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— Più o meno sembra lo stesso paesaggio di qui. Ma quale canyon? In che direzione stai andando? Stavi contando i passi?

— Sì. Seguo il fiume verso il basso. Se riuscissi a uscire da questa foresta riuscirei a vedere una metà di Temi.

— Già, lo penso anch’io.

— Avremmo bisogno di un paio di punti di riferimento per accertarci se siamo vicine.

— Penso che dovremmo esserlo, se no non ci sentiremmo. Qui l’orizzonte si curva verso l’alto.

— Sarei disposta a crederci se lo vedessi. A me sembra di essere nella foresta incantata di Disneyland verso sera.

— Disney avrebbe fatto un lavoro migliore. Avrebbe curato di più i particolari e messo mostri che spuntano da dietro gli alberi.

— Non dirlo nemmeno per scherzo. Hai visto niente del genere?

— Un paio d’insetti, o così sembravano.

— Io ho visto un gruppetto di pesci. Insomma, sembravano pesci. Non entrare in acqua; potrebbero essere pericolosi.

— Li ho visti anch’io. Dopo essere entrata in acqua. Ma non mi hanno fatto niente.

Si descrissero i posti che avevano oltrepassato. Gaby disse di aver visto parecchie cascate con una pozza d’acqua. Forse stavano seguendo lo stesso fiume, ma non potevano saperlo.

— D’accordo — disse Cirocco. — Facciamo così. Quando incontri una roccia rivolta controcorrente, facci sopra un segno con un sasso.

— Come?

— Con un altro sasso. — Ne trovò uno grande quanto il suo pugno e incise una C sulla roccia su cui si era seduta. Impossibile non capire che si trattava di un graffio fatto volutamente.

— Sto facendo ora il mio segno. Lascia un segnale ogni cento metri circa. Se stiamo seguendo lo stesso fiume, chi è dietro vedrà i segnali dell’altra e potremo ricongiungerci.

— Mi sembra una buona idea. Ehi, Rocky, quanto durano queste batterie?

Cirocco fece una smorfia, si grattò la testa.

— Direi un mese. Però dipende da quanto tempo… insomma, quanto tempo siamo rimaste sepolte là dentro? Io non ne ho idea. E tu?

— No. Senti, hai ancora peli?

— Nemmeno uno. — Cirocco si grattò il cranio pelato, e notò che non era più liscio come prima. — Però stanno ricrescendo.

Cirocco riprese a camminare, col microfono in mano e il ricevitore nell’orecchio per tenersi in contatto.

— Se penso al cibo mi viene fame — disse Gaby. — E in questo momento ci sto pensando. Hai visto quei cespugli con le bacche?

Cirocco non ne aveva visti.

— Le bacche sono gialle, grandi come la punta del pollice. Adesso ne ho in mano una. È morbida e trasparente. La mangio, cosa dici?

— Prima o poi bisognerà rischiare. Non credo che una sola bacca possa ucciderti.

— Tutt’al più mi farà star male — rise Gaby. Una pausa. — L’ho spezzata coi denti. Dentro c’è una gelatina gialla. Sembra miele ma sa di menta. Si scioglie in bocca. La buccia non è molto dolce, ma la mangio lo stesso. Forse è l’unica parte della bacca che abbia valore nutritivo.

"Speriamo lo sia" pensò Cirocco. Non c’era alcun motivo perché una singola parte della bacca avrebbe dovuto nutrirla. Era contenta che Gaby le avesse fatto una descrizione così perfetta, che però le ricordava dolorosamente la tecnica degli artificieri: quando un artificiere va a disinnescare una bomba, racconta tutto quello che succede agli altri via radio. Se la bomba esplode, gli altri hanno imparato qualcosa per la volta successiva.

Passò un po’ di tempo senza che si verificasse niente. Gaby mangiò altre bacche. Più tardi le trovò anche Cirocco: erano deliziose quanto la prima sorsata d’acqua.

— Gaby, io non ce la faccio più. Da quanto tempo siamo sveglie?

Non ci fu risposta. Cirocco dovette ripetere la frase.

— Cosa? Oh… Dove sono finita? — Gaby sembrava leggermentc ubriaca.

— Dove sei? Gaby, cosa ti succede?

— Mi sono seduta un momento a riposare. Devo essermi addormentata.

— Cercati un posto adatto per dormire.

Cirocco si stava già guardando attorno. Un bel problema. Addormentarsi così, all’aperto, in un posto sconosciuto? L’unica idea peggiore era continuare a camminare. Avanzò nella foresta e scoprì che l’erba sotto i suoi piedi era morbidissima. Mettersi a riposare un minuto sarebbe stato meraviglioso.

Cirocco si svegliò sull’erba, si mise a sedere e si guardò attorno. Non si muoveva niente.

Nel raggio di un metro dal punto in cui aveva dormito l’erba era diventata marrone e secca come paglia.

Si alzò, si avvicinò a una roccia, le girò attorno. Sull’altro lato era graffiata la lettera G.

5

Gaby disse che voleva tornare indietro, e Cirocco non si oppose. Le sembrava una buona cosa, ed era contenta di non averlo suggerito lei.

Continuò a camminare. A un certo punto dovette abbandonare la spiaggia e inoltrarsi nell’erba per evitare un gruppo di macigni. Nell’erba trovò una serie di macchie marroni che sembravano impronte di piedi. Si chinò a toccarle: l’erba era secca come nel punto in cui aveva dormito lei.

— Gaby, ho trovato le tue tracce. L’erba muore quando la tocchi coi piedi. È successo anche a me.

— Ho visto anch’io lo stesso fenomeno quando mi sono svegliata — disse Gaby. — A cosa pensi sia dovuto?

— Penso che il nostro corpo emetta qualche sostanza velenosa per l’erba. Se è così, forse i predatori che possono esserci in giro non ci troveranno molto commestibili.

— Ottima notizia.

— Il guaio è che i nostri processi biochimici potrebbero essere del tutto diversi da quelli di questo ambiente. Nel qual caso, addio cibo.

— La solita ottimista.

— Sei tu quella laggiù?

Cirocco strizzò gli occhi in quella pallida luce gialla. Il fiume scorreva perdendosi lontano, e là dove faceva una curva c’era una minuscola figura.

— Sì. Sono io, se sei tu quella che sta agitando le mani.

Gaby lanciò un urlo, un suono terribile per l’orecchio di Cirocco che lo sentì un secondo dopo. Sorrise, e lasciò che il sorriso ingigantisse sempre più. Non avrebbe voluto mettersi a correre, le sembrava una scena di film strappalacrime, però stava correndo, e anche Gaby correva, compiendo lunghi salti assurdi in quella gravità ridotta.

Si abbracciarono con tanta forza da restare senza respiro. Cirocco alzò in aria Gaby, molto più piccola di lei.

— Sei co-co-così bella — disse Gaby. Aveva un tic all’occhio e batteva i denti.

— Ehi, piano, prenditela con calma. — Cirocco tentò di calmarla carezzandole la schiena con le mani. Il sorriso di Gaby era smisurato, incredibile.

— Scusa, ma credo proprio che avrò una crisi isterica. Non è buffo? — E cominciò a ridere, e poco per volta la risata si trasformò in una serie di gemiti; allora Cirocco la strinse ancora più forte, e scivolarono abbracciate sulla spiaggia, e le lacrime erano grosse nella gravità leggera.

Cirocco non capì bene quando gli abbracci di consolazione si trasformarono in qualcos’altro. Avvenne in modo graduale. Gaby era rimasta insensibile per così tanto che le sembrò naturale stringerla e carezzarla per cercare di quietarla. Poi sembrò naturale che Gaby restituisse le carezze e che tutt’e due si stringessero l’una all’altra. Un primo attimo in cui le sembrò di fare qualcosa d’insolito fu quando s’accorse che stava baciando Gaby, e Gaby stava baciando lei. Pensò che avrebbe dovuto smettere ma non voleva anche perché non sapeva più se le lacrime che sentiva erano le sue o di Gaby.

E d’altronde, non si misero a fare l’amore sul serio. Si carezzavano e si baciavano sulla bocca, e quando venne l’orgasmo era una cosa di poca importanza rispetto a quanto era già successo. Almeno, questo fu quello che lei pensò.

Una di loro doveva dire qualcosa a quel punto e la cosa migliore era non accennare a quanto era appena successo.

— Adesso va meglio?