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Droushnakovi sbatté le palpebre, grigia in faccia. Vorkosigan aveva lo sguardo meno stravolto, adesso.

— Vuole che le faccia un calcolo preciso degli effetti di una granata sonica sull’interno di quella vettura, Simon? — continuò Cordelia, scaldandosi. — Chi ha scelto quell’arma è un militare competente… anche se, per fortuna, un pessimo tiratore. — Tenne per sé il resto di quel che avrebbe voluto dire, rendendosi conto, benché nessun altro se ne fosse accorto, che a farla parlare così era una tensione isterica.

— Le mie scuse, capitana Naismith. — Il tono di Illyan s’era fatto più rigido. — Probabilmente lei ha ragione. — E annuì con rispetto, per mostrare che non lo diceva solo per blandirla.

Aral aveva seguito quello scambio di battute con un lampo negli occhi, e per la prima volta parve sul punto di sorridere.

Illyan uscì, portandosi via le sue ipotesi fra cui anche quella della cospirazione militare. Il medico confermò la diagnosi di un semplice stordimento auricolare e diede loro un paio di flaconi di pillole per il mal di capo — Aral ne inghiottì una con indifferenza — e se ne andò dopo aver preso appuntamento per una visita di controllo completa il mattino dopo.

Quando Illyan tornò a Casa Vorkosigan, quella sera tardi, per parlare con il suo capoguardia, Cordelia trattenne a stento la voglia di afferrarlo per il petto e spingerlo contro il muro per estrargli tutto ciò che era venuto a sapere. Si limitò a chiedere, semplicemente: — Chi ha cercato di uccidere Aral? Chi lo vorrebbe morto? Che vantaggio immagina di ottenere dalla sua scomparsa?

Illyan sospirò. — Vuole la lista breve o quella lunga, milady?

— Quanto è lunga la lista breve? — chiese lei, quasi morbosamente affascinata.

— Fin troppo. Ma posso dirle i nomi che stanno in cima, se vuole. — Li contò sulle dita. — I cetagandani, questi sempre. Hanno fatto i loro calcoli sulla confusione politica che potrebbe seguire la morte di Ezar. Una lotta intestina può facilitare l’arrivo di una flotta d’invasione. Poi i komarrani, sia per vendetta che come inizio di una nuova rivolta. Alcuni chiamano l’ammiraglio «il macellaio di Komarr»…

Cordelia, che conosceva la vera storia dietro quel soprannome così odioso, si sentì fremere.

— Gli anti-Vor, perché il Lord Reggente è troppo conservatore per i loro gusti. Gli ufficiali della destra militare, che lo considerano troppo progressista per i loro. Gli ex accoliti guerrafondai del Principe Serg e di Vorrutyer. Certi ex membri del Ministero dell’Educazione Politica, ora esautorati, anche se dubito che quella gente fallirebbe un attentato; disponevano di «fedelissimi» addestrati nel dipartimento di Negri. Alcuni Vor gelosi del rango che lui ha assunto nel recente cambiamento di poteri. Qualsiasi individuo che, avendo accesso a residuati bellici, si illuda di guadagnarsi la fama di liberatore della patria compiendo una pazzia gradita agli estremisti politici… devo continuare?

— No, grazie. Ma restiamo al concreto. Se le motivazioni generano una lista così lunga di sospetti, che cosa possiamo dedurre dal tipo di attentato messo in opera?

— Qui lavoriamo su un campo più ristretto — annuì Illyan, — anche se gli interrogativi non mancano. Come ho detto, l’azione è stata rapida e la fuga facile. Ma chi lo ha organizzato conosceva il tipo di arma e sapeva dove procurarsela. Questo è il primo lato da cui parte la nostra indagine.

Nessuna fazione aveva reclamato l’attentato, e questo, decise Cordelia, era preoccupante. Quando i colpevoli potevano essere tanti, l’impulso di sospettare tutti poteva diventare paranoia. E la paranoia politica, su Barrayar, sembrava molto facile e contagiosa. Be’, le forze combinate di Negri e di Illyan avrebbero dovuto ottenere qualche fatto concreto in breve tempo. Lei racchiuse le sue paure in un pacchetto e cercò di cacciarlo nel più profondo di se stessa… anche se il punto dove lo sentiva era lo stomaco. Troppo vicino al bambino.

Quella notte Vorkosigan la strinse a sé, rannicchiata contro il suo corpo robusto, anche se non per fare all’amore. Si limitò a tenerla così. Restò sveglio per ore, malgrado l’effetto del tranquillante che gli offuscava lo sguardo. Lei non prese sonno finché non si accorse che s’era addormentato, e il suo lieve russare la placò. Non c’era molto da dire. Hanno fallito. Noi andiamo avanti.

Fino al prossimo colpo.

CAPITOLO QUINTO

Il compleanno dell’Imperatore era per tradizione una delle feste nazionali di Barrayar, che la gente celebrava con manifestazioni pubbliche, danze, bevute, parate di veterani e un’incredibile quantità di fuochi artificiali sparati da tutti i quartieri della città in gara fra loro. Questo sarebbe bastato a farne un giorno adatto per un attacco militare alla capitale, si disse Cordelia: anche un orecchio addestrato non avrebbe potuto riconoscere un fuoco d’artiglieria dietro quel caos di scoppi. Il fracasso prese inizio all’alba.

Le guardie di servizio, che avevano un’automatica predisposizione a rizzare gli orecchi a qualunque rumore estraneo, giravano per la casa con aria abbacchiata, salvo un paio di giovani entusiasti che ebbero la pensata di far esplodere in giardino dei mortaretti e accendere due crepitanti girandole. Furono chiamati nel seminterrato dal capoguardia e quando tornarono su ai colleghi bastò guardarli per sapere che s’erano giocati la libera uscita. Cordelia li vide in cucina, più tardi, a sbucciare patate agli ordini di una cuoca sogghignante, mentre le due sguattere se ne uscivano di casa vestite a festa per un’inattesa giornata di libertà. Il compleanno dell’Imperatore destava un’allegria incomprensibile per lei, e inoltre i barrayarani sembravano affascinati dal fatto che, essendo Gregor succeduto ad Ezar, quella era la seconda volta in un anno che celebravano la stessa festa.

Cordelia rinunciò ad assistere all’imponente parata militare che occupò la mattinata di Aral in modo da essere più fresca per la serata (l’avvenimento dell’anno, a quanto le fu dato di capire) ovvero la cena di compleanno alla Residenza Imperiale. Le piaceva l’idea di poter rivedere Kareen e Gregor, anche se per poco. E stavolta era certa che avrebbe avuto un aspetto all’altezza del suo rango. Lady Vorpatril, che aveva buon gusto e poteva vantare una solida esperienza di moda femminile in ogni stadio della gravidanza, aveva avuto pietà dei suoi problemi culturali e le si era offerta come guida indigena per i negozi e la sartoria da cui si serviva.

Come risultato, quel pomeriggio Cordelia sfoggiò con sicurezza un completo di seta selvaggia verde scuro, a gonna lunga, scarpe in vera pelle e un leggero soprabito di vellutata stoffa bianca d’importazione. Alcuni minuscoli fiorellini, autentici, le erano stati sistemati nell’acconciatura ramata da una pettinatrice in carne e ossa, molto più abile di qualsiasi stilista automatico lei avesse mai usato su Colonia Beta. Per le festività tradizionali i barrayarani non facevano molto uso della moda straniera e preferivano abiti più personalizzati, ricorrendo a una specie di arte popolare elaborata quanto i disegni corporali betani. Cordelia non poteva essere sicura della reazione di Aral — il suo volto s’illuminava sempre quando la vedeva apparire — ma a giudicare dagli «ooh!» e dagli «aah!» delle cameriere del Conte Piotr il sarto di Alys Vorpatril doveva aver superato se stesso.

Mentre aspettava nell’atrio, ai piedi della scala, abbassò gli occhi a controllare il miracoloso effetto dello stile «cintura alta» sul suo addome. Anche senza quell’artificio, comunque, dopo quasi quattro mesi non poteva vantare che una curva appena visibile. Nulla di più, da quell’estate, tanto da farle pensare che la gravidanza procedesse a rilento. Sfiorandosi distrattamente l’addome mormorò dentro di sé un mantra d’incoraggiamento, cresci, cresci, oh, cresci… ma almeno stava cominciando ad apparire davvero incinta agli occhi altrui, invece di dar l’impressione d’essere «un po’ stanca». Aral condivideva i suoi notturni momenti di fascino per quel progredire, e ascoltava con dita gentili sulla sua pelle, fin lì senza successo, i lievissimi palpiti che lei invece avvertiva già di tanto in tanto.