Suegar si tormentò i peli della barba con un gesto nervoso, arrotolandoli intorno ad un dito.

– Mentre stavamo aspettando di essere immessi nel campo ho sfilato quel pezzo di carta dal tacco, così, tanto per fare qualcosa, e lo avevo in mano quando mi hanno prelevato. La guardia che si è occupata di me lo ha visto ma non me lo ha preso, probabilmente perché ha pensato che fosse soltanto un innocuo pezzo di carta, quindi lo avevo ancora in mano allorché mi hanno scaricato qui. Sai che è il solo foglio scritto che ci sia in tutto il campo? – concluse, con una sfumatura di orgoglio. – Devono essere scritture.

– Ecco… allora abbine cura – consigliò gentilmente Miles. – Se le hai preservate tanto a lungo, è evidente che eri destinato a farlo.

– Già – convenne Suegar, sbattendo le palpebre… aveva forse le lacrime agli occhi? – Qui io sono il solo ad avere uno scopo, vero? Quindi devo essere l'Uno… uno dei due.

– Pare anche a me – assentì Miles, guardandosi intorno nella cupola uniforme. – Senti, come si fa ad orientarsi in questo posto? – chiese poi.

Il campo era decisamente privo di punti di riferimento e gli ricordava più di ogni altra cosa una colonia di pinguini. I pinguini erano però capaci di ritrovare la strada che portava al loro nido roccioso, il che significava che lui avrebbe dovuto cominciare a pensare come un pinguino… o trovare un pinguino che gli desse indicazioni. Questo pensiero lo indusse a studiare più attentamente il suo uccello guida, che aveva assunto un atteggiamento assente e stava disegnando qualcosa nella polvere… cerchi, naturalmente.

– Dov'è la sala mensa? – domandò, alzando il tono di voce. – E dove prendete l'acqua?

– I rubinetti dell'acqua sono sulle pareti esterne delle latrine – spiegò Suegar, – ma funzionano a intervalli, e non c'è una sala mensa… otteniamo soltanto sbarre nutritive. A volte.

– A volte? – ripeté Miles, con rabbia. Sul torace di Suegar era possibile contare il numero esatto delle costole. – Dannazione, i Cetagandani stanno proclamando in lungo e in largo che trattano i loro prigionieri di guerra secondo le regole stabilite dalla Commissione di Giustizia Interstellare… un certo numero di metri quadri per persona, 3000 calorie al giorno, almeno cinquanta grammi di proteine, due litri di acqua potabile… dovreste ricevere ogni giorno almeno due razioni standard ciascuno secondo le norme della Commissione, e invece vi stanno facendo patire la fame.

– Dopo un po' – sospirò Suegar, – ottenere o meno la tua razione smette di avere importanza.

L'animazione destata in lui dal suo interesse per Miles come per un oggetto nuovo e latore di speranza piovuto nel suo mondo stava cominciando ad abbandonarlo: il suo respiro si era fatto più lento, il suo atteggiamento più accasciato, al punto che sembrava prossimo a sdraiarsi in mezzo alla polvere. Nel guardarlo, Miles si chiese se la stuoia per dormire di Suegar avesse subito la stessa sorte della sua, e decise che questo doveva essere probabilmente accaduto molto tempo prima.

– Senti, Suegar… credo che da qualche parte in questo campo ci sia un mio parente, un cugino da parte di mia madre. Potresti aiutarmi a trovarlo?

– Avere qui un parente potrebbe essere un vantaggio per te – convenne Suegar. – Non è bene essere soli, in questo posto.

– Sì, l'ho già scoperto… ma come si fa a trovare qualcuno? Non mi sembrate molto organizzati.

– Oh… ci sono gruppi e gruppi, e dopo un po' ciascuno resta sempre nello stesso posto.

– Mio cugino era con il 14° Commandos. Dove sono?

– Non rimane granché di nessuno dei vecchi gruppi.

– Si tratta del Colonnello Tremont, Guy Tremont.

– Oh, un ufficiale – osservò Suegar, aggrottando la fronte in un'espressione preoccupata. – Questo rende le cose più difficili. Tu non eri un ufficiale, vero? Se lo eri è meglio che eviti di dirlo in giro…

– Ero un impiegato – ripeté Miles.

– … perché qui ci sono gruppi che non hanno simpatia per gli ufficiali. Un impiegato. Allora probabilmente non corri rischi.

– Tu eri un ufficiale, Suegar? – domandò Miles, incuriosito.

Suegar si accigliò e tormentò ancora i peli superstiti della sua barba.

– L'Esercito di Marilac è scomparso. Come ci possono essere ufficiali se non c'è più un esercito? – ribatté.

Per un momento Miles si chiese se non avrebbe fatto più progressi e più in fretta allontanandosi da Suegar e cercando di avviare una conversazione con il prossimo prigioniero in cui si fosse imbattuto. Gruppi e gruppi… e presumibilmente gruppi come quei cinque grossi e cupi compari… alla fine decise di restare con Suegar ancora per un po'. Se non altro, si sentiva meno nudo se non era il solo ad essere in quello stato.

– Potresti accompagnarmi da qualcuno che faceva parte del 14°? – insistette. – Chiunque che possa conoscere Tremont di vista.

– Tu non lo conosci?

– Non ci siamo mai incontrati di persona. Ho visto la sua immagine in alcuni video, ma ho paura che il suo aspetto possa essere cambiato… adesso.

– Già, è probabile – assentì Suegar, toccandosi pensosamente la faccia.

Miles si issò faticosamente in piedi, notando che la temperatura della cupola era un po' troppo fresca per qualcuno privo di vestiti… una corrente d'aria appena percepibile gli faceva rizzare i peli delle braccia. Se avesse potuto riavere un solo capo di vestiario, cosa avrebbe scelto… i pantaloni per decenza oppure la camicia per coprire la schiena storta? Non c'era però tempo per indugiare in simili riflessioni, quindi le accantonò e tese una mano per aiutare Suegar ad alzarsi.

– Andiamo.

– Si riconosce sempre un nuovo venuto dal fatto che ha ancora fretta – commentò Suegar, fissandolo. – Qui si impara a rallentare, anche il cervello rallenta il suo funzionamento…

– Le tue scritture dicono qualcosa al riguardo? – ribatté Miles, con impazienza.

– … e di conseguenza essi salirono lassù con grande agilità e velocità, attraverso le fondamenta della città… – recitò Suegar, aggrottando la fronte e fissando Miles con espressione riflessiva.

Grazie tante, basta così, pensò questi, issando in piedi il suo compagno.

– Andiamo, allora – ripeté.

Non c'era né agilità né velocità, ma almeno stavano facendo qualche progresso. Con passo lento e strascicato Suegar lo guidò attraverso un quarto del campo, passando in mezzo ad alcuni gruppi e descrivendo ampi giri per evitarne altri; da lontano, Miles scorse i cupi compari che sedevano sulla loro collezione di stuoie e modificò la sua valutazione delle dimensioni della loro tribù elevandone il numero di membri da cinque a una quindicina. Dappertutto c'erano uomini che sedevano in gruppetti di due, tre o anche sei elementi, mentre altri sedevano soli e il più lontano possibile da chiunque… una distanza comunque molto ridotta.

Il gruppo più numeroso era costituito interamente da donne, e Miles lo studiò con interesse elettrizzato non appena notò le dimensioni del loro territorio, privo peraltro di qualsiasi delimitazione visibile. Le donne erano almeno qualche centinaio e nessuna di loro era priva di stuoia, anche se alcune ne usavano una in comune; il loro perimetro era pattugliato da squadre di sei elementi che lo descrivevano a passo lento e a quanto pareva il gruppo aveva requisito due latrine per il suo uso esclusivo.

– Parlami delle ragazze, Suegar – chiese al suo compagno, accennando in direzione di quel gruppo.

– Scordatele – ribatté questi, con un sorriso quasi sardonico. – Non socializzano.

– Cosa? Per nulla? Nessuna di loro? Voglio dire, siamo tutti qui, senza altro da fare che tenerci compagnia a vicenda, e ci sarebbe da pensare che almeno qualcuna di loro sia interessata a fraternizzare con l'altro sesso.

Mentre parlava, Miles arrivò però a dedurre da solo il perché di quell'isolamento autoimposto prima che Suegar gli rispondesse, e si chiese quanto le cose potessero diventare sgradevoli in quel posto.