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— In altre parole — suggerì Miles — il ba voleva dei bambini. Nell’unico modo che poteva… concepirli.

La mano di Ekaterin sulla sua spalla, si strinse.

— Lisbet non avrebbe dovuto dirle così tanto — sospirò Pel. — Aveva fatto di questo ba un compagno. Lo trattava quasi come un figlio, invece che un servitore. Aveva una personalità formidabile, ma non sempre saggia. Forse anche troppo indulgente con se stessa, in vecchiaia.

Sì, il ba era fratello, o sorella, di Fletchir Giaja, forse quasi un clone dell’Imperatore di Cetaganda. Fratello, o sorella, maggiore. Era una prova genetica, e la prova era riuscita. Poi erano seguiti decenni di attento servizio nel Giardino Celeste, con una domanda sempre sospesa nell’aria: perché non era toccato al ba, invece che a suo fratello, tutto quell’onore, potere, ricchezza, fecondità?

— Un’ultima domanda. Se posso. Come si chiamava il ba?

Le labbra di Pel si strinsero. — Ora è senza nome. E lo sarà per sempre. Cancellato. Che la pena sia commisurata al suo reato.

Miles rabbrividì.

Il lussuoso veicolo virò sopra il palazzo del Governatore Imperiale di Rho Ceta, un esteso complesso scintillante nella notte. Poi cominciò a scendere nel vasto giardino buio, punteggiato da venature di luci lungo strade e sentieri, che si trovava a est degli edifici. Miles guardava affascinato dall’oblò, mentre scendevano in picchiata e poi risalivano sopra una piccola serie di colline, cercando di indovinare se il paesaggio fosse naturale, oppure scolpito artificialmente nella superficie di Rho Ceta. Almeno parzialmente scolpito, in ogni caso, poiché sul lato opposto dell’altura giaceva la conca erbosa di un anfiteatro prospiciente a un lago di seta nera largo un chilometro. Al di là delle colline, sull’altro lato del lago, la capitale di Rho Ceta proiettava nel cielo notturno la sua luce ambrata.

L’anfiteatro era illuminato solo da fiochi globi luminosi sparsi generosamente per tutta la sua ampiezza: mille bolle di forza delle dame haut, di un bianco luttuoso, smorzato fino a una luminosità appena visibile. Tra questi, delle figure pallide si muovevano silenziose come fantasmi.

Quel panorama scomparve alla vista di Miles quando il pilota fece virare il veicolo per atterrare delicatamente a pochi metri dalla riva del lago, all’estremità dell’anfiteatro.

Le luci interne della vettura divennero leggermente più intense, in lunghezze d’onda rosse, progettate per conservare l’adattamento all’oscurità degli occhi dei passeggeri. Nella corsia opposta a Miles ed Ekaterin, il generale ghem Benin distolse lo sguardo dal suo oblò. Era difficile interpretare la sua espressione sotto gli arabeschi formali di pittura bianca e nera che indicavano la sua posizione di ufficiale ghem imperiale, ma Miles la giudicò pensierosa. Nella luce rossa, la sua uniforme brillava come sangue fresco.

Tutto considerato, anche tenendo conto del suo improvviso incontro con le armi biologiche del Nido Celeste, Miles non avrebbe voluto scambiare i suoi incubi con quelli di Benin. Le ultime settimane erano state snervanti per l’ufficiale superiore della sicurezza interna del Giardino Celeste. La nave degli embrioni haut, con a bordo il personale del Nido Celeste, era svanita senza lasciare traccia, e di questo si sentiva responsabile; i numerosi e confusi rapporti che gli pervenivano sulle tracce lasciate da Gupta, gli suggerivano non solo un furto senza precedenti, ma anche una possibile biocontaminazione proveniente dalle scorte più segrete del Nido Celeste; per di più tutto era avvenuto nel cuore di un impero nemico.

Non c’era quindi da stupirsi che, al suo arrivo nell’orbita di Rho Ceta, si fosse precipitato per interrogare personalmente Miles. La loro contesa per la detenzione di Gupta era stata breve, anche se Miles aveva capito il forte desiderio di Benin di avere qualcuno su cui sfogare le sue frustrazioni. Tuttavia Miles era stato irremovibile: aveva dato a Gupta la sua parola di Vor, in più aveva scoperto che al momento non c’era limite al credito di cui lui potesse godere su Rho Ceta.

Nonostante ciò, Miles si chiese dove scaricare Gupta quando tutta questa faccenda fosse finita. Alloggiarlo in una prigione barrayarana sarebbe stata una spesa inutile per l’Impero; lasciarlo libero nel Complesso Jackson era un invito a tornare ai suoi vecchi ambienti e alla sua precedente occupazione, e la cosa non sarebbe stata di nessun vantaggio per i suoi vicini, senza contare che un giorno avrebbe potuto cedere alla tentazione di una vendetta da Cetaganda. Gli venne in mente solo un luogo adeguatamente distante in cui depositare una persona con il suo retroterra variopinto e i suoi talenti irregolari. Ma sarebbe stato giusto fare quel dispetto all’ammiraglio Quinn? Bel aveva riso malignamente a quell’idea.

Nonostante la posizione chiave di Rho Ceta nelle considerazioni strategiche e tattiche di Barrayar, Miles non aveva mai messo piede su quel mondo, e non avrebbe voluto farlo nemmeno in quell’occasione. Con una smorfia, lasciò che Ekaterin e il generale ghem Benin lo aiutassero a trasferirsi in un flottante. Nella cerimonia che sarebbe seguita, intendeva stare in piedi da solo, ma dopo brevi tentativi si era convinto dell’opportunità di conservare le forze. Almeno non era l’unico ad avere bisogno di assistenza meccanica. Nicol badava premurosamente a Bel Thorne. L’erm, nonostante manovrasse da solo il suo flottante, tradiva la sua estrema debolezza.

L’armiere Roic, con l’uniforme di Casa Vorkosigan tirata a lucido, prese posto dietro a Miles ed Ekaterin, più rigido e silenzioso che mai.

Miles aveva deciso che durante la serata avrebbe rappresentato tutto l’Impero barrayarano, e non solo la sua casa, così indossava i suoi semplici abiti civili grigi. Ekaterin appariva alta e aggraziata come un’haut in un abito fluido, grigio e nero; Miles sospettava che avesse avuto l’assistenza femminile da parte di Pel, o di una delle sue molte assistenti.

Mentre il generale ghem Benin guidava il gruppo, Ekaterin camminava accanto al flottante di Miles, con una mano appoggiata delicatamente sul suo braccio. Il suo leggero, misterioso sorriso era enigmatico come sempre, ma a Miles sembrò che rispecchiasse una nuova, risoluta sicurezza, intrepida nella fosca oscurità.

Benin si fermò davanti a un piccolo gruppo di uomini, balenanti nelle tenebre come spettri, che si erano raccolti a pochi metri dal veicolo. Profumi sofisticati esalavano dai loro abiti nell’aria umida, distinti ma in qualche modo non contrastanti. Il generale ghem presentò tutti i membri del gruppo al governatore haut di Rho Ceta, che era membro della costellazione Degtiar, cugino di qualche grado dell’attuale imperatrice. Anche il governatore indossava, come tutti gli uomini haut presenti, l’ampia tunica e i pantaloni bianchi in segno di lutto stretto, con una sopravveste bianca a vari strati che gli scendeva fino alle caviglie.

Il precedente titolare di quella carica, che Miles aveva incontrato in passato, aveva chiaramente fatto capire che i barbari stranieri potevano a malapena essere tollerati, ma quell’uomo fece un inchino profondo e in apparenza sincero, con le mani formalmente unite davanti al petto. Miles batté le palpebre sconcertato, poiché il gesto assomigliava più all’inchino di un ba verso un haut che al saluto di un haut a uno straniero.

— Lord Vorkosigan, Lady Vorkosigan, portomastro Thorne, Nicol dei quad, armiere Roic di Barrayar. Benvenuti a Rho Ceta. La mia casa è al vostro servizio.

Risposero tutti con mormorii di ringraziamento opportunamente cortesi. Miles notò la scelta dei termini… la mia casa, non il mio governo, e questo gli ricordò che quello che avrebbe visto quella notte, sarebbe stata una cerimonia privata.

Il governatore fu brevemente distratto dalle luci di una navetta che scendeva dall’orbita, e le sue labbra si incurvarono in una smorfia di disappunto, ma subito dopo il veicolo virò verso il lato opposto della città. Allora il governatore tornò a voltarsi verso gli ospiti.