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— Devo andare a casa — aveva insistito, allorché lui si era chinato in avanti: aveva in mano la lanterna e la sua luce gli aveva rischiarato il volto gentile, aveva danzato come lingue di fiamma sui suoi capelli rossi.

— Godufadur — aveva chiamato l'uomo, e Kivrin aveva pensato che quello fosse il nome dello schiavo, Gauddefaudre, che l'uomo avesse intenzione di ordinargli di riportarla dove l'aveva trovata. L'avrebbero riportata al sito della transizione, e dal Signor Dunworthy, che sarebbe rimasto terrorizzato se non l'avesse più trovata lì quando avesse riaperto la rete. È tutto a posto, Signor Dunworthy, lo aveva rassicurato mentalmente. Sto arrivando.

— Dreede nawmaydde — aveva detto l'uomo con i capelli rossi, sollevandola fra le braccia. — Fawrtah Galwinnath coam.

— Sono malata — spiegò Kivrin alla donna, — ed è per questo che non riesco a capire le vostre parole.

Però questa volta nessuno si protese dal buio per tranquillizzarla. Forse si erano stancati di guardarla bruciare e se ne erano andati… di certo stava impiegando un tempo davvero lungo a morire, anche se adesso il fuoco sembrava essersi fatto più caldo.

L'uomo con i capelli rossi l'aveva caricata davanti a sé sul suo cavallo bianco e si era addentrato nei boschi, e lei aveva pensato che la stesse riportando al sito della transizione. Adesso il cavallo aveva una sella, e campanelle che tintinnavano mentre cavalcavano e suonavano un motivo. Si trattava di «Venite, Voi Tutti Fedeli», e lo scampanio si stava facendo sempre più forte ad ogni verso, fino a sembrare quello delle campane della chiesa di St. Mary.

Avevano cavalcato a lungo, e lei aveva pensato che ormai fossero prossimi ad arrivare al sito.

— Quanto dista ancora il sito? — aveva chiesto all'uomo con i capelli rossi. — Il Signor Dunworthy sarà così preoccupato.

Lui però non le aveva risposto e intanto erano usciti dal bosco e si erano avviati lungo il pendio di una collina. La luna era alta nel cielo e riversava un pallido chiarore sui rami di una macchia di stretti alberi privi di foglie, e sulla chiesa che sorgeva ai piedi della collina.

— Questo non è il sito della transizione — aveva protestato lei, e aveva cercato di tirare le redini del cavallo per farlo girare nella direzione da cui erano venuti, ma non aveva osato allontanare le braccia dal collo dell'uomo dai capelli rossi perché aveva paura di cadere.

Poi erano giunti ad una porta che si era aperta, e c'erano stati fuoco e luce e un suono di campane, e lei aveva compreso che dopo tutto l'avevano riportata al sito.

— Shay boyen syke noghonn tdeeth — disse la donna. Le sue mani risultarono ruvide e rugose sulla pelle di Kivrin quando le assestò le coltri del letto. Pelliccia, poteva sentire una morbida pelliccia contro la faccia, o forse erano i suoi capelli.

— Dove mi avete portata? — domandò.

La donna si protese leggermente in avanti come se non riuscisse a sentirla e lei si rese conto che doveva aver parlato in inglese moderno e che il traduttore non stava funzionando, visto che avrebbe dovuto permetterle di pensare in inglese moderno e di esprimersi in inglese medievale. Forse era per questo che non riusciva a capire quella gente, perché il suo traduttore non stava funzionando.

Cercò di pensare alla giusta espressione in inglese medievale. Era forse «in quale luogo mi avete portata?» No, la costruzione era sbagliata. Doveva chiedere «che posto è questo?», ma non riusciva a ricordare il vocabolo arcaico che significava posto.

Non riusciva a pensare con chiarezza. La donna stava ammucchiando altre coperte e altre pellicce su di lei, ma il risultato era quello di farle provare un freddo sempre più intenso, come se in qualche modo la donna stesse spegnendo il fuoco.

Se avesse domandato che posto era quello non l'avrebbero compresa. Si trovava in un villaggio… l'uomo con i capelli rossi l'aveva portata in un villaggio, perché avevano oltrepassato una chiesa e avevano raggiunto una grande casa… quindi la domanda esatta era «qual è il nome di questo villaggio?»

Il vocabolo per indicare un «posto» era demain, ma la costruzione era ancora sbagliata. A quest'epoca usavano la costruzione francese della frase, giusto?

— Quelle demeure avez vous m'apporté? — disse ad alta voce, ma la donna se n'era già andata e comunque quel modo di esprimersi non era quello esatto. La popolazione locale non era più francese da duecento anni, quindi doveva formulare le sue domande in inglese e chiedere «dove si trova il villaggio in cui mi avete portata?» Ma qual era il termine per dire «villaggio»?

Il Signor Dunworthy l'aveva avvertita che avrebbe potuto dover fare a meno del traduttore, e le aveva fatto studiare l'inglese medievale, il francese normanno e li tedesco antico per controbilanciare le discrepanze di pronuncia, oltre a farle imparare a memoria pagine e pagine di Chaucer. «Soun ye nought but eyr ybroken And every speche thet ye spoken.» No. No. «Dove si trova il villaggio in cui mi avete portata?» Ma qual era il termine per dire «villaggio»?

L'uomo con i capelli rossi l'aveva portata in quel villaggio e aveva bussato ad una porta. Era venuto ad aprire un uomo di grossa corporatura che brandiva un'ascia… naturalmente per tagliare la legna per il rogo… poi era arrivata anche una donna e tutti e due avevano pronunciato parole che lei non era riuscita a capire. Quindi la porta si era richiusa e si erano ritrovati fuori, al buio.

— Signor Dunworthy! Dottoressa Ahrens! — aveva cercato di gridare, ma il petto le doleva troppo per riuscire a parlare. — Devi riportarmi al sito della transizione — aveva ripetuto all'uomo con i capelli rossi, ma lui si era trasformato di nuovo nel bandito.

— No — aveva replicato questi, rivolto ai due della casa. — È soltanto ferita.

La porta si era riaperta e lui l'aveva portata dentro perché la bruciassero.

Aveva un caldo terribile.

— Thawmot goonawt plersoun roshundt prayenum comth ithre — disse la donna.

Kivrin cercò di sollevare la testa per bere, ma la donna non le stava accostando una coppa alle labbra. Invece, le stava tenendo una candela vicino alla faccia, troppo vicino, tanto che i suoi capelli avrebbero preso fuoco.

— Der maydemot ndes dya — aggiunse la donna.

La fiamma della candela tremolò accanto alla sua guancia. I suoi capelli si erano incendiati e adesso lingue di fiamma rosse e arancione ardevano lungo le punte, afferrando le ciocche e trasformandole in cenere.

— Shh — disse la donna, e cercò di bloccarle le mani, ma Kivrin lottò fino a liberarsi e si batté dei colpi sui capelli nel tentativo di spegnere il fuoco. Anche le mani cominciarono a bruciare.

— Shh — ripeté la donna, riuscendo a immobilizzarla.

Non era la donna, quelle mani erano troppo forti. Kivrin agitò il capo di qua e di là nel tentativo di sfuggire alle fiamme, ma adesso le stavano tenendo ferma anche la testa e i suoi capelli si carbonizzarono in una nuvola di fuoco.

Quando si svegliò l'aria della stanza era intrisa di fumo, ma il fuoco doveva essersi spento mentre lei dormiva. Una cosa del genere era successa a un martire condannato la rogo: i suoi amici avevano ammucchiato molte fascine di legna verde in modo che il fumo lo soffocasse prima che il fuoco potesse raggiungerlo, ma invece avevano ottenuto soltanto di smorzare le fiamme e il martire aveva impiegato ore a morire.

La donna si protese su di lei. Il fumo era però tanto fitto che Kivrin non riuscì a vedere se fosse giovane o vecchia. L'uomo con i capelli rossi doveva aver spento il fuoco: le aveva steso addosso il proprio mantello e aveva spento il fuoco sparpagliandone i rami con gli stivali, e il fumo si era alzato ad accecarla.

La donna le fece gocciolare addosso dell'acqua che sfrigolò a contatto con la sua pelle.