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Davanti a una porta su cui un’insegna dipinta a mano illuminata da una lampadina a bulbo diceva soltanto CAMERE LIBERE, Bothari si fermò. — Qui dovrebbe andar bene. — La porta, un vecchio battente non automatico fissato a cardini girevoli, era chiusa. Visto che il campanello sembrava introvabile, Bothari bussò col pugno. Dopo un tempo interminabile uno sportello largo meno di un palmo si aprì, e un occhio sospettoso sbirciò all’esterno.

— Chi è? Che vuoi? — brontolò una voce maschile.

— Una stanza per dormire.

— A quest’ora dannata? Torna più tardi, eh?

Bothari portò Drou più in vista. La luce che usciva dallo spioncino illuminò il volto della ragazza bionda.

— Uh… be’. Momento — grugnì la voce. Ci fu rumore di ferraglia, il fruscio di un ultimo catenaccio, e la porta si aprì.

I quattro entrarono in una stretta anticamera da cui partiva una scala. Sulla destra c’era una scrivania con un telefono senza video e uno scalcinato televisore a schermo bidimensionale, e più oltre l’ingresso di un corridoio semibuio. In pigiama e con la barba lunga il gestore, un uomo grassoccio di mezz’età, si mostrò ancora meno entusiasta quando seppe che pur essendo in quattro volevano una stanza sola. Non fece domande. Evidentemente la stanchezza e la disperazione aggiungevano un tocco magico al loro aspetto esteriore di miseri sfollati. Con la sua faccia, e inoltre due malmesse e un individuo zoppicante al seguito, Bothari aveva un biglietto d’ingresso pagato per qualunque ambiente al di sotto di quelli rispettabili.

Il gestore assegnò loro una stanza al terzo piano dell’edificio, non molto ampia, e Koudelka e Droushnakovi fecero il primo turno di sonno sui due letti che la occupavano. Poco più tardi, mentre la prima luce del giorno si spandeva sulla periferia della metropoli, Cordelia e Bothari scesero a cercare qualcosa da mangiare.

— Avrei dovuto portare delle razioni militari, sapendo che la città era in questa situazione — mormorò Cordelia.

— Non c’è problema, milady — disse Bothari. — Ah… meglio che non parli molto. Il suo accento.

— Giusto. In tal caso cerca di fare due chiacchiere con quest’uomo, se è possibile. Vorrei sapere come la pensa la gente di qui.

Trovarono il gestore, sempreché fosse tale, in una stanza in fondo al corridoio del pianterreno; a giudicare dal bancone e dai tre tavoli forniti di sedie quello era il bar-sala da pranzo della locanda. L’uomo vendette loro quattro vassoi autoriscaldanti di cibo e un paio di bottiglie d’acqua minerale, a un prezzo molto inflazionato, lamentandosi del razionamento e buttando lì senza troppo interesse qualche domanda su di loro.

— Avevo in programma questo viaggio da mesi — borbottò Bothari, appoggiando i gomiti al bancone. — Ci mancava solo questo schifo di guerra per rovinarmi gli affari.

Il gestore emise un grugnito incoraggiante, aspettò il seguito, poi si decise a chiedere: — Sei in affari, tu? Che merce tratti?

Bothari si grattò un dente con un’unghia sporca, inarcò un sopracciglio e accennò col capo verso le scale. — L’hai vista la bionda che sta con me?

— Sì. Bel pezzo di femmina.

— Vergine.

— Noo! Mi prendi in giro?

— Io vendo solo roba genuina, amico. Quella lì ha classe. Volevo vendere la primizia a un qualche Vor, alla Festa d’Inverno. C’è da tirarsi in tasca un po’ di moneta con quelli. Ma ora sento dire che se ne stanno rintanati. Potrei tentare con un riccone della Riva Destra, certo, però lei mi storce il naso. Si è ficcata in capo che il primo dev’essere un Lord.

Cordelia finse di grattarsi il naso per mascherare il sogghigno e cercò di non emettere alcun suono. Era un bene che Drou non avesse chiesto i particolari della sua copertura, secondo l’idea che ne aveva Bothari. Santo cielo! Possibile che i barrayarani fossero disposti a pagare per sottoporre una femmina a un’iniziazione così sanguinosa?

Il gestore le gettò uno sguardo. — Dai retta a me, lasciaci la donna su col tuo compare quando esci, altrimenti il tuo Lord rischia di avere una brutta sorpresa. E tu pure.

— No. — Bothari scosse il capo. — L’amico, su, è più castrato di un pollo da allevamento. Un colpo di distruttore neuronico proprio sul suo amico più caro. È in congedo, adesso. Come me.

— Anche tu sei stato ferito?

— Me mi hanno congedato perché facevo funzionare troppo bene il magazzino. — Bothari mosse in circolo la mano aperta, a palmo in giù. — Capito cosa intendo? Operazioni commerciali.

Cordelia aveva sentito alcuni sottufficiali parlare con disprezzo di colleghi cacciati dal Servizio per aver intrallazzato con le forniture militari, ma chiaramente in altri ambienti quello era un titolo di merito.

Il gestore ridacchiò. — E ti sei messo a lavorare con uno spastico? — chiese, indicando con un cenno del capo i piani superiori.

— Lui ha delle conoscenze in città, ecco perché me lo sono portato dietro. Figli di Lord e altri. Ha fatto l’Accademia.

— Be’, gli serviranno a poco, adesso. Quei ricchi bastardi sono sotto le armi o imboscati. Non è il momento.

— Già. Da quella bionda ne ricaverei di più se la vendessi a peso di carne macellata.

— Puoi scommetterci. Ma non farla a pezzi di sopra — sogghignò l’uomo, gettando un’occhiata d’apprezzamento a Cordelia.

— È troppo bella per sprecarla. Credo che dovrò trovare qualche altra idea, finché questo bordello non sarà finito. Ma ho bisogno di soldi. Magari mi offrirò di fare dei lavoretti per qualcuno…

— Sì? — Il gestore lo guardò meglio. — Io avrei un certo incarico da affidare a un… mmh tipo deciso. È una settimana che ci penso. Tu potresti essere l’uomo che fa per me.

— Io, eh? Forse mi interessa.

Il gestore andò ad appoggiarsi al bancone di fronte a lui, e assunse un tono confidenziale. — So che c’è un ufficiale del Conte Vordarian, un pezzo grosso della Sicurezza Imperiale, che paga molto bene per un certo genere di informazioni. Su gente che loro stanno cercando, capisci? Ora, di solito chi ha la testa a posto sta alla larga dalla Sicurezza… e lo sto dicendo a uno che questo lo sa meglio di me. Però adesso è diverso. — Abbassò la voce. — C’è uno strano tipo che ha preso in affitto una casa, non lontano da qui. Sta sempre rinchiuso, salvo quando esce per comprare da mangiare… e compra molta più roba di quanta può mangiarne lui solo. Ci sono degli altri con lui, che si tengono nascosti. E non sono gente come noi. Io mi stavo chiedendo chi siano… varrebbe la pena di sapere se valgono qualcosa per la persona che ti ho detto, no?

Bothari si accigliò, prudentemente. — Sono faccende pericolose. Magari l’ammiraglio Vorkosigan sbatte fuori quell’altro furbone dalla città, e dall’oggi al domani chi ha fatto una spiata si ritrova sulla lista del plotone d’esecuzione. E tu hai un indirizzo, amico.

— Ma tu no. Giusto? Chi ti conosce? Se ti occupi della cosa per me, ti dò il venti per cento. Sento che potremmo chiedere una grossa somma con quell’individuo. È uno che ha paura; segno buono.

Bothari scosse il capo. — Io ho girato molto, amico. E qui, quando mi guardo attorno, ci trovo un odore che conosco… non senti che aria tira in questa città? Sconfitta, uomo. La gente di Vordarian sta per fare una brutta fine. E chi scherza col fuoco può trovarsi con le unghie bruciate fino al gomito.

Il gestore strinse le labbra, seccato. — Una buona occasione è una buona occasione, da qualunque parte venga.

Cordelia prese Bothari per un gomito, lo trasse in disparte e gli sussurrò all’orecchio: — Fallo parlare. Cerca di scoprire chi è quell’uomo. Potrebbe esserci utile. — Dopo un momento aggiunse, alzando la voce appena di un poco. — Chiedigli la metà.

Bothari annuì e tornò ad appoggiarsi al bancone. — Cinquanta e cinquanta — disse. — È una faccenda rischiosa.

Il gestore guardò Cordelia, accigliato; ma ciò che si aspettava erano esattamente quelle parole. — Il cinquanta per cento di qualcosa è meglio del cento per cento di niente, eh? Be’, penso che potremo metterci d’accordo.