievole lanciò un grido.
Chinandosi su Cazaril, lo spettro del giovane parve baciargli la fronte, le mani e i piedi, poi si dissolse nell’eternità. Ma una debole scintilla azzurra, simile a un accordo musicale reso visibile, brillò per un momento ancora davanti alla sua seconda vista.
Con le candele in una mano e la spada snudata nell’altra, Ferda cominciò a scendere con cautela i gradini di pietra. Dal sotterraneo buio giunse allora un clamore di voci e, quando Ferda riapparve, di lì a poco, sorreggeva un uomo anziano ma robusto, dall’aria sconvolta, col volto segnato a causa delle percosse e le gambe tremanti. Alle loro spalle, una dozzina di persone, sconvolte e piangenti di gioia, risali la scala alla spicciolata.
I prigionieri liberati si accalcarono tutti intorno a Ferda e a Foix, raccontando la loro storia e subissandoli di domande; in disparte, Cazaril si appoggiò a una botte e rimase ad ascoltare, formando a poco a poco un quadro preciso dell’accaduto. L’uomo anziano e robusto era il vero Castillar dy Zavar, una sconvolta donna di mezz’età era la sua Castillara, un ragazzo e una ragazza in giovane età — risparmiata per puro miracolo, pensò Cazaril — erano i loro figli, e gli altri erano i servi e i dipendenti di quella dimora rurale.
Dy Joal e i suoi uomini erano arrivati al castello il giorno precedente. In apparenza erano soltanto un gruppo di rozzi viaggiatori, ma, quando un paio di quei bravacci avevano cominciato a molestare la cuoca, il marito della donna e il siniscalco erano accorsi in sua difesa. Non appena avevano tentato di allontanare gli sgraditi visitatori, però, erano spuntate le armi. Per quella famiglia, accogliere i viandanti in difficoltà che giungevano dal passo o che erano minacciati da una tempesta imminente era una sorta di tradizione. Inoltre nessuno degli abitanti del castello aveva riconosciuto dy Joal o i suoi uomini.
«Il mio figlio maggiore è vivo?» domandò poi il vecchio Castillar, aggrappandosi al braccio di Ferda. «Lo avete visto? E accorso in aiuto del mio siniscalco…»
«Era un giovane più o meno della stessa età di questi altri, vestito di lana e di cuoio, come te?» replicò Cazaril, indicando i fratelli dy Gura.
«Sì…» confermò il vecchio, impallidendo.
«Allora ha trovato consolazione nell’abbraccio degli Dei», riferì Cazaril, mentre il padre si abbandonava ad alte grida strazianti.
Accodatosi ai prigionieri liberati, Cazaril risalì stancamente le scale verso la cucina. Ben presto uomini e donne si sparsero per la casa, per recuperare i morti, prendersi cura dei feriti e dedicarsi di nuovo alle loro faccende.
«Mio signore… Eravate mai stato in questa casa, prima d’ora?» chiese Ferda a Cazaril, allorché questi si soffermò accanto al fuoco della cucina, per riscaldarsi.
«No.»
«Allora come avete fatto… Quando ho guardato in cantina, io non ho sentito nulla. Avrei lasciato quella povera gente a morire di fame, di sete e di follia, al buio.»
«Credo che, prima della fine della notte, gli uomini di dy Joal ci avrebbero rivelato il loro misfatto. E adesso ho intenzione di apprendere da loro molte altre cose», ribatté Cazaril, accigliandosi.
Sotto le pressioni che Cazaril fu lieto di autorizzare, e che gli abitanti della fortezza misero subito in atto, i bravacci prigionieri si mostrarono fin troppo ben disposti a raccontare la loro versione della storia. Il loro gruppo comprendeva alcuni fuorilegge, vari soldati — allontanatisi dall’esercito e quindi bisognosi di denaro -, e alcuni uomini del posto, che, attirati dalla prospettiva di una ricompensa, avevano guidato gli altri fino alla dimora di dy Zavar, giacché la torre più alta di quella fortezza dominava la strada. A quanto pareva, dy Joal aveva raggiunto la frontiera ibrana da solo, assoldando quegli uomini in una città ai piedi delle montagne, dove essi si guadagnavano da vivere scortando a pagamento i viandanti oppure derubandoli. Loro sapevano soltanto che dy Joal era giunto lì per tendere un agguato a un uomo che, provenendo da Ibra, avrebbe attraversato uno dei passi, però ignoravano la sua vera identità, anche se il suo abbigliamento da cortigiano e i suoi modi arroganti non avevano suscitato molta simpatia.
Era chiaro che dy Joal non era riuscito a controllare quegli uomini da lui affrettatamente assoldati. Così, quando la disputa sulla cuoca aveva innestato una spirale di violenza, lui non aveva avuto il coraggio — o la forza — di porre termine alla faccenda, d’imporre un po’ di disciplina o di ripristinare l’ordine. E la situazione era degenerata.
Turbato da quei racconti, Bergon trasse in disparte Cazaril, sotto la luce incerta delle torce che rischiaravano il cortile. «Caz, sono stato io a scatenare questa sventura sulla brava gente del povero dy Zavar?» domandò.
«No, Royse. Dy Joal stava aspettando soltanto me, di ritorno da Ibra in qualità di corriere di Iselle. Il Cancelliere dy Jironal sta cercando di allontanarmi dal servizio della Royesse ormai da qualche tempo e, in mancanza di modi più ortodossi, non teme di ricorrere addirittura all’assassinio. Quanto vorrei non aver ucciso quell’idiota! Darei il braccio destro, pur di scoprire di quali informazioni dispone dy Jironal.»
«Sei certo che sia stato il Cancelliere a organizzare questa trappola?»
«Be’, dy Joal nutre un aspro rancore nei miei confronti…» ammise Cazaril, esitando. «Però tutti sapevano che ero andato a Valenda, quindi dy Joal può aver appreso la mia vera destinazione soltanto da dy Jironal. Il Cancelliere ha di certo ricevuto qualche rapporto sul mio conto dalle sue spie a Ibra. Probabilmente ha scoperto qualcosa sul reale obiettivo del nostro viaggio, ma non tutto, e ha mandato dy Joal per bloccarci. Tuttavia non m’illudo che sia l’unico ’inviato’ del Cancelliere. Dobbiamo aspettarcene altri.»
«Entro quanto tempo?»
«Non lo so. Dy Jironal ha il comando dell’Ordine del Figlio, dunque potrà attingere alle sue risorse di uomini, non appena sarà riuscito a escogitare una menzogna abbastanza plausibile.»
Tamburellando col fodero della spada contro il calzone di cuoio, Bergon fissò il cielo. Col sopraggiungere della sera, le nubi si erano diradate e le catene montuose, verso occidente, erano sagome scure sullo sfondo di un perdurante bagliore verde. Le prime stelle splendevano sopra di loro, a riprova che l’uomo brizzolato, parlando di una tempesta imminente, aveva mentito. Forse la leggera lieve nevicata del pomeriggio gli aveva dato lo spunto per quell’idea…
«La luna è quasi piena e, per mezzanotte, sarà alta nel cielo», osservò infine Bergon. «Se cavalcheremo giorno e notte, forse riusciremo ad attraversare il territorio pericoloso prima che dy Jironal possa inviare altri uomini.»
«Che dunque pattuglierebbero un confine che noi avremmo già attraversato?» commentò Cazaril. «L’idea mi piace.»
«Ma… riuscirai a sostenere una simile cavalcata, Caz?» domandò Bergon, osservandolo con aria dubbiosa.
«Preferisco cavalcare piuttosto che combattere», ribatté Cazaril.
«Ti capisco», sospirò Bergon.
Nonostante il suo lutto, il Castillar dy Zavar dimostrò la sua gratitudine offrendo loro tutti i viveri che la sua casa potesse offrire. Per alleggerire il convoglio, Bergon decise di lasciare i muli, i servitori feriti e i cavalli azzoppati alle cure del Castillar. Ferda selezionò poi i cavalli più robusti e veloci, e si accertò che fossero ben strigliati, nutriti a sufficienza e lasciati a riposare fino al momento della partenza.