– Sono cose che vanno e vengono – spiegò Suegar, – come le fasi della luna o qualcosa del genere.

Già, certo… le fasi della luna. Miles levò in cuor suo una preghiera di ringraziamento a qualsiasi divinità lo stesse ascoltando per il fatto che i Cetagandani sembravano aver impiantato un antiovulante standard in tutte le loro prigioniere insieme alle altre immunizzazioni e benedisse l'ignoto individuo che aveva inserito quella clausola nelle regole della Commissione di Giustizia Intergalattica, costringendo i Cetagandani a ricorrere a forme più sottili di tortura. E tuttavia, il verificarsi di gravidanze e la presenza di neonati e di bambini fra i prigionieri sarebbe stato un altro fattore destabilizzante o non avrebbe invece costituito un elemento stabilizzante più forte di tutti i precedenti vincoli di lealtà che i Cetagandani sembravano aver distrutto con successo?

In ogni caso, da un punto di vista puramente logistico lui fu felice che l'interrogativo fosse soltanto teorico.

– Bene… – mormorò, traendo un profondo respiro e calcandosi sugli occhi un cappello immaginario con un'angolazione aggressiva. – Sono nuovo di qui e quindi per il momento non ho nulla di cui vergognarmi. Che sia chi è senza peccato a lanciare il primo richiamo. Inoltre, in questo genere di trattative ho a mio vantaggio il fatto che è evidente che non costituisco una minaccia.

E s'incamminò con passo deciso.

– Io ti aspetterò qui – gli gridò dietro Suegar, accoccolandosi a terra là dove si trovava.

Miles calcolò la rapidità della sua avanzata in modo tale da intercettare una pattuglia di sei donne che stava marciando lungo il perimetro del campo del gruppo, e si piazzò davanti a loro, togliendosi con un ampio gesto il suo cappello immaginario e tenendolo strategicamente davanti a sé:

– Buongiorno, signore. Permettetemi di scusarmi per il mio com…

La sua frase di esordio fu bruscamente interrotta da una manciata di terra che gli riempì la bocca quando le sue gambe vennero spinte all'indietro e le spalle in avanti dalle quattro donne che si erano disposte intorno a lui e che lo avevano gettato con precisione al suolo. Non era ancora neppure riuscito a sputare la terra di bocca che si sentì sollevare vertiginosamente da mani che gli serravano le braccia e le gambe. Delle voci contarono borbottando fino a tre e lui si trovò a descrivere un breve arco nell'aria, andando ad atterrare in un mucchio scomposto non lontano da Suegar, mentre la pattuglia riprendeva il cammino senza pronunciare una sola parola.

– Vedi cosa intendevo dire? – domandò Suegar.

– Avevi calcolato la traiettoria al centimetro, vero? – annaspò Miles, girandosi verso di lui.

– Più o meno – ammise Suegar. – Immaginavo che ti avrebbero lanciato un po' più lontano del solito a causa della tua taglia.

Lottando ancora per ritrovare il respiro, Miles si sollevò faticosamente a sedere. Dannazione a quelle costole… il dolore che gli procuravano era diventato quasi tollerabile ma adesso avevano ripreso a causargli una lancinante agonia al petto ad ogni respiro. Pochi minuti più tardi riuscì a sollevarsi in piedi e si spolverò… poi, come per un ripensamento, raccolse anche il cappello immaginario, un gesto che gli provocò un accesso di vertigini e che lo costrinse a puntellare per un momento le mani contro le ginocchia.

– D'accordo – borbottò infine, – si torna alla carica.

– Miles…

– È una cosa che deve essere fatta, Suegar, perché non c'è altra scelta. In ogni caso, ora che ho cominciato non posso più smettere, perché a quanto mi hanno detto sono patologicamente persistente: non posso arrendermi.

Suegar aprì la bocca per obiettare, poi preferì soffocare la propria protesta.

– Come vuoi – disse soltanto, risistemandosi per terra a gambe incrociate e accarezzando con un gesto inconscio il bracciale di stoffa intorno al polso sinistro. – Aspetterò che mi chiami.

E parve sprofondare nei ricordi o in una meditazione… o forse si mise semplicemente a sonnecchiare.

Il secondo tentativo di Miles si concluse esattamente come il primo, con la differenza che la traiettoria fu forse un po' più larga e un po' più alta; il terzo tentativo fu uguale ma il volo risultò molto più breve.

– Bene – borbottò fra sé, – si vede che le sto facendo stancare.

Questa volta si mise a camminare tenendosi parallelo al gruppetto ma fuori della sua portata anche se abbastanza vicino da essere sentito.

– Non è necessario che facciate questo un pezzetto per volta – ansimò. – Lasciate che vi faciliti le cose. Ho una malattia teratogena delle ossa ma non sono un mutante: i miei geni sono normali, è soltanto la loro espressione ad essere distorta perché mia madre è rimasta esposta ad un particolare veleno mentre mi aspettava. È una cosa che concerne soltanto me e che non si trasmetterà a qualsiasi figlio io possa avere… ed ho sempre verificato che mi è più facile ottenere degli appuntamenti con le ragazze dopo aver messo in chiaro le cose da questo punto di vista. Comunque, le mie ossa sono fragili, al punto che voi potreste probabilmente spezzare ogni osso presente nel mio corpo. Forse vi starete chiedendo perché vi dico tutto questo e in effetti di solito preferisco non mettere avvisi al riguardo… vi volete fermare per ascoltarmi? Io non costituisco una minaccia… ho forse l'aspetto di una minaccia?… di una sfida, forse, ma non di una minaccia… volete farmi correre intorno a tutto questo campo per venirvi dietro? Rallentate, per l'amore di Dio!…

Se continuavano con quel passo, presto si sarebbe trovato senza fiato e di conseguenza a corto di munizioni verbali, perciò si portò davanti alle sei donne e piantò i piedi per terra con le braccia sui fianchi.

– … quindi se avete intenzione di rompere ogni osso del mio corpo vi prego di provvedere adesso e di farla finita, perché continuerò a tornare qui finché non lo avrete fatto.

Ad un breve cenno di comando del suo capo la pattuglia si fermò di fronte a lui.

– Accontentiamolo – propose una ragazza alta i cui corti capelli rossi dai riflessi di rame ebbero l'effetto di affascinare Miles e di distrarlo mentre cercava di immaginare le ciocche mancanti che dovevano essere cadute al suolo sotto l'azione delle forbici degli inflessibili carcerieri cetagandani. – Io gli romperò il braccio sinistro se tu penserai al destro, Conr.

– Se è questo che ci vuole per indurvi a fermarvi ad ascoltarmi per cinque minuti, così sia – replicò Miles, senza indietreggiare quando la rossa venne avanti e gli afferrò il gomito sinistro in una morsa, cominciando ad applicare pressione.

– Cinque minuti, d'accordo? – ripeté disperatamente, sentendo la pressione che aumentava e lo sguardo della donna che pareva ustionargli il profilo, poi chiuse gli occhi, si umettò le labbra e attese trattenendo il respiro. La pressione arrivò al punto critico, inducendolo a sollevarsi in punta di piedi nel tentativo di attenuarla… poi la donna lo lasciò andare così bruscamente da farlo barcollare.

– Uomini – commentò in tono disgustato. – Devono sempre trasformare tutto in una dannata gara.

– La biologia è una forma di destino – annaspò Miles, riaprendo gli occhi.

– Oppure sei una sorta di pervertito, uno a cui piace essere picchiato dalle donne?

Dio, spero di no, si disse Miles, grato che finora il suo corpo non lo avesse tradito con reazioni non autorizzate, anche se ci era mancato poco; se doveva restare nei paraggi di quella rossa per parecchio tempo era meglio che trovasse un modo per riavere i suoi pantaloni.

– Se dicessi di sì terreste a freno la vostra aggressività, giusto per punirmi? – suggerì.

– No, dannazione.

– Era soltanto un'idea.

– Lascia perdere queste idiozie, Beatrice – intervenne il capo della pattuglia, e al suo secco cenno con la testa la rossa rientrò nelle file. – D'accordo, ometto, hai i tuoi cinque minuti… forse.