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Esterhazy lasciò i cavalli a Bothari e seguì il Conte nel bosco, su per un monticello fangoso. In cerca di un’occupazione Gregor staccò del fogliame dai cespugli, decidendo che era suo dovere nutrire gli animali. Ma i cavalli, dopo aver assaggiato le foglie delle piante indigene di Barrayar, le lasciarono cadere dalla bocca. Il bambino le raccolse e tentò di invogliarli, mettendogliele di nuovo fra i denti.

— Cosa sta facendo il Conte, tu lo sai? — domandò Cordelia a Bothari.

Lui scrollò le spalle. — È andato a contattare qualcuno. Questo non può durare. — Ebbe un cenno nella direzione da cui provenivano, riferendosi alla loro nottata fra i cespugli.

Cordelia era perfettamente d’accordo. Si sdraiò un poco e scrutò il cielo, tendendo gli orecchi a ogni rumore sospetto, ma udì soltanto il gorgoglio del torrente e un altro, proveniente dal suo stomaco vuoto. Poco dopo fu costretta ad alzarsi per impedire a Gregor di mostrare ai cavalli come si masticavano le foglie di una pianta probabilmente velenosa.

— Ma loro mangiano la paglia gialla, l’ho visto io — protestò il bambino.

— Questo non significa che possano mangiare tutto ciò che è giallo — gli spiegò lei. — La prudenza è una delle prime cose che insegnano agli esploratori della Sorveglianza Astronomica Betana, sai? Non bisogna mai mettersi in bocca piante sconosciute, prima che siano state controllate in laboratorio. Né toccarsi il naso, gli occhi e la bocca dopo averle prese in mano. Tu vuoi essere un bravo esploratore, vero?

— Sì — disse Gregor, convinto, e subito si sfregò il naso e gli occhi con le dita. Cordelia fece un sospiro e tornò a sedere. Poi ripensò al modo in cui lei stessa aveva immerso la bocca nell’acqua del torrente, e si disse che Gregor non poteva prenderla sul serio dopo una cosa simile. Ma il bambino s’era messo a tirare sassi in una polla e aveva altro a cui pensare.

Un’ora più tardi Esterhazy fece ritorno, da solo. — Seguitemi. — Stavolta gli uomini condussero i cavalli per le redini, segno sicuro che li aspettava una faticosa salita. Cordelia li seguì tenendo per mano Gregor, molto meno facile dei grossi quadrupedi da tirarsi dietro. Arrivarono sulla dorsale di una collina, scesero lungo l’altro versante e sbucarono su una carrareccia fangosa che tagliava la boscaglia.

— Dove siamo? — s’informò Cordelia.

— È la strada del Passo Aime, milady — rispose Esterhazy.

— Questa è una strada? — si lamentò lei, scavalcando i solchi lasciati dai carri. Piotr era poco distante da lì, e stava parlando con un uomo anziano che teneva per le redini un piccolo cavallo bianco e nero dal pelame ispido.

L’animale era tuttavia assai meno ispido del suo padrone. Aveva nastrini rossi legati alla criniera e alla coda, e la sua parte superiore era pulita come fosse appena uscito dalla scuderia; dal ventre in giù, invece, era ingrumato di fanghiglia fresca. Oltre alla sella da cavalleria uguale a quella di Piotr portava quattro grosse borse, due su ogni fianco, e un sacco a pelo arrotolato sulla groppa.

Il vecchio aveva la barba non rasata come il Conte Piotr, e indossava una giacca del Servizio Postale Imperiale così scolorita che il suo azzurro era diventato grigio. Anche il resto dei suoi indumenti era di provenienza governativa: pantaloni verdi dell’esercito, camicia nera da fatica della Sicurezza Imperiale, e stivaloni da ufficiale alti al ginocchio, questi ultimi lucidi come specchi. Il suo cappello era un costoso feltro da città, a tesa larga, con alcuni fiori infilati nella fascia. Cordelia decise che doveva essergli stato regalato da qualcuno. L’uomo le sorrise con una bocca da cui mancavano i tre quarti dei denti; i superstiti erano lunghi e marroncini.

Lo sguardo del vecchio si spostò su Gregor, mentre le porgeva la mano. — Così questo è lui, eh? Uh. È piccolino. — Si volse a mezzo, educatamente, per sputare nei cespugli da un angolo della bocca.

— Crescerà — gli assicurò Piotr. — Purché ne abbia il tempo.

— Be’, vedrò cosa posso fare, generale.

Piotr sogghignò, come a un vecchia battuta. — Hai portato un po’ di razioni?

— Naturale. Roba buona. — Il vecchio gli strizzò l’occhio e si girò a frugare nelle borse da sella. Ne tirò fuori una scatola di zollette di zucchero scuro, un cartoccio di plastica trasparente pieno di uva secca, un paio di pagnotte cosparse di cristalli e quella che sembrava una manciata di strisce di cuoio, anche queste avvolte in un foglio di plastica. Su di esso Cordelia poté leggere: «Modifiche al Regolamento Postale — Art. 6c e 77a (6/17) — Da inserire nei file permanenti.»

Piotr esaminò il cibo. Accennò col capo alle strisce di cuoio. — Carne di capra affumicata?

— Meglio di quella che rubavano alla teppaglia di Yuri, eh? — annuì il vecchio.

— Ne prendiamo metà. E l’uva secca. Conserva lo zucchero d’acero per i bambini. — Piotr se ne mise una zolletta in bocca, comunque. — Ci vediamo fra tre o quattro giorni, forse una settimana. Fa sempre male la cicatrice che ti hanno regalato i cetagandani?

— Non la cambierei con nessun’altra cosa — sogghignò il vecchio.

— Sergente. — Piotr accennò a Bothari di avvicinarsi. — Tu andrai con il maggiore, qui. Prendi con te lei, e il bambino. Lui vi porterà sul posto. Tenete la testa bassa, fino al mio arrivo.

— Sì, mio Lord — rispose lui con voce piatta. Solo un lampo negli occhi tradì il suo disagio.

— Cos’abbiamo qui, generale? — chiese il vecchio, indicando Bothari. — Uno nuovo?

— Un ragazzo di città — disse Piotr. — Lo ha assoldato mio figlio. Non parla troppo. È bravo col coltello, però. Puoi fidarti.

— Coltello, eh? Bene.

Quel mattino Piotr si muoveva più lentamente. Aspettò che Esterhazy gli desse una mano a salire in arcioni, e quando fu in groppa al cavallo si lasciò sfuggire un sospiro, con le spalle curve in modo insolito. — Dannazione, sto diventando vecchio per queste cose.

Con aria pensosa il vecchio che lui aveva chiamato «maggiore» si tolse di tasca una borsa di cuoio. — Vuole le mie foglie-gomma, generale? Sono meglio della carne di capra, e in bocca durano di più.

Piotr sorrise. — Ah, te ne sarei grato, uomo. Ma non tutte quelle che hai. — Infilò le dita fra le foglie secche, ne prese una generosa manciata e la infilò in una tasca della giacca. Poi se ne mise un paio in bocca, restituendo la borsa. La foglia-gomma era un blando stimolante; Cordelia non aveva mai visto Piotr masticare quel vegetale, a Vorbarr Sultana.

— Abbi cura dei cavalli del Lord — disse Esterhazy a Bothari, con l’aria di non contarci molto. — Sono animali, non macchine. Cerca di non dimenticarlo.

Bothari grugnì qualcosa di poco impegnativo, mentre Esterhazy e il Conte giravano i loro cavalli e li spronavano al trotto lungo la carrareccia. Pochi momenti dopo i due erano fuori vista, e sulla boscaglia scese un profondo silenzio.

CAPITOLO DODICESIMO

Il maggiore sistemò Gregor in groppa dietro di sé, col comodo sostegno del sacco a pelo arrotolato e delle borse. Cordelia affrontò un’altra arrampicata sullo strumento di tortura per uomini a cavallo chiamato sella. Non ci sarebbe mai riuscita senza l’aiuto di Bothari. Stavolta a prendere le redini di Rose fu il maggiore, e grazie al modo in cui le manovrava i due animali procedettero fianco a fianco senza scosse. Bothari rimase più indietro, guardandosi cautamente attorno.

— Così — disse il vecchio dopo un po’ di tempo, con uno sguardo di tralice a Cordelia, — lei è la nuova Lady Vorkosigan.

Sentendosi sporca e sudata lei si tolse una ciocca di capelli dalla faccia. — Sì. Ah, il Conte Piotr non mi ha fatto il suo nome, maggiore…

— Amor Klyeuvi, milady. Ma la gente di queste parti mi chiama soltanto Kly, Postino Kly.

— E, uh… lei chi è? — A parte un coboldo che Piotr aveva fatto sbucare dal sottobosco con qualche stregoneria.