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— Sembra un accademico di qualche tipo. — Se fosse stato un ricercatore impegnato nella ricerca e sviluppo in campo bioingegneristico, questo avrebbe spiegato quel suo strano stile preciso e formale. Ma forse era solo timido.

— Sì, potrebbe darsi — annuì, poco convinto.

— Strano. Già. — Miles decise che avrebbe osservato con particolare attenzione i movimenti dell’ermafrodita sull’Idris, nel corso della sua ricerca.

— A proposito, Miles, Greenlaw sembra piuttosto impressionata da te.

— Ah sì? Con me è riuscita a nasconderlo bene.

Il sorriso di Bel scintillò. — Mi ha detto che sei molto orientato verso l’obiettivo. Per un quad è un grande complimento. Non le ho spiegato che farti sparare addosso non fa parte della tua routine giornaliera.

— Be’, insomma, non proprio giornaliera. E nella mia nuova professione non dovrebbe essere una cosa normale. È come se comandassi delle retroguardie. Sto invecchiando, Bel.

Il sogghigno di Bel divenne sardonico. — Dal punto di vista di uno che ha il doppio della tua età, e per usare quella tua colorita frase barrayarana, sei un mucchio di merda di cavallo, Miles.

Miles rise e scrollò le spalle. — Forse è la mia paternità che incombe.

— Paura, eh? — Bel sollevò le sopracciglia.

— Ma no, certo che no. Almeno… be’, sì, ma non in quel senso. Mio padre era… be’ il suo è un esempio difficile da seguire. Se fosse per me, farei le cose in modo diverso.

Bel stava per rispondere, ma prima che potesse parlare, si udirono dei passi nel corridoio. La voce alta, educata di Dubauer chiese: — Portomastro Thorne? Ah, eccola.

Bel si spostò all’interno dell’ufficio all’apparire dell’ermafrodita sulla porta. Miles notò la brevissima occhiata con cui Roic lo valutò, prima che la guardia del corpo tornasse a concentrare la sua attenzione sul video.

Dubauer sembrava inquieto. Chiese a Bel: — Intende tornare presto all’albergo?

— No. Non torno affatto all’albergo.

— Ah. — L’ermafrodita esitò. — Vede, con misteriosi quad che volano in giro e sparano alle persone, non me la sento di aggirarmi da solo per la Stazione. Speravo che qualcuno potesse accompagnarmi.

Bel sorrise comprensivo. — La farò accompagnare da una guardia della Sicurezza. Va bene così?

— Le sarò molto grato.

— Ha finito qui?

Dubauer si morse il labbro. — Be’, sì e no. Ho finito la manutenzione dei replicatori, e fatto quel poco che potevo per rallentare la crescita. Ma se rimaniamo bloccati ancora a lungo, le creature cresceranno troppo per i contenitori che le ospitano. Sarebbe un dramma se dovessi sopprimerle.

— In quel caso, penso che l’assicurazione della flotta komarrana coprirà il danno — disse Bel.

— Oppure potrebbe fare causa alla Stazione Graf — suggerì Miles. — Meglio ancora, fare entrambe le cose, e farsi pagare due volte. — Bel gli rivolse un’occhiata esasperata.

Dubauer fece un sorriso tirato. — Questo porrebbe riparo solo alla perdita finanziaria. — Dopo una lunga pausa, l’ermafrodita continuò: — Per salvare qualcosa della componente più importante, la bioingegneria coperta da brevetto, dovrei prendere dei campioni dei tessuti e congelarli prima dell’eliminazione. Avrei anche bisogno di un’equipaggiamento per la completa demolizione molecolare della materia biologica. E accesso ai convertitori della nave, se possono gestire il carico di biomassa che dovrò distruggere senza andare in sovraccarico. Sarebbe una procedura lunga e, temo, produrrà molto sporco. Se proprio non potrò ottenere il dissequestro del carico, dovrò almeno avere il permesso di restare a bordo dell’Idris per occuparmi della cosa.

Bel si accigliò di fronte all’immagine evocata dalle sommesse parole dell’erm. — Speriamo che lei non sia costretto a ricorrere a misure tanto estreme. Quanto tempo abbiamo, concretamente?

L’erm esitò. — Non molto, ormai. E se dovessi disfarmi di quegli embrioni… prima lo farò, e meglio sarà. Preferisco togliermi questo peso in fretta.

— È comprensibile. — Bel inalò un lungo respiro.

— Potrebbero esserci possibilità alternative per velocizzare la cosa — osservò Miles. — Per esempio affittare una nave più piccola e veloce che la porti direttamente a destinazione.

L’erm scosse tristemente la testa. — E chi pagherebbe l’affitto di quella nave, Milord Vorkosigan? L’Impero barrayarano?

Miles si morse la lingua prima di rispondere: Ma certo! o suggerire alternative che coinvolgessero Greenlaw e l’Unione. Il quadro generale della situazione non gli permetteva di lasciarsi impantanare nei dettagli umani (o inumani). Fece un gesto neutro e lasciò che Bel scortasse fuori il betano.

Passarono alcuni minuti prima che Bel tornasse. Nel frattempo non aveva trovato niente nelle registrazioni.

Miles chiuse il video. — Mi piacerebbe dare un’occhiata al carico di quel betano.

— Non posso aiutarti — rispose Bel. — Non ho i codici di accesso alla stiva. Per contratto in quegli spazi possono entrare solo quelli che li hanno in affitto, e i quad non si sono preoccupati di chiederli al betano. Diminuisce la responsabilità della Stazione Graf in caso di furto, capisci. Dovrai chiedere a Dubauer di farti entrare.

— Mio caro Bel, io sono un Ispettore Imperiale, e questa non solo è una nave registrata su Barrayar, ma appartiene alla famiglia dell’Imperatrice Laisa in persona. Quindi io vado dove mi pare. Solian doveva avere un codice di sicurezza che gli permettesse di accedere in ogni angolo della nave. Roic?

— Eccolo, Milord. — L’armiere lo evidenziò sul suo taccuino elettronico.

— Benissimo, allora. Facciamo questa passeggiata.

Bel e Roic lo seguirono lungo il corridoio e attraverso il portello centrale che portava alla sezione cargo. Le doppie porte che conducevano alla seconda stiva lungo il corridoio cedettero al codice inserito da Roic. Miles infilò la testa nella stiva e accese la luce.

Rastrelliere di replicatori luccicanti erano sistemate vicine le une alle altre, lasciando tra esse solo uno stretto passaggio. Ciascuna era fissata alla propria slitta a levitazione, in quattro livelli di cinque unità: venti replicatori per rastrelliera, alti quanto Roic. Sotto di essi i display erano opachi, mentre i pannelli di controllo erano illuminati da lucette intermittenti che brillavano di un verde rassicurante.

Miles percorse il corridoio tra quattro slitte, fece il giro, e risalì il successivo, contando. Altre slitte erano accostate alle pareti. La stima di Bel, circa un migliaio di replicatori, sembrava esatta. — Mi sarei aspettato che le camere placentari fossero più grandi. Queste sembrano identiche a quelle che usiamo per i bambini. — E con le quali si era ultimamente molto familiarizzato. Ma quelle rastrelliere erano chiaramente congegnate per una produzione di massa. Le venti unità caricate su ciascuna slitta condividevano i serbatoi, le pompe, i filtri e il pannello di controllo. Si chinò per guardare più da vicino. — Non vedo il marchio del costruttore, o un numero di serie, o qualunque altra cosa che indichi il pianeta di origine.

Premette un pulsante nel pannello di monitoraggio.

Neppure il pannello luminoso conteneva i dati di identificazione. C’era solo un simbolo stilizzato, scarlatto su argento, una specie di uccello urlante… il cuore cominciò battergli forte. Cosa diavolo ci faceva quel simbolo ? Si sentì mancare.

— Miles — disse la voce di Bel, che sembrava venire da molto lontano — stai male?

— Bel — chiese Miles con voce strozzata. — Sai che simbolo è questo?

— No — rispose Bel, con un tono quasi interrogativo.

— È il Nido Celeste di Cetaganda. Non i ghem-lord, i militari, non i loro coltivati e nemmeno i Lord Haut… qui siamo ancora più in alto. Il Nido Celeste è il cuore più interno dell’anello dell’intero maledetto progetto di ingegneria genetica che è l’Impero cetagandano. È la banca dei geni delle dame haut. È dove progettano i loro imperatori. Diavolo, è dove progettano l’intera razza haut. Le dame haut non lavorano con geni animali. Lo considererebbero troppo al di sotto della loro dignità. È una cosa che lasciano alle signore ghem.