Ed ecco che stava sopraggiungendo un altro demone… Miles sbatté le palpebre per mettere a fuoco la figura che si stava avvicinando, quella di un uomo nudo e ammaccato come lui, talmente emaciato che gli si potevano contare le costole, che s'inginocchiò nella polvere a qualche metro di distanza; il suo volto ossuto era invecchiato prematuramente dalla tensione e non permetteva di stabilire la sua età, che avrebbe potuto essere di quarant'anni come di venticinque.

Gli occhi erano prominenti in maniera innaturale a causa dell'eccessiva magrezza e il bianco sembrava brillare di un bagliore febbrile sullo sfondo della pelle scurita dalla sporcizia che vi si era accumulata. Sporcizia, non accenni di barba, perché ad ogni prigioniero presente nel campo, maschio o femmina che fosse, erano stati tagliati i capelli e le radici erano state trattate in modo da impedire la ricrescita, il che significava che tutti erano perpetuamente rasati e con i capelli in ordine. Anche Miles aveva subito lo stesso procedimento appena poche ore prima, ma chiunque si era occupato di quell'uomo doveva aver avuto premura perché il repressore di crescita aveva mancato un punto della guancia dove adesso una dozzina di peli crescevano come un ciuffo d'erba su un prato tagliato male, e anche se erano ricci era evidente che erano ormai lunghi parecchi centimetri, al punto che pendevano dalla mascella dello sconosciuto. Osservandoli, Miles pensò che se avesse saputo con quale velocità crescevano i peli della barba avrebbe anche potuto calcolare da quanto tempo quel tizio era stato rinchiuso lì.

Un tempo troppo lungo, quali che siano le cifre effettive, si disse con un silenzioso sospiro.

L'uomo teneva in mano la parte inferiore di una tazza di plastica rotta, che spinse con cautela verso di lui con il respiro che sibilava ansante attraverso i denti ingialliti, un affanno dovuto alla fatica fisica, all'eccitazione o forse ad una malattia… no, non ad una malattia, perché tutti qui erano stati ben immunizzati, al punto che la fuga era molto difficile anche attraverso la morte.

Miles rotolò su un fianco e si puntellò con fatica su un gomito, scrutando il suo visitatore attraverso la cortina sempre meno intensa del dolore causatogli dalle varie ammaccature.

L'uomo si ritrasse leggermente ed esibì un sorriso nervoso, accennando con la testa in direzione della tazza.

– Acqua. Farai meglio a bere, perché il fondo è crepato e se aspetti troppo l'acqua cola tutta fuori.

– Grazie – gracchiò Miles. Appena una settimana prima… o in una vita precedente, a seconda di come si contava il passare del tempo… lui aveva avuto la possibilità di scegliere fra una selezione di vini, scartando quelli che non lo soddisfacevano per le loro sfumature di sapore; quel ricordo gli strappò un sorriso che gli provocò una crepa in un labbro. Raccolta la tazza bevve quella che era comunissima acqua, tiepida e intrisa di un leggero sapore di cloro e di zolfo.

Un'ottima corposità, ma il bouquet lascia po' a desiderare…

L'uomo rimase accoccolato in un atteggiamento di studiata cortesia finché lui non ebbe finito di bere, poi si protese in avanti appoggiandosi sulle nocche delle mani con urgenza a stento trattenuta.

– Sei tu l'Uno? – chiese.

– Sono cosa? – fece Miles, sbattendo le palpebre.

– L'Uno. L'altro uno, dovrei dire, considerato che secondo le scritture ce ne dovrebbero essere due.

– Uh… – Miles esitò con cautela, poi domandò: – E cosa dicono esattamente le scritture?

L'uomo, che teneva la mano destra stretta intorno all'ossuto polso sinistro e allo straccio intrecciato in una sorta di corda che portava legato intorno ad esso, chiuse gli occhi e prese a recitare ad alta voce:

– … ma i pellegrini salirono quella collina con facilità, perché avevano questi due uomini a guidarli per la mano; si erano inoltre lasciati alle spalle i loro indumenti, perché anche se erano entrati nel fiume con essi ne uscivano poi senza di essi… – Arrivato a questo punto l'uomo riaprì gli occhi e fissò Miles con espressione speranzosa.

Comincio a capire perché questo tizio sembri essere del tutto isolato… rifletté questi, fra sé.

– Si dà il caso che tu sia l'altro Uno? – azzardò quindi. L'uomo annuì con timidezza.

– Capisco. Hmm…

Raccogliendo con la lingua le ultime gocce d'acqua che aveva sulle labbra Miles si chiese perché gli capitava sempre di attirare i casi da manicomio. Quel tizio poteva avere qualche rotella fuori posto ma costituiva comunque un miglioramento rispetto al gruppo precedente, sempre supponendo che nella sua testa non ci fossero due o tre personalità di tipo omicida nascoste da qualche parte. No, in quel caso l'uomo si sarebbe presentato come i Due Prescelti e non avrebbe cercato un aiuto esterno.

– Come ti chiami? – domandò infine.

– Suegar.

– Suegar… d'accordo. A proposito, io mi chiamo Miles.

– Uh – commentò Suegar, con una smorfia che indicava una sorta di compiaciuta ironia. – Sai che il tuo nome significa «soldato»?

– Sì, me lo hanno detto.

– Ma tu non sei un soldato…

Miles arrossì: qui non c'era nessun sottile e costoso trucco nel taglio degli abiti con cui potesse nascondere a se stesso, se non agli altri, le stranezze del suo corpo.

– Verso la fine hanno cominciato ad accettare di tutto e mi hanno preso come impiegato addetto al reclutamento… non ho avuto modo di sparare neppure un colpo. Senti, Suegar, come fai a sapere di essere l'Uno, o almeno uno dei due Uno? È una cosa che hai sempre saputo?

– Me ne sono reso conto a poco a poco – confessò Suegar, cambiando posizione e mettendosi a sedere a gambe incrociate. – Vedi, io qui sono il solo a possedere le parole – proseguì, accarezzando di nuovo lo straccio intrecciato. – Ho cercato in lungo e in largo per il campo, ma gli altri mi hanno soltanto deriso. È stato una specie di processo di eliminazione… si sono arresi tutti tranne me.

Miles si sollevò a sedere con un leggero sussulto di dolore, consapevole che quelle costole incrinate lo avrebbero fatto soffrire per alcuni giorni, e annuì in direzione del bracciale intrecciato.

– È lì che custodisci le tue scritture? Posso vederle? – domandò, chiedendosi come diavolo avesse fatto Suegar a procurarsi un modulo di plastica o una vera pagina di carta in un posto come quello.

Suegar però si strinse le braccia al petto in un gesto protettivo e scosse il capo.

– Stanno cercando di prendermele da mesi e devo stare attento finché non avrai dimostrato di essere l'Uno – replicò. – Sai, anche il diavolo può citare le scritture.

Già, ed è più o meno quello che io avevo in mente… pensò Miles. Chi poteva infatti sapere quali opportunità fossero racchiuse nelle «scritture» di Suegar? Bene, forse le avrebbe viste in seguito… per ora doveva limitarsi a continuare a stare al gioco.

– Ci sono altri segni? – domandò. – Vedi, io non so se sono l'altro Uno, ma al tempo stesso non sono neppure certo di non esserlo. Dopo tutto, sono appena arrivato.

Di nuovo Suegar scosse il capo.

– Sono soltanto cinque o sei frasi, e bisogna interpolare parecchio.

Ci scommetto, commentò fra sé Miles, astenendosi però dal dirlo ad alta voce.

– Come te le sei procurate? O le hai trovate qui?

– Le ho trovate a Porto Lisma, appena prima di essere catturato – spiegò Suegar. – Era in corso un combattimento di casa in casa e uno dei tacchi dei miei stivali si era allentato, ticchettando ad ogni passo. È strano come un rumore tanto insignificante possa dare sui nervi anche in mezzo al fragore che si stava abbattendo sui miei orecchi. In una casa c'era una libreria chiusa con ante di vetro e contenente veri libri antichi fatti di carta… ho fracassato il vetro con il calcio del mio fucile ed ho strappato una pagina da un volume, piegandola e infilandola nel tacco per bloccarlo e impedire che continuasse a ticchettare. Non ho neppure guardato il titolo del libro e ho scoperto soltanto più tardi che era un testo di scritture… o almeno credo che siano scritture. Dato che dal contenuto sembrano tali devono esserlo.