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— Credo che da adesso in poi possiamo continuare noi, grazie — lo rassicurò il Capo Venn. Guardò senza particolare simpatia Firka, che si dimenava. — Ma terrò a mente la vostra offerta.

— Conoscete il portomastro Thorne? — chiese Miles ai quad.

— Bel è uno dei nostri migliori supervisori — rispose il quad. — Il terricolo più di buon senso che abbiamo mai avuto. Non vogliamo perderlo, eh? — Rivolse un cenno del capo a Nicol.

Nicol abbassò la testa in segno di gratitudine.

L’arresto da parte di privati cittadini venne doverosamente registrato. I poliziotti quad osservarono il prigioniero che si divincolava e decisero, prudentemente, di portarselo via, con tanto di palo. La squadra dei quad, con giustificata soddisfazione, consegnò anche la borsa che Firka aveva con sé al momento della cattura.

Ecco dunque pescato il primo sospetto che Miles desiderava interrogare. Non vedeva l’ora di strappare il nastro adesivo da quel volto di gomma e cominciare a spremerlo.

Nel frattempo era arrivata la Sigillatrice Greenlaw, accompagnata da un quad con i capelli neri e il fisico abbastanza in forma, anche se non particolarmente giovane. Indossava abiti sobri e discreti come quelli del Capo Watts e di Bel, ma neri invece di blu. Greenlaw lo presentò come il Giudice Leutwyn.

— Dunque — disse il giudice, osservando incuriosito il sospetto imbavagliato. — Questo individuo rappresenterebbe la piccola ondata criminale terricola. Mi pare di capire che anche lui è arrivato con la flotta barrayarana, vero?

— No, giudice — rispose Miles. — Si è imbarcato sulla Rudra qui alla Stazione Graf, all’ultimo minuto. In effetti, si è procurato un posto a bordo solo dopo che la nave sarebbe dovuta partire. E mi piacerebbe sapere perché. Sospetto che sia stato lui a sintetizzare il sangue rinvenuto nella stiva di carico, a compiere l’attentato nell’atrio dell’albergo, e ad aver stordito Garnet Cinque e Bel Thorne ieri sera. Garnet Cinque, quanto meno, lo ha visto chiaramente e dovrebbe essere in grado di identificarlo. Ma la domanda più urgente è: che fine ha fatto il portomastro Thorne? Questa è una ragione sufficiente per un interrogatorio sotto penta-rapido o almeno lo sarebbe in molte giurisdizioni.

— E anche qui — ammise il giudice. — Ma un esame sotto penta-rapido è una faccenda delicata. Per esperienza ho scoperto che non è quella bacchetta magica che la maggior parte della gente crede che sia.

Miles si schiarì la gola, fingendo diffidenza. — Anch’io sono pratico di questa tecnica, giudice. Ho condotto o assistito a più di un centinaio di interrogatori fatti con penta-rapido. E a me stesso è stato somministrato un paio di volte. — Si limitò a dire questo; non c’era ragione di raccontare al giudice quando e perché era successo.

— Oh! — esclamò il giudice quad, nonostante tutto impressionato, probabilmente soprattutto dall’ultimo dettaglio.

— So bene che bisogna impedire che l’esame diventi un linciaggio, ma so anche che bisogna porre le domande giuste. E io ritengo di averne diverse.

Venn intervenne: — Non abbiamo nemmeno completato la procedura dell’arresto. Voglio dare un’occhiata a quello che ha in quella borsa.

Il giudice annuì. — Benissimo, proceda, Capo Venn. Anch’io vorrei chiarirmi ulteriormente le idee, se è possibile.

Linciaggio o no, tutti seguirono i poliziotti quad, che portarono lo sfortunato Firka ancora legato al palo, in una stanza sul retro. Un paio di poliziotti, dopo avere applicato opportuni sistemi di contenzione ai polsi e alle caviglie del sospetto, registrarono l’impronta della retina e scansionarono con il laser quelle delle dita e delle mani. Una curiosità di Miles fu soddisfatta quando tolsero al prigioniero gli stivali flosci; le dita dei piedi erano lunghe quanto quelle delle mani, prensili o poco ci mancava, in grado di distendersi e aprirsi, e avevano una membrana rosa interditale. I quad scansionarono anche quelle (certo, i quad scansionano sempre tutte e quattro le estremità) poi lo liberarono dai legacci che lo tenevano legato al palo, senza però togliere il nastro adesivo che aveva sulla bocca.

Nel frattempo un altro poliziotto, assistito da Venn, vuotava la borsa e ne faceva l’inventario. Dopo un assortimento di vestiti, per lo più appallottolati e sporchi, trovarono un coltellaccio da cucina nuovo, uno storditore con una batteria sinistramente corrosa, senza licenza di possesso, un piede di porco e una borsa di pelle piena di attrezzi più piccoli. C’era anche la ricevuta d’acquisto di un rivettatore automatico. Fu a quel punto che il giudice assunse un’espressione cupa. Poi quando un poliziotto mostrò una parrucca biondo rame di qualità non eccelsa, le prove sembrarono fin troppe.

Più interessanti per Miles furono una dozzina di documenti di identità. Una metà erano stati rilasciati dal Complesso Jackson; gli altri provenivano da sistemi spaziali adiacenti al Mozzo di Hegen, un sistema povero di pianeti e ricco di punti di salto che era uno dei più vicini a Barrayar. Le rotte iperspaziali che da Barrayar portavano sia al Complesso Jackson, sia all’Impero cetagandano passavano, via Komarr e lo stato-cuscinetto indipendente di Pol, attraverso il Mozzo.

Venn, sempre più accigliato, passò la manciata di documenti al giudice. Miles e Roic si avvicinarono per guardarli meglio.

— Insomma — ringhiò Venn dopo un attimo — da dove viene in realtà questo tizio?

Due serie di documenti di Firka includevano le immagini di un uomo molto diverso dal prigioniero che continuava a mugolare; appariva come un maschio umano grande e grosso ma perfettamente normale che proveniva dal Complesso Jackson, senza alcuna affiliazione di Casa, oppure da Aslund, altro pianeta vicino del Mozzo di Hegen. Un terzo documento, quello che Firka sembrava avere usato per viaggiare da Tau Ceti fino alla Stazione Graf, raffigurava invece il prigioniero come lo si poteva vedere in quel momento. La sua immagine corrispondeva anche su. un documento intestato a Russo Gupta, anch’egli proveniente dal Complesso Jackson. Lo stesso nome, volto e impronta retinica comparivano anche sulla licenza di meccanico di navi iperspaziali che Miles riconobbe provenire da una certa organizzazione jacksoniana con cui aveva avuto a che fare durante i suoi giorni come agente coperto. A giudicare dalla lunga sfilza di date e di timbri doganali apposti sul documento, era stata considerata autentica in molti luoghi. E anche recentemente. Benissimo, per lo meno abbiamo una documentazione dei suoi spostamenti!

Miles la indicò. — Questa è sicuramente falsa.

I quad che gli stavano attorno sembrarono sconvolti. Greenlaw disse: — Ma che scopo può aver avuto per falsificare una licenza da meccanico?

— Se viene da dove penso, avrebbe anche potuto comprare una laurea in neurochirurgia, o l’abilitazione per qualunque altro lavoro volesse fingere di fare.

O, come in questo caso, fare sul serio… questo sì che era un pensiero inquietante.

Ma in nessuna circostanza quel pallido e allampanato mutante poteva passare per una donna grassoccia e gradevolmente brutta, con i capelli rossi, di nome Grace Nevatta del Complesso Jackson, o Louse Latour di Pol, a seconda dei documenti che si guardava. Né lo si sarebbe potuto scambiare per un pilota di nave iperspaziale di nome Hewlet.

— Ma chi sono tutti questi? — borbottò Venn, seccato.

— Perché non glielo chiediamo? — suggerì Miles.

Firka aveva finalmente smesso di divincolarsi e ora restava a mezz’aria, le narici che si dilatavano sopra il rettangolo blu del nastro che gli copriva la bocca. Il poliziotto quad finì di registrare le ultime scansioni e tese una mano verso il nastro, ma si fermò, incerto. — Gli farà male.

— Toglilo con uno strappo netto — suggerì Miles.

Un soffocato gemito di disaccordo del prigioniero divenne un urlo acuto quando il quad lo fece. Tuttavia il prigioniero, anche se libero dal bavaglio, non proruppe in proteste indignate, bestemmie, lamentele, maledizioni o minacce. Semplicemente, continuò ad ansimare. Aveva negli occhi un’espressione che Miles conosceva: quella di un uomo che è stato troppo teso per troppo tempo. I quad che lo avevano catturato potevano anche averlo un po’ malmenato, ma non certo al punto da fargli venire quell’espressione.