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Il Capo Venn prese il mazzo di documenti del prigioniero e glielo mise sotto il naso. — D’accordo. Chi sei in realtà? Di’ la verità, tanto poi controlleremo.

Con riluttanza imbronciata, il prigioniero borbottò: — Io mi chiamo Guppy.

— Guppy, o Gupta?

— Guppy è il mio vero nome, ma tutti gli altri mi chiamavano Gupta.

— E chi sono gli altri?

— Amici assenti.

Miles, che non era sicuro che Venn avesse colto l’intonazione, intervenne: — Vuoi dire amici morti?

— Già, quello. — Guppy/Gupta stava fissando qualcosa in lontananza, e Miles intuì che era una distanza di anni luce.

Miles era combattuto fra il desiderio di procedere e una gran voglia di mettersi a sedere e studiare tutti i timbri di quei documenti, prima di continuare a parlare con lui. Era sicuro che avrebbe trovato un intero mondo di rivelazioni. Ma in quel momento c’era una priorità più pressante.

— Dov’è il portomastro Thorne? — gli chiese.

— Non ho idea di chi sia.

— Thorne è quel betano che hai stordito con il gas, ieri notte in un corridoio di servizio poco lontano dal Giunto. E con lui c’era una quad bionda di nome Garnet Cinque, alla quale hai fatto lo stesso servizio.

Lo sguardo del prigioniero si fece corrucciato. — Mai sentiti, nessuno dei due.

Venn fece un cenno a uno dei suoi poliziotti, il quale sparì e un momento dopo ritornò scortando Garnet Cinque. La sua carnagione adesso aveva un aspetto molto migliore; era evidentemente riuscita a ottenere dalla cosmetica femminile il suo aspetto normale, e molto appariscente.

— Ah! — disse contenta. — Lo avete preso! Dov’è Bel?

Venn chiese in tono formale: — È questo il terricolo che ha assalito lei e il portomastro con gas narcotizzante, ieri notte?

— Oh, sì — rispose prontamente Garnet Cinque. — Non potrei mai scambiarlo per qualcun altro. Per riconoscerlo basterebbe guardare le membrane che ha fra le dita.

Gupta contrasse tutti i muscoli del corpo.

Venn emise un ringhio minaccioso. — Gupta, dov’è il portomastro Thorne?

— Non lo so dove diavolo sia quel maledetto ficcanaso di un erm! Io l’ho lasciato nel bidone con la donna. Stava bene, respirava. Tutti e due stavano bene. Probabilmente è ancora lì addormentato.

— No — disse Miles. — Abbiamo controllato tutti i bidoni di quel corridoio senza trovarlo.

— Be’, io non so dove possa essere andato.

— Saresti disposto a ripeterlo sotto penta-rapido, per evitare l’accusa di rapimento? — chiese Venn, cercando astutamente di ottenere il consenso per l’interrogatorio volontario.

Il volto di gomma di Gupta si irrigidì. — Non posso. Sono allergico a quella roba.

— Davvero? — disse Miles. — Controlliamo, vuoi? — Si mise una mano nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori la striscia di test dermici che aveva preso sulla Kestrel, proprio in vista di una simile eventualità. Certo, non aveva immaginato che la scomparsa di Bel aggiungesse tanta urgenza e allarme alla situazione. Mostrò la striscia e spiegò a Venn e al giudice, che stavano osservando con cupo cipiglio: — Test dermico per l’allergia al penta. Se il soggetto soffre di un’allergia naturale, anche leggera, sviluppa subito una reazione molto visibile.

Per rassicurare i presenti, Miles staccò uno dei cerottini rotondi e se lo applicò sul dorso della mano, esponendolo alla loro vista. Il gesto fu sufficiente a distrarre l’attenzione tanto che nessuno, tranne il prigioniero, protestò quando Miles si chinò in avanti e applicò un altro cerotto al braccio di Gupta, il quale emise un grido di orrore.

Miles tolse il suo cerotto di test dermico rivelando un puntino rosso ben evidente sulla pelle. — Come vedete, io ho in effetti una leggera sensibilità endogena. — Attese qualche altro momento per convalidare la sua affermazione, poi strappò il cerotto dal braccio di Gupta. Il colore della pelle del prigioniero, anche se di aspetto malaticcio, era perfettamente normale.

Venn a quel punto guardò dritto negli occhi il prigioniero e disse: — Finora hai detto due menzogne. Adesso puoi smetterla di mentire, altrimenti lo farai tra poco. Per noi non fa differenza. — Sollevò gli occhi, stringendo le palpebre, all’altro ufficiale quad. — Giudice Leutwyn, a suo giudizio, ritiene di avere sufficienti ragioni per autorizzare l’interrogatorio chimico senza consenso di quest’uomo?

Il giudice non sembrò entusiasta, ma rispose: — Alla luce della sua ammissione di essere l’artefice dell’aggressione e della scomparsa di un impiegato della Stazione, sì, non ci sono dubbi. Tuttavia le ricordo che sottoporre persone in stato di detenzione a inutili disagi fisici è contro il regolamento.

Venn guardò Gupta, che stava ancora sospeso con aria infelice. — Come può sentirsi a disagio? È in caduta libera.

Il giudice sporse le labbra. — Gupta, a parte i mezzi di contenzione, si trova in uno stato di disagio fisico in questo momento? Ha bisogno di cibo, acqua, o equipaggiamento igienico terricolo?

Gupta mosse i polsi dentro i legami elastici, e scrollò le spalle. — No. Be’, sì. Le branchie mi si stanno seccando. Se non avete intenzione di liberarmi, ho bisogno che qualcuno me le bagni. La sostanza per farlo è nella mia borsa.

— Questa? — La poliziotta quad tirò fuori un oggetto che sembrava un normale spruzzatore, simile a quello che Miles aveva visto usare a Ekaterin sulle sue piante. La donna lo scosse, e si udì un rumore liquido.

— Cosa contiene? — chiese Venn, sospettoso.

— Acqua, più che altro. E un po’ di glicerina — rispose Gupta.

— Vada a farlo controllare — ordinò Venn alla poliziotta. La donna annuì e fluttuò via; Gupta la guardò uscire con una certa diffidenza, ma nessun allarme.

— Transiente Gupta, sembra che per un certo periodo di tempo sarai nostro ospite — disse Venn. — Se rimuoviamo ì legami, ci causerai dei problemi, o ti comporterai bene?

Gupta rimase in silenzio per un po’, poi esalò un respiro esausto. — Mi comporterò bene. — Promise.

Un poliziotto fluttuò in avanti e liberò i polsi e le caviglie del prigioniero. Solo Roic non sembrava gradire quella cortesia non necessaria, e si mise in posizione con una mano a una maniglia e un piede puntellato a una parete libera, pronto a gettarsi in avanti. Ma Gupta si limitò a strofinarsi i polsi e poi a chinarsi per ripetere il movimento sulle caviglie, mentre sul volto affiorava una riluttante gratitudine.

La poliziotta tornò con la bottiglia e la porse al suo capo. — Il laboratorio chimico dice che è inerte. Dovrebbe essere innocuo — riferì.

— Benissimo. — Venn gettò la bottiglia a Gupta, che nonostante le sue lunghe mani la afferrò prontamente, con ben poca goffaggine da terricolo: Miles vide che Venn l’aveva notato.

Gupta, rivolgendo un’occhiata un po’ imbarazzata ai presenti, sollevò il poncho. Si stirò e così facendo le costole del suo ampio torace si separarono: sulla pelle si aprirono delle pieghe, rivelando una serie di cavità rosse, sotto le quali appariva una sostanza spugnosa che si contrasse quando ricevette lo spruzzo dello spray umidificante come un fitto piumaggio.

Santo Dio. Ha veramente delle branchie là sotto.

Presumibilmente i movimenti del torace, come fosse un mantice, aiutavano a pompare l’acqua attraverso le branchie quando l’anfibio era immerso. Quell’uomo possedeva un doppio sistema biologico. Quando tratteneva il fiato, i suoi polmoni smettevano di funzionare con un riflesso involontario? Con che meccanismo la circolazione sanguigna passava da un tipo di ossigenazione all’altro? Gupta usò la pompetta dello spruzzatore per umidificare tutte le aperture rosse, passandola da sinistra a destra, e sembrando trame notevole conforto. Sospirò, le aperture si chiusero, e il suo torace sembrò semplicemente corrugato, come segnato da cicatrici. Quindi tornò a coprirsi con il poncho.

— Ma da dove vieni? — Non poté fare a meno di chiedere Miles.